Quello dell’uomo con l’acqua, è un rapporto simbiotico che nasce già nei primi momenti di vita ed è stato sempre centrale nel nostro sviluppo umano e sociale. Oggi, con i cambiamenti climatici e le deforestazioni, il suo approvvigionamento è sempre più difficile e si prevede una crisi umanitaria che potrebbe contrapporre gli oltre tre miliardi di persone che vivono in zone aride del mondo, con l’opulento Occidente. Una situazione che, oggi come ieri, sta già facendo spostare grosse fette di popolazioni, mettendo in crisi i nostri equilibri cristallizzati. Ma non è stato sempre così, perché quei territori di provenienza in tempi lontani erano floridi e l’ingegno umano era messo al servizio della comunità. Come hanno dimostrato gli studi sulle stratificazioni delle varie fasi, che hanno portato l’Homo sapiens dal nomadismo delle prime civiltà neolitiche ad oggi. Una crescita permessa da scoperte di sempre nuove tecnologie, che hanno portato a cambiamenti epocali e che, potrebbe essere definita, con una forzatura dialettica, rileggendo la celeberrima affermazione di Albert Einstein «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Ma sarebbe stato così senza quel comune denominatore che si chiama acqua?
L’uso dell’acqua nello sviluppo umano e sociale
Non a caso le prime civiltà umane come quelle dei Sumeri, Babilonesi e Assiri, si svilupparono presso grandi fiumi. Se per loro fu l’immenso bacino del Tigri ed Eufrate, per le civiltà del subcontinente indiano furono i corsi dell’Indo e del Gange. Anche per gli Egizi la fonte di vita era ed è ancora oggi l’acqua, che qui si chiama Nilo. Un fiume che con le sue esondazioni e gli apporti di limo, controllate da argini, canalizzazioni, dighe e chiuse, ha reso fertili queste terre, favorendo quell’agricoltura intensiva che portò i Romani a definirle il “Granaio di Roma”. Acqua dai fiumi, ma anche dal cielo. Come quella gestita e raccolta dalle civiltà dell’America precolombiana. Prima dell’avvento della civiltà Inca, in quelle aree del Perù c’erano i Nazca e la principale città era Cahuachi, sul fiume Aja. Però, più che per le sue note ‘Piramidi di adobe’ o per gli 800 enormi disegni tracciati nel deserto – le linee di Nazca – a rappresentare animali e insetti stilizzati ben visibili solo dall’alto, a noi interessa ricordarli per quel complesso sistema di acquedotti sotterranei chiamati Puquios, che hanno permesso in quelle terre lo sviluppo dell’agricoltura e della vita. Acqua controllata, incanalata, conservata in pozzi e cisterne, come a Tipón a 3.400 metri sul livello del mare e a meno di 30 km da Cuzco, l’antica capitale degli Inca. Un luogo particolare che richiama al culto dell’acqua, con acquedotti, fontane e cascate, chiuse e canali di irrigazione per regolarne gli afflussi e drenare i terrazzamenti. Una storia simile a quella di Machu Picchu, la fortezza Inca dalle mura ciclopiche a oltre duemila metri d’altezza.
L’uomo e la gestione delle acque: un’arte che ha permesso ai Romani di padroneggiare la materia in tutto l’Impero e, ovunque arrivassero, dopo il passaggio delle loro legioni, nascevano strade e acquedotti di alta ingegneria, realizzati attraversando montagne e vallate, per rifornire cisterne e serbatoi, case, terme, piscine e fontane. Come quello del Pont du Gard, nel sud della Francia, che sotto Augusto portava l’acqua alla colonia romana di Nemausus (oggi Nîmes). Ma per i romani l’acqua non era usata anche come catalizzatore sociale, specie nelle numerose terme che, oltre ad essere luoghi di purificazione del corpo e della mente, non di rado fungevano da veri centri per “affari” d’ogni tipo: dalla politica al commercio, dalle discussioni erudite alla prostituzione. Ancora oggi sono in funzione molte di queste opere, come l’attuale canale del Drizzagno, pronipote di quel Cavo Curiano fatto realizzare nel 271 a.C. dal censore romano Manio Curio Dentato, per bonificare le paludi malariche della piana reatina formate dal fiume Velino. Dando così vita alla Cascata delle Marmore, in Valnerina, la più alta d’Europa con i suoi 165 metri di salto. Dentato fu un uomo del popolo, salito ai livelli più alti del potere. Morì mentre tra il 272 e il 269 a.C. stava realizzando il secondo acquedotto di Roma detto Anio Vetus (Aniene vecchio), quarant’anni dopo quello dell’Aqua Appia, tuttora visibile lungo la via Appia. Oggi, degli 11 acquedotti principali della Roma antica, ne rimane solo uno: quello dell’Acqua Vergine (Aqua Virgo), che sgorga dalla celebre Fontana di Trevi.
Acqua al servizio dell’uomo, usata anche come forza motrice nei mulini, nei primi impianti tessili e per generare energia elettrica. Ma pure per essere ammirata nelle varie forme della bellezza, come quelle create nella rinascimentale Villa d’Este a Tivoli (l’antica Tibur), coi suoi fantastici giochi d’acqua alimentati dall’acquedotto Rivellese e il fiume Aniene. È uno dei nostri patrimoni dell’umanità e fu realizzata per il cardinale d’Este da Pirro Ligorio, un architetto a cui si deve anche la costruzione del Parco dei Mostri di Bomarzo (Vt), voluto dal principe Pier Francesco Orsini (XVI sec.). Probabilmente non ci sarebbe stato nemmeno lo sviluppo del nord Italia, senza le importanti canalizzazioni idrauliche nate tra il XIX e XX secolo, come il canale Cavour in Piemonte (circa 83 km); il canale Villoresi (86 km) in Lombardia; o il canale Emiliano-Romagnolo (135 km). Ma già al tempo dei Romani, in Val Padana c’era l’antenato dell’attuale canale della Muzza (oggi di circa 61 km). Canali con sbarramenti e derivazioni come i Navigli di Milano che, in qualche forma, ricordano un canale parigino che andremo a conoscere meglio in questo articolo: il canale Saint-Martin.
Les canaux parisiens, una storia di Parigi nata sull’acqua
C’è chi va a Parigi per vedere la Torre Eiffel, il Trocadero, l’Arco di Trionfo o l’Avenue des Champs-Élysées (il viale dei Campi Elisi), ma pure chi sceglie di conoscere altri luoghi simbolici ma meno appariscenti della “Ville lumière”. Rifacendomi al mio passato di comunicatore che si è occupato spesso d’impianti industriali, sono rimasto sempre affascinato dalla tecnologia usata per queste opere, che si tratti di centrali elettriche, ponti in ferro come quello dell’Industria sul Tevere a Roma, o quello ferroviario sul Po a Piacenza. Ma anche dalle grandi dighe come quella di Corbara (Tr), che per la sua capacità di accumulo di milioni di metri cubi d’acqua, è usata anche a difesa della Capitale, in caso di alluvione. A Parigi, tra il X e XIX arrondissement (le circoscrizioni cittadine), esiste anche una rete di canali artificiali, Les canaux parisiens, che vale la pena di conoscere. Sono vie d’acqua complesse, volute da Napoleone Bonaparte con la promulgazione del decreto del 29 floréal anno X (19 maggio 1802), per garantire la fornitura di acqua potabile a Parigi e incrementare il settore del trasporto fluviale. Tutti dotati di impianti di pompaggio e chiuse, i canali sono in collegamento con la Senna. Realizzati dal Comune di Parigi tra il 1802 e il 1825, sono lunghi in tutto 130 km, anche se il passaggio delle chiatte oggi è permesso solo in 22 km. Quelli principali sono tre: il canale Ourcq (97 km), il canale Saint-Denis (6,6 km) e il canale Saint-Martin (4,5 km).
Il canale Saint-Martin, monumento storico di Francia e luogo della movida parigina
Se ci si trova a Parigi in una bella giornata e magari si vuole dimenticare per un po’ lo stress di questi ultimi tempi pandemici, la soluzione potrebbe essere una bella passeggiata, anche solitaria, lungo Quai de Valmy, la banchina di circa due chilometri, che costeggia il canale Saint-Martin uno dei luoghi simbolo cittadini. Questa breve via d’acqua, che nel percorso verso est attraversa in particolare le circoscrizioni X e XI, non è solo un luogo pittoresco, ma è monumento storico di Francia dal 23 febbraio 1993. Però, prima d’immettersi nella Senna presso Notre Dame, deve superare un dislivello di circa 25 metri dall’origine. E il tutto avviene grazie alle nove chiuse meccanizzate (5 di cui 4 doppie), che permettono a barche, battelli o chiatte fluviali, di passare di livello, fino al bacino dell’Arsenal. In buona sostanza, un “canale di Panama” in miniatura.
La cosa che mi ha incuriosito guardando la mappa, quando decisi di andarlo a scoprire a fine lockdown, fu vedere come gli estremi siano segnati da due piazze dai forti riferimenti che hanno cambiato la nostra storia. L’inizio del canale è nel Bassin de la Villette presso Place de la Bataille de Stalingrad, dove si trova l’omonima stazione del metrò (Linea 2). Una piazza della XIX circoscrizione (nord-est) poi raggiunta con il Metrò e che ricorda la sanguinosa battaglia tra il 1942-43, che vide soccombere sotto i colpi dell’Armata Rossa l’invasore nazista. Poco fuori della stazione, a sinistra la Rotonda della Barrière de la Villette, un edificio in stile neoclassico del XVIII secolo, un tempo parte di una cinta muraria di 24 km, tra i superstiti dei 62 ingressi con pagamento di un pedaggio per le merci entranti in città. A destra l’inizio del canale Saint-Martin e di fronte, il bacino artificiale de la Villette dove confluiscono le acque dei canali Ourcq e Saint–Denis, composto da due invasi rettangolari, di cui il maggiore e lungo circa 800 metri e largo 70. In fondo gli antichi magazzini generali e, a fare da spartiacque con il secondo, il ponte mobile di rue de Crimée, detto anche pont de Flandre, con a fianco c’è la passerella pedonale sopraelevata. Monumento storico francese, questo manufatto in acciaio entrato in servizio nel 1885, è l’ultimo ponte mobile di Parigi.
Il bacino de la Villette è circondato dal verde dell’omonimo parco, tra i più grandi di Parigi. Un tempo rinomato ritrovo bohémien del XIX secolo e porto commerciale, continua anche oggi ad avere un suo fascino, ed è uno dei principali luoghi della movida “intellettuale” parigina. Già importante riserva d’acqua potabile di Parigi da fine 1808, svolse un ruolo primario nella ricostruzione della città specie nel secondo dopoguerra, grazie a quelle chiatte fluviali in parte ormeggiate lungo gli argini e usate come locali o per attività culturali. Qui si passeggia a piccole tappe, al lento fluire delle acque frenate dagli sbarramenti. Gli argini incorniciati dai platani centenari che si riflettono nell’acqua, costeggiano i vecchi quartieri di Porte Saint-Martin e Hôpital Saint-Louis. Attorno, le caratteristiche botteghe dai colori sgargianti che invitano ad avvicinarti e magari, ad entrare in uno tanti dei piccoli street food o ristoranti, per soddisfare la curiosità e l’appetito.
S’incontra qualcuno che va in bicicletta sulla ciclabile o fa footing. Ragazzi discretamente vocianti sono seduti con le gambe a penzoloni a filo d’acqua. Mamme coi bambini nelle aree verdi ben tenute, qualche pensionato a godersi il sole ricordando la giovinezza. Guardando dalle passarelle pedonali si può vedere il traffico stradale sui ponti girevoli, o la metro che passa su quelli ferroviari. Ma lo sguardo, seppure filtrato dagli alberi, si stampa sulle chiuse meccanizzate, protette da recinzioni. Un salto nella Parigi d’inizio secolo, coi meccanismi delle paratie idrauliche che, seppur ben tenuti, non possono nascondere la loro età.
Dopo un percorso all’aperto di circa due chilometri, il canale prosegue in galleria, passando sotto boulevard Richard-Lenoir e boulevard Jules-Ferry fino a Piazza della Bastiglia, sfociando nel Bassin de l’Arsenal prima dell’immissione nella Senna. Da vedere assolutamente nella stazione Metrò Bastille (Linee 2, 5 e 7), le maioliche decorate con scene che rievocano alcuni momenti topici della Rivoluzione francese del 1789. Per chi ama fare una cosa alternativa, ci sono due compagnie – Canauxrama e Paris Canal – che offrono viaggi turistici su battelli piccoli e bassi lungo il canale Saint-Martin, passando sotto i tunnel illuminati dalla luce che filtra da sopra. Un viaggio “misterioso” sotto piazza della Bastiglia, l’emozione delle chiuse meccanizzate che portano lentamente il battello al livello successivo. Una vista di Parigi in controcampo, tra suggestivi scorci di una città che ha sempre tanto ancora da raccontare al mondo.
Info: Cascata delle Marmore; Villa d’Este-Tivoli; Parco dei mostri Bomarzo; Parigi.it-biglietti e pass online; Canauxrama.com; Pariscanal.com;
Testo e foto/Maurizio Ceccaioni