“Sono rare e per tanto inestimabili le avventure che si possono vivere comodamente seduti, ma quasi nessun itinerario automobilistico può essere paragonato alla leggendaria Dalton Hwy”
Alaska –Lonely Planet
L’esplorazione del grande nord americano affonda le sue radici alla fine del XVI ed all’inizio del XVII secolo. Francia ed Inghilterra si confrontavano in una gara per accaparrarsi i territori sulle orme dei cacciatori di pellicce che stavano esplorando, inconsapevolmente, quell’immenso territorio coperto di foreste, pianure, montagne ed abitato da un buon numero di tribù di nativi, spesso in guerra tra loro. Insomma era un mondo ancora sconosciuto. Diversi navigatori, negli stessi periodi, hanno cercato il mitico “Passaggio a “Nord Ovest” o a “Nord Est” (a seconda della direzione da loro intrapresa) per passare da un oceano all’altro. In quei tempi e fino al XIX secolo, i ghiacci dell’Artide arrivavano, molto più a contatto con le sconosciute coste del “Grande Nord” del mondo, rispetto a quello che si vede adesso. La cartografia era pertanto imprecisa e con ampi spazi bianchi, perché i territori non erano ancora conosciuti. Ancora esistono vaste aree dove non vi sono strade, villaggi e, tanto meno, persone che, lassù, possano vivere stabilmente. Solo le comunità Inuit (Eschimesi ovvero costruttori di canoe) sono ben adattate alle gelide aree artiche. Oggi è diventato possibile visitare alcune regioni del Grande Nord dell’Alaska che arrivano praticamente sulle rive dell’Oceano Artico. Una di queste opportunità è offerta dalla Dalton Highway. Questa strada è classificata come una tra le più pericolose e solitarie del Nord America.
Alle origini della Dalton HWY. Nel 1969 venne scoperto un vasto giacimento di petrolio proprio sulla costa settentrionale dell’Alaska. Era, quindi, diventato di primaria importanza, costruire una via che penetrasse in quel selvaggio e solitario territorio, per permettere i trasporti dei materiali necessari al montaggio di un oleodotto che, dalla baia di Prudhoe, sul Mar Glaciale Artico, arrivasse giù a Sud, a Valdez, nel Golfo dell’Alaska. Inizialmente era stata denominata North Slope Haul Road. Nel 1973 ci fu la grande crisi petrolifera che aveva causato una riduzione delle scorte di idrocarburi degli USA. Conoscendo le potenzialità dei depositi di olii fossili a Prudhoe Bay,per organizzare l’estrazione del petrolio, i primi lavori iniziarono alla fine dell’aprile del 1974 e, come spesso avviene negli Stati Uniti, dopo soltanto cinque mesi, fu completata una strada che, con i suoi oltre 660 chilometri, saliva fino alle rive del Mar Glaciale Artico. Nel 1977 venne completato l’oleodotto che da lassù scende a Valdez dopo un percorso di quasi 1.300 km (Trans Alaska Pipeline System). L’arteria fu poi dedicata all’ingegnere, specializzato in lavori in zone artiche, James William Dalton, diventato molto noto per aver collaborato attivamente nella realizzazione di una rete di radar dalle Aleutine, al nord dell’Alaska e Canada (Distant Early Warning System), durante gli anni della Guerra Fredda. L’importanza di queste postazioni si evidenziò quando, un giorno, i radar registrarono delle tracce, sugli schermi, che furono interpretate come missili intercontinentali russi in rapido avvicinamento (verosimilmente con testate atomiche). Il livello di allarme raggiunse i valori massimi nella scala di rischio di attacco, ma per fortuna non scattò la risposta missilistica americana perché, all’ultimo momento, si comprese che, quei segnali radar, erano stati prodotti da pezzi di un meteorite che si stava frantumando nell’atmosfera e la guerra nucleare fu, per fortuna, evitata! La Dalton Hwy fu costruita con una larghezza di 8,53 metri e sostenuta da un fondo di quasi due di spessore, allo scopo di darle stabilità, poiché al di sotto esiste uno compatto strato di suolo ghiacciato (permafrost) che non doveva subire deformazioni al passaggio dei grossi camion. Considerando l’iniziale segretezza della rete di difesa radar e l’estrazione del petrolio a Prudhoe Bay, la viabilità, inizialmente, fu ad esclusivo appannaggio dei mezzi riservati ai militari ed all’azienda petrolifera, per lo più costituiti da grossi autotreni. Nel 1961 venne aperta al traffico dei privati, solo però, fino a circa 20 km a nord del Circolo Polare, purché tali veicoli fossero forniti di uno speciale permesso di transito. È necessario arrivare al 1994 per consentire, a tutte le vetture, di raggiungere Deadhorse, vicino all’ingresso dei campi petroliferi, oggi visitabili con tour organizzati dalla stessa compagnia.
Alla scoperta della Dalton. Partendo da Fairbanks, nel cuore dell’Alaska, dopo135 km si raggiunge Livengood, un villaggio di neanche una trentina di persone, proprio all’incrocio con la Elliot Hwy, proprio da qui inizia la Dalton. Con dolci ondulazioni si sale verso le montagne in direzione Nord, circondati dalla foresta boreale con conifere sempre più basse ed esili, per i fattori limitanti causati dalla latitudine e dal clima. L’incontro con il maestoso Yukon River (che si attraversa su un ponte dalla pavimentazione in legno) è sempre emozionante, anche perché il fiume si dirige, amplissimo, verso la foce. Lo Yukon, infatti, molto più avanti, formerà un ampio delta, che sfocerà nel Mare di Bering, dopo aver percorso 3.190 km. Vicino al ponte, c’è una piccola costruzione in cui la signora Dorothy, crea e vende graziosi oggetti da lei realizzati con i materiali che reperisce lì attorno. Lo Yukon River, in inverno, si gela completamente ed in primavera, con l’aumento delle temperature, il ghiaccio si rompe in grandi lastroni che, la sottostante corrente, sposta provocando collisioni con grande fragore.
Si passa sulla linea del Circolo Polare Artico e si prosegue, sempre su una strada dal fondo buono e a tratti con asfalto. L’oleodotto, spesso, è vicino alla strada e sempre sollevato da terra per mantenere una certa pendenza e per adattarsi al sottostante permafrost. Altra peculiarità, di quest’opera ingegneristica, è volutamente ecologica in quanto è rivolta a favorire l’attraversamento degli animali qui numerosi.
Coldfoot (un paese con poco più di 10 abitanti)è un punto di rifornimento di carburante e con un ristorantino. In origine era una semplice piazzola di sosta per i camionisti, poi Dick Mackey ebbe l’idea di vendere hamburgers su un vecchio scuola-bus, adattato a cucina. Visto il successo creò un vero ristorante per chi passava da lì. Il nome Coldfoot (Piede freddo) gli fu dato dai minatori che qui lavoravano (all’inizio del XX secolo) durante i gelidi mesi invernali.
Dopo Wiseman (piccolo insediamento abitato da una ventina di persone) si entra tra le montagne del Brooks Range. Superato l’Atigun Pass di 1.400 metri (il più alto dell’Alaska) si entra in un mondo nuovo. S’incontrano Lupi artici (Canis lupus arctos)ed altre faune disseminate in queste immense terre selvagge e spopolate… Questi canidi sono animali con orecchie piccole per ridurre meglio la perdita del calore e con la tipica pelliccia biancastra per meglio mimetizzarsi nella neve. La loro aspettativa di vita è di circa 7-10 anni e i maschi pesano fino a 70 kg. Il paesaggio diventa a dir poco spettacolare quando si entra nella Sagavanikot Valley. Montagne innevate che ne delimitano altre misteriose con gole che si perdono verso Est, totalmente disabitate e paludi. In altre parole un paesaggio di tundra degno di un documentario. Le Brooks Mountains fanno parte dell’amplissimo Artic National Wildlife Refuge, un’area protetta in maniera assoluta, di 34.000 km quadrati con una lunghezza di quasi 1300 km, dove il controllo dei rangersè strettissimo. L’Ente Parco non vuole pubblicizzare troppo questa area, per mantenere intatto il fragile ecosistema artico. Inoltre è ancora aperto il contenzioso con la compagnia petrolifera per le trivellazioni, che opera nel vicino Mare Artico. La tundra s’insinua in vallate circondate da montagne innevate e fredde, praticamente inesplorate.
Ben presto la Dalton attraversa ampie pianure poiché ci si avvicina alle zone costiere. Si possono trovare mandrie di caribou che non temono di attraversare la strada anche se incontrano camion che provengono dagli impianti petroliferi di Prudhoe Bay. Quasi a Deadhorse, si possono osservare mandrie di Buoi muschiati che alla fine del XIX secolo erano quasi estinti per una caccia sconsiderata. Si tratta di animali della famiglia dei caprini, originatesi nel Miocene. Per proteggere i piccoli si chiudono in cerchio, in tal modo resistono agli attacchi dei lupi, ma, difficilmente, riescono ad imporsi agli orsi polari. La strada termina a Deadhorse, un “non paese” senza scuole, né chiese poiché è un aggregato di strutture industriali che ospitano le migliaia di persone stagionali le quali, dalla fine dell’inverno, lavorano ai pozzi di petrolio che da Deadhorse, si notano per i fumi che s’innalzano nel cielo grigio dell’artico.
Il problema è ben più vasto dei fumi dei pozzi, bensì sono i sistemi di ricerca sismica di nuovi giacimenti offshore. Si tratta infatti di un inquinamento acustico che produce danni tremendi alle faune marine, mammiferi in primis. I decibel prodotti dall’aria compressa, sparata sui fondali, per produrre onde sismiche, sono superiori a quelli che, ad esempio, produceva lo Shuttle al decollo! Le conseguenze sono ormai evidenti. Questi fattori richiedono la creazione di una nuova legislazione internazionale per la parte sottomarina dell’Artico che, in fondo, è un patrimonio per tutto il nostro martoriato pianeta. La fase di riscaldamento globale (in gran parte naturale perché iniziata quando l’Uomo era appena uscito dal Paleolitico alla fine del Wurm) sta riducendo rapidamente la calotta ghiacciata e quindi si renderà ancora più semplice esplorare aree marine che prima erano ricoperte dai ghiacci. Oggi occorre avere grande attenzione e responsabilità da parte di tutte le Nazioni.
Testo/Giuseppe Rivalta