È incredibile ma risaputo da chiunque ami girare l’Italia alla caccia dei suoi tesori, come nel nostro Paese basti girare un sasso per trovare un’opera d’arte. Oppure togliere un intonaco indecente per rivelare degli straordinari affreschi antichi.
All’inizio della Valle d’Aosta, superata la celebre cittadina di Chatillon, si trova un paesino chiamato Verrayes, abitato probabilmente sin dall’età del rame, intorno al 2000 a.C.; il suo nome deriva dal francese antico vers – ayes, ossia verso le acque. Attualmente è un comune di 1200 abitanti, che comprende anche una piccolissima frazione: il villaggio di Marseiller. In queste zone all’inizio del Quattrocento venne a vivere Guglielmo Saluard, proveniente dalla regione francese della Tarantaise, la valle del fiume Isère che faceva parte della Savoia. Suo nipote Jean divenne il castellano della vicina Cly e decise di stabilirsi a Marseiller, dove fece costruire una casaforte (oggi non visitabile e in parte in rovina), il Rus Marseiller, un canale irriguo che portava le acque al villaggio dal torrente Marmore della Valtournenche e la chiesa di San Michele.
Questa si trova separata dal villaggio, in un punto panoramico sempre illuminato dal sole. Negli ultimi duecento anni non rivestiva nessun interesse per un eventuale visitatore; nel 1845 infatti, si decise di ampliare il presbiterio, distruggendo l’antica abside con i suoi affreschi e intonacando tutte le pareti, le cui immagini dovevano risultare non consone ai tempi moderni. Risultava così una chiesetta come tante, senza nulla di piacevole. Con l’arrivo del nostro millennio vennero però riscoperti gli antichi dipinti e nel 2017/18 si provvedette al restauro della chiesa, oggi visitabile in maniera autonoma scaricando l’App Chiese a porte aperte e registrandosi su di essa. Per poterla vedere occorre lasciare l’automobile nel piccolo parcheggio del villaggio, dove è possibile fare due passi e magari scambiare quattro chiacchiere con qualche anziano signore che tradurrà in italiano i pensieri che gli giungono in patois valdostano. La chiesa è veramente in un punto magnifico, con una pazzesca vista sull’inizio della Valle d’Aosta e sulle montagne che la circondano. Una volta entrati si fa in fretta a percepire la bellezza delle pareti ritrovate.
Il notaio Jean Saluard, uomo colto e facoltoso, decise di costruire un luogo di culto che gli facesse onore e che, letteralmente, potesse ricordare la sua figura ai posteri. Decise quindi di affidare la decorazione della semplice struttura a un pittore di pregio molto noto nel panorama artistico dell’epoca: Giacomino da Ivrea. Questi affrescò in maniera magnifica la piccola chiesa, dipingendo anche il notaio e la moglie che pregano inginocchiati vicino alla porta di ingresso, benedetti dalla mano di San Giovanni Battista. L’iscrizione in caratteri gotici data la fine dell’opera al 04 maggio 1441 e ringrazia il suo committente. Giacomino era un pittore originario della zona di Ivrea, nato intorno al 1400. Formatosi probabilmente presso lo Scriptorium del Duomo, fu estremamente attivo nell’area del Canavese, nella Valle d’Aosta fino ad arrivare probabilmente anche in Francia e a Ginevra. Suoi lavori riconosciuti si trovano nella cattedrale di Ivrea, nel castello di Fenis, a Saint-Vincent, Gressan, Challand, Vespiolla, Caravino e altri paesi dell’area. Sicuramente non un genio pittorico, certamente non un artista come Jaquerio, ma un onesto e piacevole pittore che non venne influenzato dal gotico internazionale, ma rimase legato allo spirito medievale. Che, anche nel caso di San Michele, risulta estremamente piacevole a vedersi, e sicuramente adatto al pubblico dell’epoca, formato da semplice gente di montagna. È infatti a loro, oltre che al notaio Saluard, che Giacomino si riferisce dipingendo la chiesa, come dimostra la figura all’ingresso della piccola porta meridionale: quella di un contadino che con i suoi attrezzi sembra volersi recare al lavoro dopo la preghiera.
Una figura umile e comune ma assolutamente viva, che sembra salutare sorridendo quando si attraversa l’ingresso. Questo gusto semplice e vivace lo si ritrova anche nelle altre figure dipinte all’interno della chiesa, a partire da San Michele che pesa le anime, oppure le sante Maria Maddalena, Caterina e Liberata. Molto belle sono le storie dell’Epifania con l’arrivo dei Re Magi, l’adorazione del Bambino, il sogno di San Giuseppe, la fuga in Egitto e il ritorno dei Re. Il ciclo si conclude con la Strage degli Innocenti, con i soldati che uccidono i piccoli di fronte alle madri piangenti: un’immagine quasi da fumetto ma forte, che fa impressione e che colpisce al cuore. Allo stesso modo è il dipinto raffigurante il Giudizio Universale, con il Leviatano che ingoia le anime dei peccatori, i demoni che le tormentano e sembrano a volte lottare contro gli angeli. Nessun paragone, il dipinto è totalmente diverso in ogni senso, ma alla fine l’immagine ricorda almeno un poco l’affresco straordinario di San Fiorenzo di Bastia Mondovì in provincia di Cuneo.
Ovunque pare di cogliere nuovi particolari dati da atteggiamenti, movimenti delle figure, oggetti, sensazioni. Poi ci si rende conto che c’è persino qualcuno che guarda l’osservatore, come per capire se il dipinto gli piaccia. Oppure solo per dirgli: hai visto che roba? Cosa sta succedendo qui intorno? C’è il sangue, ci sono morti, l’Inferno dipinto. Ma c’è anche la Meraviglia del mondo, il nuovo nato e i Re che arrivano per adorarlo, ci sono l’amore e la speranza. Questi affreschi posso aiutarti a vedere la retta via, quella della bontà, della devozione e del lavoro. Come quello che il contadino dell’ingresso intraprenderà fra poco.
Testo/foto Paolo Ponga