Pur trattandosi di una delle più ricche nazioni in assoluto, grazie ai suoi ingenti depositi di petrolio e di gas naturale (si calcola un quarto di tutte le riserve del pianeta, con il 95 % dell’economia legata al petrolio), l’Arabia Saudita – unico paese ad avere il nome della dinastia regnante nel proprio nome geografico – ha fino ad oggi rappresentato, dal punto di vista turistico, una delle nazioni più chiuse al mondo, consentendo in pratica l’ingresso unicamente per ragioni di lavoro, di business e religiosi, per compiere questi ultimi i pellegrinaggi ai luoghi sacri dell’Islam di La Mecca e Medina, obbligatori per ogni buon musulmano almeno una volta nella vita. Tutti gli altri visitatori non erano affatto graditi, e quindi ostacolati in varie maniere per i visti, in quanto si vedeva in loro una possibile fonte di corruzione per la mentalità ed i rigidi costumi della società tradizionalista arabica, dove ancora oggi alla donna sono negati diritti elementari e basilari.
Ma, come succede ad ogni latitudine, la globalizzazione da un lato tende ad un livellamento forzato, dall’altro l’ascesa al trono di un monarca più illuminato e liberale dei suoi precedenti, sta provocando anche qui dei piccoli, ma significativi ed incoraggianti cambiamenti. Tra questi rientra sicuramente la recente decisione di aprire progressivamente al turismo le frontiere della penisola compresa tra mar Rosso e golfo Persico, anche per fare scendere la dipendenza economica dai soli combustibili fossili. Uno dei primi provvedimenti adottati è stata la concessione del visto turistico per gli abitanti di 49 stati diversi (Italia compresa), l’accesso libero al paese anche da parte di donne sole non accompagnate e di qualsiasi età, quindi la possibilità per uomini e donne stranieri non sposati di alloggiare nella stessa camera senza incorrere nelle sanzioni della polizia religiosa, ed infine nella decadenza per le donne straniere dell’obbligo di indossare in pubblico l’abaya, la tunica nera informe che ricopre le arabe dalla testa ai piedi. Per ora non si può chiedere di più ad una monarchia rigidamente conservatrice e tradizionalista.
L’Arabia, grande ben otto volte l’Italia ma con metà della popolazione, occupa gran parte della penisola arabica. Si tratta della 13° nazione al mondo per superficie, 2° tra gli stati arabi dopo l’Algeria e 2° in assoluto per immigrazione straniera. L’attuale dinastia regna dal 1932 con un numero davvero esagerato di principi e principesse – si parla di ben 2.500, ma nessuno ne conosce il numero esatto – tutti imparentati tra di loro, ognuno dei quali svolge una funzione pubblica. L’unica religiosa ammessa è l’Islam sunnita, declinato nella versione autoctona wahhabita, una delle più rigide ed ortodosse, anche se esiste da sempre una minoranza sciita, perseguitata e mal tollerata. La monarchia, ben coadiuvata da una onnipresente polizia religiosa incaricata di vigilare sulla morale pubblica, si è fatta garante per il mantenimento e l’accesso ai luoghi sacri dell’Islam, meta ogni anno di decine di milioni di pellegrini, rigidamente interdetti ai non musulmani. Ancora oggi le donne, rinchiuse in una settore riservato ed inaccessibile agli uomini della casa, godono di pochissimi diritti, sottoposte ai voleri di un tutore maschile, padre, marito, fratello o figlio che sia. Ma anche in questo campo le situazioni si stanno piano piano evolvendo in meglio: pretendere tutto e subito risulterebbe non conveniente.
Quanti si apprestano a visitare l’Arabia, debbono essere preparati ad affrontare un paese pieno di contraddizioni, forse anche per questo estremamente affascinante, dove incontrare tutto ed il suo contrario. Noi, che ci siamo stati più volte ed in momenti diversi, possiamo testimoniarlo. Dal punto di vista geografico si tratta di un enorme deserto, dove si alternano roccia e sabbia all’infinito, e dove trovano posto montagne alte oltre 3.000 m ma anche la più estesa concentrazione di dune di sabbia contigue del pianeta, nell’arido Rub al khali, totalmente disabitato. Il deserto però si affaccia ad est e ad ovest con ben 2.500 km di meravigliose spiagge intonse su due dei mari più ricchi di vita del mondo, mar Rosso e golfo Persico: il giorno in cui lo scoprirà il turismo di massa, potrà cambiare l’intero volto del paese. Soltanto il 2 % del terreno risulta coltivabile, in pratica solo nelle oasi irrigate, ma viene protetto ben il 37 % del territorio, tutelando la ricca biodiversità della tipica flora e fauna del deserto, presente con parecchi endemismi.
Le due città maggiori, la secca capitale Riyad all’interno e l’umida Jeddah sul mar Rosso, si presentano come due sfavillanti metropoli avveniristiche piene di grattacieli, di vialoni enormi percorsi da Ferrari e Lamborghini, di enormi centri commerciali dove si può acquistare il fior fiore della produzione di qualità del pianeta. A Jeddah un intero palazzone vende esclusivamente profumi di tutte le marche. Ma basta allontanarsi di poco dalle città su autostrade deserte per piombare nell’atavico silenzio e nel nulla del deserto, dove vivono secondo lo stile tradizionale i pastori nomadi bedù con le loro mandrie di capre e di cammelli. L’unica modernità risulta costituita da fuoristrada, telefonini e televisioni satellitari. Nei grandi magazzini si trova il meglio della tecnologia moderna, ma nella piazza centrale di Riyad dopo la preghiera del venerdì si può assistere al macabro rito della decapitazione pubblica dei condannati a morte, oltre al taglio della mano destra ai ladri. Più contraddizioni di così!
Dovrebbe bastare quanto sopra per invitare a partire alla scoperta di una terra peculiare, e forse unica. Nel caso non bastasse, teniate presente che questo deserto, solcato per secoli dalle lunghe carovane in cammino lungo la Via dell’Incenso e testimone delle gesta leggendarie di Lawrence d’Arabia, cela anche rilevanti e misconosciuti tesori storici ed archeologici. Tutti considerano le tombe rupestri di Petra, sito patrimonio Unesco nel deserto giordano, uno dei luoghi storici più suggestivi del Mediterraneo. Nessuno, o quasi, sa invece che presso Medain Saleh (la città del profeta Saleh), in un contesto non meno affascinante, nella necropoli di Hegra ci sono ben 130 tombe analoghe scavate nella roccia, con ingressi maestosi a forma di templi decorati da colonne, capitelli ed architravi, a cavallo dell’epoca cristiana dalla stessa popolazione, i Nabatei, in quanto Petra ed Hegra erano due importanti capisaldi della stessa via carovaniera che portava merci e spezie dal regno della regina di Saba (negli attuali Yemen e Oman) fino al Mediterraneo. Dell’antico insediamento non rimane alcun resto, se non la necropoli, in quanto la città era formata esclusivamente da tende, alla maniera tradizionale beduina ancora in atto. Colpisce come a breve distanza dalle tombe si trovi la spettrale stazione di Medain Saleh, sulla linea ferroviaria costruita nel 1800 dai turchi per unire Damasco alla città santa di Medina e sabotata da Lawrence, autore di imprese epiche in questo deserto.
Con la non trascurabile differenza che la prima pullula di alberghi e turisti in ogni stagione dell’anno, mentre la visita alla seconda la si compie quasi sempre in perfetta solitudine. Il deserto arabico cela poi tanti altri tesori, come la fortezza di Qasr Marid che nel 270 d.C. resistette all’assedio di Zenobia, la regina siriana di Palmira ribellatasi al soffocante potere romano, o i dodici monoliti di Al Rajajil, la Stonehenge nel deserto risalente al 3.500 a.C., che non si sa ancora bene se avessero una funzione religiosa o astronomica. Sempre non lontano da Hegra si possono visitare i resti di un’altra importante antica città del deserto, in questo caso necropoli rupestre e insediamento in pietra. Si tratta di Dedan, centro carovaniero attivo tra il VI ed il II secolo a.C., quando venne distrutta dai Sabei e sostituita con Hegra. Il nome di Dedan ricorre più volte nella Bibbia e fu bersaglio di maledizioni e di strali da parte di alcuni profeti, per la presunta scelleratezza dei suoi abitanti. Oggi fa impressione camminare tra cocci di ceramica, frammenti di mortai, pestelli e macine d’arenaria.
Paese dunque turisticamente assai interessante, ma anche eccessivamente conservatore, maschilista e rigido custode dell’ortodossia islamica, in quanto patria dei luoghi santi per antonomasia dell’Islam con La Mecca e Medina, impone al visitatore regole inderogabili: solo viaggi di gruppo su percorsi prestabiliti, niente campeggio nel deserto, impossibilità di accesso alle moschee ed alle città sacre, divieto di alcol, droga e pornografia, abbigliamento castigato per gli uomini, mentre le donne fino a ieri erano obbligate ad indossare in pubblico una tunica nera, l’abaya, che le ricopriva dalla testa ai piedi; oggi basta andare vestite in maniera decente, senza mostrare le forme del corpo, la carne nuda ed i capelli. Ma ne vale sicuramente la pena.
Un possibile itinerario di 8 giorni prevede l’attraversamento dell’ Hisma Valley, caratterizzata da spettacolari formazioni di roccia come faraglioni, archi e torrioni che affiorano da dune dall’incredibile colore rosso mattone; si tratta della stessa formazione geologica del non lontano Wadi Rum giordano, ma assai più vasta e grandiosa. Superati canyon e vallate si raggiunge la costa del Mar Rosso, dove baie nascoste, spiagge incontaminate, mare cristallino e piccoli paesi di pescatori invitano ad un bagno, quindi dopo aver scavalcato le alte montagne dell’Haijaz si ritorna nel deserto fino all’oasi di El Ula, con un bel palmeto e case di fango, dove si trova la necropoli rupestre di Dedan, datata tra 6° e 2° secolo a.C. e menzionata nell’Antico Testamento. Percorrendo un incredibile paesaggio di pinnacoli policromi di roccia curiosamente erosi in mille forme bizzarre si raggiunge il sito archeologico di Madain Saleh, con le sue suggestive tombe rupestri scolpite all’esterno a forma di tempio e infine Jeddah e Riyadh, con quartieri dall’architettura tradizionale e mercati pieni di vita.
Testo/Giulio Badini – Foto/Archivio Arnesano – Badini