Per chi ama assaporare i pregi del Mediterraneo, esistono delle immagini e dei piaceri che ti fanno subito comprendere di essere in Grecia. Il mare innanzitutto, con una trasparenza e un colore che si trova difficilmente in altre località del Mare Nostrum. Oppure gli ulivi, la cordialità degli abitanti, il frinire delle cicale. E il cibo. In Grecia il cibo ha un sapore tutto particolare, ed è degustato con la parola d’ordine sigà sigà, piano piano. Qui non riesci a nutrirti, ma solo ad assaporare gusti così simili e diversi allo stesso tempo rispetto a quelli cui siamo abituati, che regalano continue sensazioni positive e di benessere. Succede dalla taverna in cui ti sei accomodato, spesso su una terrazza di fronte al mare e sotto un pergolato d’ulivo, con tavoli di legno e tovaglie a quadri bianchi e azzurri. Grazie al clima capita sovente anche d’inverno di riuscire a mangiare all’aperto.
Poi inizi a mangiare i tipici antipasti, i meze, una serie infinita di piccoli assaggi che non possono non deliziare il palato. Oppure prendi qualcosa ancora di più semplice, di antico: le olive, i sottaceti, le acciughe, oppure i dolmades, delle polpettine di riso a volte mescolate con carne trita e avvolte dalle foglie della vite. E non puoi non sentirti in terra ellenica, trasportato indietro di oltre 2000 anni. È a questo punto che sicuramente giunge il desiderio di qualcosa di fresco, e la Grecia può offrire delle gradite sorprese a chi ama il buon vino. D’altronde fu il primo paese europeo a importare la vite intorno al 2.000 a.C., grazie ai commercianti Fenici; anche se, la sua provenienza d’origine era la Georgia, dove sono state trovate tracce di coltivazione di vitis vinifera risalenti a ottomila anni fa. Nell’antichità il vino era utilizzato in Grecia a scopi rituali e religiosi: il dio del vino era Dioniso, colui che aveva rivelato agli uomini i segreti della produzione della bevanda e in onore del quale erano celebrate le feste dedicate al vino, le cosiddette Orge Dionisiache. Il vino era però molto diverso rispetto a quello cui oggi siamo abituati, molto dolce, ed era bevuto diluito con acqua. Dall’età classica il bere comune aveva carattere di ritualità, celebrata dal symposion al termine della cena, e consisteva in una bevuta collettiva con musica e spettacoli, e recitazione di versi e discussione di diversi argomenti.
L’usanza di bere vino annacquato era attribuita allo stesso Dioniso, e la dolcezza era accentuata spesso con l’aggiunta di miele; il vino mescolato all’acqua distingueva i Greci dai barbari e oltremodo ripreso dall’antica Roma. Il vino veniva durante il simposio miscelato all’acqua all’interno dei crateri, che erano dedicati alle divinità. Berlo puro poteva portare alla pazzia, prova ne era stata il re spartano Cleomene, reso folle dalla bevanda bevuta pura alla maniera degli Sciti. Bere “alla maniera scitica” era quindi assai sconveniente e pericoloso. Poichè il vino temeva l’ossidazione dell’aria suo nemico principale, gli antichi greci cominciarono così a usare la resina per sigillare la parte superiore delle anfore dove era immagazzinato e trasportato. La aggiunsero quindi al vino stesso, in modo che formasse una pellicola protettiva nei confronti dell’aria, utilizzando il Pino d’Aleppo, particolarmente diffuso in Grecia specialmente nella regione dell’Attica, quella di Atene.
Questo vino, sopravvissuto ai millenni, rappresenta tuttora il 30% della produzione greca: si tratta, infatti, della Retsina (o del Retsina, l’attribuzione del suo genere è dubbia, come per il – la – Barbera).Il vitigno fondamentale per la sua produzione è quello chiamato Savatiano, una varietà tipica dell’Attica ma diffusa dai Greci antichi anche in Eubea, e poi su fino a Pomorie, città bulgara sul Mar Nero, dove c’erano una colonia e stazione commerciale. A volte il Savatiano è mescolato con le uve Roditis; per entrambi i vitigni la particolarità è di prosperare nel caldo e nell’aridità tipiche di queste regioni. Durante l’Impero bizantino, la Retsina era esportata nella capitale, dove era molto apprezzata, mentre sotto la dominazione turca, la sua produzione, non gradita per motivi religiosi, ebbe un notevole calo. Con l’indipendenza fu ripresa ampiamente e il vino era trasportato in barili alle taverne di tutta la Grecia, dove, raramente, è ancora possibile trovarlo in questi contenitori. Dagli anni Sessanta, il contenitore tipo della Retsina è la bottiglia di vetro da 50 ml, quella che si trova abitualmente nei ristoranti, e il cui consumo è ormai ampiamente superato dall’ottimo vino bianco secco diffuso in tutto il paese. Anche i rosé e i rari rossi greci sono poco conosciuti all’estero ma di buona qualità, e ormai la Retsina è spesso apprezzata più come particolarità per turisti che per il normale consumo. Servita ghiacciata è però molto gradevole, soprattutto d’estate di fronte al mare. Rimarrete stupiti dal sapore così particolare, al quale non siamo assolutamente abituati: con un pezzo di feta spalmato sulla pita, e una ciotola di eccezionali olive rimarrà quindi per sempre nei vostri ricordi.
Testo e foto/ Paolo Ponga