L’estremo sud-ovest della Sardegna, nel territorio minerario dell’Iglesiente tra spiagge solitarie e falesie precipiti a mare, cela un tesoro naturalistico e scientifico di primissimo piano, tanto segreto che a conoscerlo sono davvero in pochi e, soprattutto, occorre andarselo a cercare sottoterra, nel profondo della montagna, dopo un percorso piuttosto accidentato compiuto entro antiche gallerie di escavazione mineraria ora abbandonate, dapprima su un trenino elettrico residuo d’epoca, poi attraverso un pozzo ascensore, ed infine attraverso una scaletta a chiocciola: più complicato di così ! Si tratta della Grotta di Santa Barbara (la patrona dei minatori), ubicata all’interno della miniera di San Giovanni, nel Parco minerario della Sardegna protetto dall’Unesco.
Le grotte in Sardegna non costituiscono certo una novità, sia per il fatto che l’isola possiede le rocce più antiche in assoluto, quindi un’estrema varietà geologica, sia soprattutto per l’estrema ricchezza di massicci calcareo-carsici, al cui interno si trovano alcune delle più estese cavità italiane, spesso percorse da imponenti fiumi ipogei. Queste acque meteorologiche, raccolte entro imponenti bacini idrici, tornano in superficie attraverso imponenti risorgenti come la valchiusana Su Gologone, esplorata per oltre un centinaio di metri di profondità, oppure direttamente in mare. Nella zona del Supramonte, una delle maggiori aree carsiche italiane, si apre anche il maggior canyon d’Europa, la Gola di Gorropu. In Sardegna si trovano un gran numero di grotte, alcune facilmente visitabili anche turisticamente, sia lungo la costa, come nel caso della suggestiva Grotta del Nettuno a Capo Caccia, accessibile via mare oppure attraverso un sentiero aereo nella falesia con oltre 600 gradini, oppure quella del Bue Marino a Dorgali, un tempo sede degli ultimi esemplari sardi di foca monaca: e poi quelle numerose nell’interno, un po’ ovunque e ognuna diversa all’altra.
Santa Barbara, una delle grotte più antiche in assoluto e sicuramente d’Italia, rappresentano però un mondo totalmente diverso, forse unico. Tutte le grotte presentano infatti una precisa relazione climatica con il mondo esterno, con la montagna esistente sopra, attraverso le correnti d’aria. Santa Barbara no. Essa venne infatti scoperta da alcuni minatori, intenti a scavare una galleria di raccordo tra due diversi piani di coltivazione mineraria: sfondando un diaframma di roccia, penetrarono in una caverna che non aveva mai avuto alcun tipo di contatto con il mondo esterno: un enorme geode concrezionato, chiuso da sempre ad ogni influenza climatica e di contaminazione esterna di qualsiasi tipo, cristallizzato nella sua formazione e crescita nel tempo. In un tempo impreciso ed indeterminato, sicuramente non breve a giudicare dall’abbondanza dei depositi di bicarbonato di calcio (basterebbe compiere carotaggi per arrivare a precise misurazioni temporali), ma si tratta di tempi sicuramente enormi, di parecchi milioni di anni), forse con fasi intermedie di interruzioni e di quiescenza. Un tempo comunque tanto dilatato, da sfuggire ad ogni comprensione umana.
Provate ad immaginare se una tale scoperta, anziché in Sardegna negli anni Cinquanta del secolo scorso, fosse avvenuta più di recente in un paese scientificamente più avanzato (tipo Stati Uniti, Canada o Gran Bretagna) e magari al posto di rozzi minatori ci fossero stati speleologi veri, oppure specialisti di meteorologia ipogea: si sarebbero evitati errori clamorosi, come il consentire il miscelarsi di due “arie”, completamente diverse l’una dall’altra, una esterna con tutto il suo carico di batteri, funghi, spore, miceti, ecc., ed inquinanti esistenti, l’altra pura e fossile vecchia di milioni d’anni di assoluto isolamento. Sarebbero bastate una o più porte stagne a mantenere in isolamento climatico i due diversi ambienti, e invece della Grotta turistica di Santa Barbara, con poche migliaia di visitatori all’anno, saremmo qua a raccontare una storia ben diversa, la scoperta scientifica del secolo (o del millennio), con a disposizione una grotta totalmente sterile da qualsiasi punto di vista batterio-clinico, da poter essere sfruttata come laboratorio di speleoterapia, per la cura e le ricerche sulle affezioni dell’appartato respiratorio, ad esempio. Una roba avveniristica per una medicina da fantascienza, un’occasione davvero sprecata per l’umanità.
Non che la Grotta di Santa Barbara, aperta al pubblico dal 2016, non offra specificità da meravigliare il visitatore, il quale ha la pazienza di inoltrarsi così nel cuore della montagna dell’Iglesiente per ammirarla. Innanzi tutto la peculiarità dell’esistenza, all’interno di una montagna, di una cavità con una vita propria autonoma e lunghissima, totalmente indipendente da altri fattori. In ogni montagna ce ne possono esistere potenzialmente altre, ancora da scoprire. E poi l’ingente quantità di bicarbonato di calcio, sotto forma di concrezioni alabastrine di calcite, a più colori a secondo dei contenuti minerari, da aver ricoperto per un potente tratto ogni angolo della grande caverna alta 25 m. Sarebbe interessante calcolare l’ingente massa carbonatica, per tentare di calcolare la durata di formazione, in tempi geologici. La cavità si apre in una roccia antichissima, uno strato di calcare ceroide e dolomie gialle silicizzate, risalenti al Cambrico inferiore, circa 500 milioni di anni fa. Fate un po’ voi.
La vera peculiarità di questa grotta, che ne fanno un po’ un unicum assoluto, è però costituito dalla presenza – sulle concrezioni calcaree, di piacevoli ricristallizzazioni di formazioni coralloidi eccentriche di aragonite (carbonato di calcio neutro, a volte piacevolmente colorate di azzurro), poi le cosiddette concrezioni a nido d’ape, un minuscolo ma suggestivo laghetto, ed infine – sempre sulle concrezioni calcaree – di stupendi cristalli tabulari di barite bruno scura (minerale cristallino di bario, consistente in un solfato di bario), nonché una serie di concrezioni semisferiche calcare bianco candido, ricoperte da formazioni eccentriche di aragonite. Dal punto di vista scientifico la grotta venne esplorata nei primi anni 60 dagli speleologi bolognesi dell’USB, guidati dal prof. Paolo Forti, geochimico dell’Università di Bologna, tra i maggiori studiosi di minerali ipogei.
Info. La miniera di San Giovanni si trova a 4 km da Iglesias. La visita dura 75 minuti e costa 15 €. Abbigliamento consono ad una escursione sottoterra, in particolare per quanto riguarda le calzature (no infradito, ciabatte e zoccoli, ma scarpe chiuse. Ad Iglesias da visitare c’è l’interessante Museo d’Arte Mineraria, e nelle vicinanze altre miniere non più attive come Monteponi, San Giovanni di Domusnovas e Masua. Tel. 0781 77 45 07 –
www.sardegnaturismo.it/it/esplora/santa-barbara – www.visitiglesias.comune.iglesias.ca.it/
Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini