Si narra che Aleramo cavalcò tre giorni e tre notti per segnare con gli zoccoli dei suoi cavalli la terra che l’imperatore Ottone I si era impegnato a donargli per avergli salvato la vita. Nacque così il Monferrato. Una terra buona e bella caratterizzata in realtà da un’immagine più dolce rispetto a quella ruvida delle armi dei cavalieri, associata piuttosto a morbide colline, cantine e vigneti riconosciuti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Una terra ricchissima (sono ben 107 i diversi tipi di terreno nel Monferrato) da scoprire nelle gite fuori porta, fra una passeggiata in un piccolo borgo contadino e un bicchiere di vino ricco di storia. Sì, perché questo paesaggio ondulato così bello quando è baciato dal sole e così misterioso quando è avvolto dalla nebbia, è stato capace di dare frutti antichi: la prima menzione dell’uva barbera è infatti riferita alla cosiddetta “uva grissa” citata da Pier de Crescenzi nel 1200, seguito quattro secoli più tardi da Giovan Battista Croce, l’orafo di Casa Savoia, fino ad arrivare, attraverso diverse fasi di rivoluzione e rinascita, ai giorni nostri con un’immagine completamente rinnovata.
“Barbera e champagne”, cantava Giorgio Gaber, dove il primo è il vino che per secoli ha accompagnato il pasto dei piemontesi: un pintone sul tavolo non poteva mancare mai, ed era il vino povero, quotidiano, quello che permetteva a chi coltivava la terra o faceva lavori pesanti di sopportare la fatica. Un vino povero – contrapposto a Freisa e Grignolino, sempre presenti invece sulle tavole aristocratiche di Casa Savoia – che con Gino Veronelli è diventato importante. Una svolta che negli anni Ottanta ha trasformato un vino semplice in un vino di struttura, ricco, importante e longevo. Con i principali Docg piemontesi, Barbera d’Asti, Barbera d’Asti Superiore e Nizza, altri importanti rossi del Monferrato, ognuno legato a una storia. Dal Freisa, amato da Vittorio Emanuele, al Grignolino, immancabile nei pasti di re Umberto, o il Ruchè di Castagnole Monferrato, riscoperto da un parroco col pallino dell’impresa negli anni Settanta. Scoprire un vino è un’occasione per scoprire un territorio, a partire da Asti con le sue torri, le cui ricche famiglie cominciarono a fare fortuna prestando i soldi alla Francia. Ma è anche un’occasione per andare per cantine, seguendo la linea curva dei vigneti.
Circondata a 360 gradi da vigneti coltivati a Barbera, Moscato e Brachetto, la Cantina di Alice Bel Colle si trova a 418 metri sul livello del mare, l’altezza giusta per abbracciare con un unico sguardo tre colture diverse, tre modi di intendere il vigneto, la sua gente e i suoi frutti. Tra Alpi e Appennini, il colle di Alice (con l’accento sulla “A”) è un meraviglioso punto d’approdo da cui scorgere vigneti a perdita d’occhio. Qui lavorano 100 viticoltori, con un parco composto da 200 ettari coltivati a Moscato bianco, la varietà più pregiata, 60 ettari a Brachetto, 50 a Barbera e i restanti 40 divisi tra Dolcetto, Chardonnay, Cortese e altre uve. Dall’antico nome del paese, Alix, prende il nome anche il suo Barbera d’Asti Superiore Docg.
Spostandosi da Alice a Mombaruzzo può capitare di essere accolti da uno scampanio inusuale. Qui infatti si trova l’unica scuola per campanari del Piemonte. Ma non è la sola particolarità del luogo. Lungo la strada ci accoglie infatti un vigneto contraddistinto da matite giganti colorate. Si trovano lì, custodi in maxiscala a presidiare la proprietà di 100 ettari condotta dai fratelli Pico e Vitaliano Maccario, un modello di modernità sotto il simbolo della rosa, marchio dell’azienda ma anche presenza utile a contraddistinguere ogni filare e a segnalare in anticipo, come da tradizione, le malattie che possono colpire le viti.
I vigneti sono impiantati a Barbera per 88 ettari, Merlot e Cabernet per 2 ettari, e poi Chardonnay, Sauvignon Blanc, Moscato, Freisa. I vini hanno nomi che raccontano una storia: dal “Vita”, Monferrato Bianco Doc, all’”Epico”, Barbera d’Asti Superiore Docg. Ci sono poi le etichette d’arte, quella del “Lavignone”, che riprende il lembo del mantello della Vergine in un quadro del Botticelli custodito agli Uffizi, o quella dei “Tre Roveri” col mantello della Vergine dipinto da Michelangelo, tutte riproduzioni rese possibili da una donazione della cantina al museo. Chi visita la cantina nota per i suoi Tre Bicchieri non può perdersi anche le installazioni artistiche e d’arredo, ispirate a due animali simbolo della cultura piemontese: la chiocciola e la rana.
Una gita nella natura e nell’arte anche per chi arriva dai Viticoltori Associati di Vinchio-Vaglio Serra, noti per i vini ma anche per le installazioni di land art che caratterizzano il Sentiero dei Nidi, con tre stazioni da cui godere dei panorami delle vigne partendo dall’area verde della Cantina fino a raggiungere l’ingresso della riserva naturale della Val Sarmassa. Nella stessa zona, nei pressi dei Bricco Monte del Mare, il punto più alto e panoramico del Comune di Vinchio, sorge una Panchina Gigante: da qui lo sguardo arriva fino al Monviso e alla catena che dalle Alpi Marittime va alle Cozie del Re di Pietra per finire alle Graie. La cantina ha lanciato un nuovo logo e nuove etichette per i suoi prodotti, a partire dal più conosciuto, “I Tre Vescovi”, Barbera d’Asti Superiore, che deve il suo nome a una pietra sulla quale erano soliti trovarsi per prendere accordi nel passato i vescovi di Alba, Alessandria e Asti. Nuova veste anche per l’”Alta Langa”, lo spumante metodo classico, prodotto innovativo di Vinchio Vaglio per il 2020. Vinchio Vaglio è sempre stata una cantina innovativa, dalla valorizzazione delle Vigne Vecchie (anni 80) allo sviluppo dell’accoglienza in cantina, fino alla commercializzazione dei bag-in-box. Chi vuole andare oltre la tradizionale visita, può partecipare anche ai picnic.
In un anno minacciato dall’emergenza Covid, i vini delle denominazioni del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato (che tutela 13 denominazioni, 4 Docg – Barbera d’Asti, Nizza, Ruchè di Castagnole Monferrato e Terre Alfieri – e 9 Doc – Albugnano, Cortese dell’Alto Monferrato, Dolcetto d’Asti, Freisa d’Asti, Grignolino d’Asti, Loazzolo, Malvasia di Castelnuovo Don Bosco, Monferrato e Piemonte), hanno retto bene, registrando alla fine di agosto un + 1,22% rispetto al 2019. Un dato che fotografa un comparto solido e ben piazzato sul mercato, con alcune novità come il Marengo, la versione spumante del Piemonte Cortese. Un vino che reca nel nome quello benaugurale di una vittoria: quando nel 1800 Napoleone conseguì in queste zone il successo di una battaglia che gli aprì le porte d’Europa. Resta comunque la Barbera d’Asti Docg a rappresentare il prodotto di massima espressione identitaria del Monferrato, con una quota export attestata intorno al 50% della produzione. Coltivata in 167 comuni dei quali 116 in provincia di Asti e 51 in provincia di Alessandria, la Barbera d’Asti Docg occupa un territorio abbastanza vasto da restituire al vino un ventaglio di espressioni e colori meravigliosamente diversificato. Uno scenario che propone anche nicchie enologiche di grande rilievo, come l’Albugnano, il Nebbiolo coltivato nelle aree limitrofe alla provincia di Torino, oppure il Cortese dell’Alto Monferrato. «Con 13 denominazioni tutelate, oltre 65 milioni di bottiglie e più di 11mila ettari vitati, il Consorzio rappresenta interamente un territorio variegato come il Monferrato che, in particolare negli ultimi anni, sta diventando un traino decisivo del comprensorio Unesco – dichiara Filippo Mobrici, presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato –.
Il Monferrato è un territorio di bellezza e opportunità, dove giovani imprenditori e grandi aziende hanno cominciato a investire risorse sempre più importanti che dal vino portano a importanti ricadute economiche nei settori immobiliari, enoturistici e della ristorazione».
Etichette e storie presentate nel mese di settembre alla manifestazione astigiana del vino Douja d’Or, la prima a essere organizzata in presenza dopo le restrizioni.
www.viniastimonferrato.it
Testo/Monica Guzzi – Foto/Monica Guzzi e Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato