Chi vi mette piede sotto il sole del primo pomeriggio può pensare di essere capitato in un villaggio medievale abbandonato. Vicoli silenziosi, pietre antiche, pavimentazioni sconnesse, silenzio. La vecchia chiesa di Sant’Egidio, mai ristrutturata, mostra ancora tracce degli stucchi e delle pitture originarie. Più in là accade lo stesso con l’oratorio di San Giovanni Battista. Muri crollati a metà, volte scoperchiate, cancelli arrugginiti oltre i quali la vegetazione cresce spontanea quasi a voler proteggere una ricchezza antica.
Tutto sembra essersi fermato nell’Ottocento, quando tre diversi terremoti trasformarono il villaggio antico di Bussana, a pochi chilometri da Sanremo, in un cumulo di macerie. Solo il campanile della chiesa è miracolosamente scampato al sisma. Un segnale di qualcosa di vivo, ma non è l’unico. Basta ascoltare il rumore fuori dalle porte o oltre le tende colorate, curiosare al di là delle finestre, entrare in punta di piedi nel paese per scoprire che oggi il suo cuore batte ancora. Ed è un cuore fatto di musica e di colore. Ad ogni passo atelier d’arte, botteghe artigiane, giardini trasformati in installazioni multiformi, bar e localini. Benvenuti a Bussana Vecchia, questo il nuovo nome del villaggio, per distinguerlo da quello nuovo, costruito 3 chilometri più in basso dalle generazioni degli abitanti fuggiti dal terremoto. Le case furono distrutte in diverse ondate dalla furia della terra, nel 1831, nel 1854 e nel 1887. Ciò che non cadde col sisma, venne sgomberato dallo Stato. Poi, negli anni Sessanta, la riscoperta di queste vecchie pietre con l’arrivo dei primi artisti che vi fondarono la loro comunità, restaurando ciascuno l’abitazione che trovava. Oggi all’ingresso del paese c’è un cartello che descrive Bussana Vecchia come “Villaggio medioevale artistico-artigianale”.
Chi sale sui suoi colli nell’entroterra ligure, a pochi minuti dal mare, respira l’aria di un villaggio hippie che negli anni ha saputo strizzare l’occhio al turismo: sedie colorate appese fuori dalle porte, mattoni antichi in vendita, persino una sorta di museo botanico tra le macerie, il punto più alto del borgo, dal quale osservare il panorama e la bella chiesa dal tetto sfondato. Si entra con 2 euro e 50 centesimi e all’uscita ti regalano una piantina da portare a casa come souvenir. Un borgo capace di restare nella memoria, così come quello di Triora, meglio conosciuto come il paese delle streghe. Il suo pane casereccio, preparato con farina e crusca e tagliato a fettine, ancora oggi arriva come una prelibatezza sulle tavole dei locali sul mare di Arma di Taggia e Sanremo, dove si mescola al profumo dell’olio, delle olive taggiasche, della focaccia ligure e del basilico che rappresenta il principale ingrediente del pesto. La sua storia però è molto di più.
Per raggiungere Triora ci vuole mezz’ora buona fra strade accidentate e tornanti nell’entroterra di Taggia, esattamente nella verde Valle Argentina. Il borgo racconta leggende e storie vere, come quelle di alcune donne di Triora che sul finire del Cinquecento furono vittime di uno dei più sanguinosi processi per stregoneria in Liguria, i cui atti sono in mostra al museo etnografico e della stregoneria all’inizio del paese. Storie che rivivono nella leggenda delle case diroccate, dei cunicoli scavati nella roccia, dei bassorilievi ricavati nella pietra nera e delle sculture affascinanti.
Un angolo di Liguria ricco di storia e leggenda ma che non dimentica il sacro. Come il santuario seicentesco di Nostra Signora di Lampedusa, a Castellaro, un’altra opera dalle origini curiose dalla cui sommità si può ammirare il panorama collinare che si estende fino al mare. Cosa lega la provincia di Imperia all’isola più a sud d’Italia? La pia tradizione lega la nascita del santuario alle peripezie di un abitante dell’allora borgo di Castellaro, a un chilometro di distanza dall’edificio. Si narra infatti che il paesano Andrea Anfossi, soprannominato “Gagliardo”, nel 1561 fu fatto prigioniero dai pirati turchi che assaltarono il paese; un’altra versione vede invece il protagonista cadere in mano dei saraceni mentre dava loro la caccia in mare. In ogni caso l’uomo fu fatto schiavo e caricato su una nave turca. Durante uno scalo nell’isola di Lampedusa, secondo la leggenda fu mandato a fare legna per approvvigionare la nave ed è proprio lì che ritrovò in una nicchia una tela con l’immagine della Vergine Maria. Un incontro miracoloso, poiché costruendo una barca rudimentale e utilizzando la tela sacra come vela, l’uomo riuscì ad affrontare il mare aperto e fare ritorno nella sua terra d’origine. Così, per ringraziare la Madonna, fece voto di erigere il santuario all’inizio del Seicento.
Ma, incastonato tra l’azzurro del mare e le montagne, questo piccolo angolo di Liguria offre anche lo svago della villeggiatura, la sostenibilità delle lunghe piste ciclabili e il fascino delle spiagge distese fra Arma di Taggia (con un centro storico da visitare tra porticati, antichi cortili e vecchie chiese) e Sanremo, elegante cittadina che lega il suo nome al Festival della canzone italiana, nato nel 1951 per incrementare il turismo nella stagione invernale, considerata morta, e allo storico Casinò, a due passi dalla chiesa di San Salvatore con le sue cinque cupole a cipolla. Una città entrata nella leggenda, come il famoso teatro Ariston, scenario di migliaia di selfie dei turisti, o la statua di Mike Bongiorno, che presentò tutte le edizioni del festival dal 1963 al 1967.
Testo e foto/Monica Guzzi