L’otto marzo è stata la Festa della Donna, ma quest’anno ha coinciso con il decennale della Fondazione Ferrovie dello Stato. Nata il 6 marzo 2013 grazie a un piccolo gruppo di sognatori guidati dall’allora AD delle FS Mauro Moretti che ne fu anche il primo presidente, aveva allora degli obiettivi ancora incerti. Uno però era sicuro: «Conservare i tesori della memoria, rigenerare idee, conservare l’identità e preparare il futuro», come ha scritto l’attuale DG Luigi Cantamessa, nella prefazione del volume ‘Una bella storia italiana’, una storia scritta a più mani con l’inchiostro e il sudore da un’intera comunità, su una base identitaria fatta di passione e dedizione al lavoro. E oggi quel sogno si è in gran parte realizzato.
L’appuntamento mattiniero era alla Stazione Ostiense di Roma, davanti a quel primo binario che mi vide tante volte in partenza verso le centrali elettriche di Civitavecchia. La meta: il Museo ferroviario di Pietrarsa. Quella di Ostiense, inaugurata il 28 ottobre del 1940, fu fino all’apertura della nuova Stazione Termini (1955) la più importante stazione ferroviaria della capitale, anche in vista di quell’Esposizione Universale Romana del 1942 mai realizzata per la guerra. Dal Piazzale dei Partigiani, non si può fare a meno di notare la bellezza architettonica della sua struttura razionalista, progettata e realizzata dall’ing./arch. Roberto Narducci. Con la facciata in travertino e il lungo porticato a pilastri impreziosito sulla destra dal grande bassorilievo di Bellerofonte e Pegaso, realizzato nel 1940 dallo scultore figurativo viterbese Francesco Nagni. Trascurata per anni, oggi si avvia verso la fine dei lavori di riqualificazione curati da ‘Centostazioni’ società del Gruppo FS oggi in RFI.
La Stazione Ostiense a cavallo di due secoli. Sulla destra dell’entrata c’è la Sala Presidenziale che dà sul primo binario (nella foto di apertura). Nata come ‘Sala Reale’, sono stati accolti qui autorità e ospiti invitati per il Decennale. I soffitti altissimi contraddistinguono lo stile architettonico del tempo e fanno risaltare i lucernari che ricordano l’Art Déco. Pareti ricoperte di marmi pregiati come pure i pavimenti, arricchiti da mosaici in stile romano con tessere bianche e nere. Più avanti la grande statua in marmo di Carrara della ‘Dea Roma’ dello scultore lucchese Alfredo Angeloni e di fronte un pregiato arazzo prodotto nello storico laboratorio romano Eruli, in via del Babuino 150. Sulle pareti laterali campeggiano due enormi banner che richiamano quella “Storia italiana” scritta dal 1905 con la nascita delle Ferrovie dello Stato, ma prima ancora con la realizzazione della primigenia tratta ferroviaria da Napoli al Granatello di Portici, voluta da Ferdinando II di Borbone e inaugurata 3 ottobre 1839 con il trasferimento a Napoli della famiglia reale di ritorno dalla Reggia di Portici. Il convoglio era composto da un locomotore a vapore chiamato ‘Vesuvio’ costruito nelle officine Longridge di Bedlington (Gb) e otto vagoni. Sette chilometri e mezzo percorsi a 50 km/h, per scrivere la prima pagina della storia delle ‘Regie Strade Ferrate’, antesignana della rete ferroviaria dello Stato italiano.
Il ritorno sui binari dell’Etr 252-Arlecchino. Il nostro mezzo di trasporto non è un treno storico qualsiasi, ma l’Etr 252-Arlecchino. Tirato a lucido, è in attesa al binario 1 e pare ci stia simpaticamente guardando, con quel muso molto particolare. Fratello minore dell’Etr 300-Settebello (in rete dal 1953), questo è l’ultimo sopravvissuto dei quattro prodotti alla Breda di Sesto San Giovanni (Mi) negli anni 60. Restaurato fedelmente e ammodernato con i confort e i sistemi di sicurezza attuali, ha anche il bar a bordo nella terza carrozza, “ringiovanito” pur mantenendo l’originario stile. L’Arlecchino, con quel design particolare e i salottini vetrati in testa e coda dai quali la velocità prendeva corpo grazie allo sguardo libero verso i binari, è composto da quattro carrozze di prima classe distinte per colore: la prima è la blu seguita dalla marrone, rossa e infine verde. Fu messo in circolazione per la prima volta il 23 luglio 1960 tra Bologna e Venezia e uscì dal servizio a fine anni 90. L’Etr 330 e l’Etr 252 furono due treni simbolo della rinascita italiana del dopoguerra, lussuosi, veloci e comodi che oggi, anche per le tratte allora percorse, potremmo paragonare al Frecciabianca Roma-Venezia e al Frecciarossa Roma-Milano.
Pronti, si parte…La chiusura manuale delle porte anticipa il fischio del capostazione che alle 8,45 annuncia la partenza in perfetto orario. Gli invitati avevano già occupato tutti i 170 posti a sedere e quelli di prestigio erano stati fatti accomodare nella carrozza verde. Tra loro una rappresentanza del Gruppo FS, la madrina dell’evento Mara Venier, la ministra del Turismo Daniela Santanché, il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi e quello alle Infrastrutture e ai Trasporti Tullio Ferrante. Con loro anche i “padroni di casa”: il presidente della Fondazione FS Italiane, Monsignor Liberio Andreatta e il direttore generale Luigi Cantamessa, assieme a Luca Torchia, direttore della comunicazione del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.
La tratta da percorrere è quella ordinaria per Napoli e ti accorgi che stiamo già fuori Roma dai resti degli acquedotti che spuntano tra le campagne verdi. I campi coltivati si alternano con la varianza dei colori e i greggi di pecore punteggiano di bianco l’erba, mentre il viaggio prosegue comodo e silenzioso ad oltre 140 km/h. Poi a risvegliarci dai nostri pensieri, gli altoparlanti di bordo dai quali s’irradia musica anni 60 che riporta indietro nel tempo quelli più datati di noi, a quando Ostia e Riccione erano le nostre Ibiza o Andalusia e si entrava i sei in una Fiat 500. Una sorta di radio nostalgia in sintonia con il mezzo e l’ambientazione, frammezzata dalle parole di un commentatore che dà cenni sul programma della giornata. Scorrono i chilometri e si superano località ormai dimenticate usando il Frecciarossa per Napoli. Ci risvegliano dal torpore il sibilo secco di un intercity di ritorno che ci passa accanto ad alta velocità e lo spavento in diretta microfonica di Mara Venier, che dai finestrini del salottino di testa se l’era visto arrivare incontro. Secondo programma l’arrivo alla stazione di Pietrarsa/S. Giorgio a Cremano e la discesa sul tappeto rosso messo per l’occasione.
Il Museo Nazionale Ferroviario Italiano, cuore pulsante della Fondazione FS . Ad accogliere gli ospiti il direttore del Museo Oreste Orvitti. Il luogo è un’area di 36mila mq che si affacciano sul Golfo di Napoli. Una zona industriale dove a inizio 1840 nacque il Reale Opificio Borbonico di Pietrarsa (prima vera fabbrica metalmeccanica d’Italia e all’avanguardia per i tempi) e poi l’Officina Grandi Riparazioni Locomotive di Pietrarsa da dove, tra il 1842 e il 1944, uscirono 14 locomotive (su modello inglese) e la ‘Pietrarsa’, prima vaporiera totalmente italiana.
Grazie all’impegno della Fondazione FS e alle numerose iniziative messe in campo, il Museo di Pietrarsa è diventato sempre più attrattivo al pari dei treni storici che talvolta hanno difficoltà a coprire l’eccesso di richiesta dei viaggiatori. Nel 2019 ha accolto oltre 200mila visitatori e dal 2020 tutta l’area esterna coi suoi giardini mediterranei è entrata nella rete dei Grandi Giardini d’Italia (www.grandigiardini.it).
Un viaggio nel tempo nella sala delle locomotive a vapore nel Padiglione A. Se in questi capannoni è conservata gran parte della nostra storia ferroviaria italiana, quello di maggior pregio è indubbiamente il Padiglione A, dove sono diligentemente allineate decine di macchine a vapore e la riproduzione realizzata nel 1939 della locomotiva Bayard che trainò il convoglio inaugurale della Napoli-Portici, con alcune carrozze ricostruite come in origine. Qui si è tenuta la cerimonia e le 800 sedie dorate ricoperte di velluto rosso erano state in gran parte occupate dagli ospiti. Tra gli interventi, quello di Mons. Andreatta, ex AD dell’Opera Romana Pellegrinaggi definito Sgarbi «Il re dei trasporti religiosi». Dopo aver letto un breve saluto da parte di Luigi Ferraris, AD Ferrovie dello Stato Italiane, ha poi accennato ai risultati tangibili ottenuti in questi dieci anni di storia della Fondazione. L’ambasciatore Aldo Amati, consigliere del ministro Giorgetti, ha ricordato l’importanza del turismo per il Paese, con quel 13% sul nostro Pil, e di come l’Italia sia apprezzata all’estero, specie come meta turistica.
Dopo i saluti dell’assessore regionale Felice Casucci, dal proscenio le riflessioni ad alta voce Vittorio Sgarbi, che salendo sul treno ha ricordato il tempo passato di quando il Paese era in piena ricostruzione. Ha poi definito la nuova segretaria Pd Elly Schlein, «La meglio alleata della Meloni. Una oppositrice vera, non questi ometti…». E dalle facce in sala, sono stati a molti a chiedersi a chi si riferisse in particolare. Ha poi ricordato come il 1939 sia stato l’anno della nascita del treno in Italia e quello della fotografia, del Giorgio de Chirico «Il pittore dei treni», quelli che «Hanno fatto attraversare il mondo». E di una «Napoli, capitale di un mondo borbonico che rese il nostro Paese ancora in embrione, all’avanguardia nel mondo che contava».
Dopo il sottosegretario al Mit Tullio Ferrante, che essendo nato a S. Giorgio a Cremano ha ricordato l’affetto per questo territorio, Daniela Santanché ha comunicato agli astanti il suo orgoglio di essere italiana salendo sul treno. Nel suo “elogio alla lentezza” ha poi ribadito come dal treno si abbia il tempo di guardare fuori il finestrino per «Riappropriarci delle nostre inclinazioni di esseri umani».
Quelle sul turismo e infrastrutture, ha poi ricordato, sono le grandi sfide del governo, ma «Nulla si può fare da soli» ha precisato. E, lanciando una proposta poi condivisa dal sindaco di Portici Vincenzo Cuomo, ha detto che sarebbe bello realizzare delle rotte marittime da Ischia e Positano per portare velocemente nel Museo i turisti.
Legata fin da piccola al mondo dei treni come figlia di ferroviere, Mara Venier ha condiviso un ricordo di quando da bambina tornava in treno con la mamma a Mestre da Venezia e si addormentava sui sedili di legno del Centoporte, come quello poi visitato a Pietrarsa. Ferroviere da sempre lo è anche Luigi Cantamessa, che durante l’intervista con la Venier ha confessato il suo «Amore istintivo, quasi carnale per il treno», nato quando aveva ancora i pantaloncini corti e come premio per la sua passione gli fu regalato un vero cappello da capostazione.
Per lui «Le ferrovie sono uno Stato nello Stato e rappresentano l’italianità», quella raccontata nelle oltre 300 pagine del volume ‘Una bella storia italiana’, stampato per l’occasione dalla Fondazione. Un’avventura cominciata nel 2013 grazie a dieci persone con meno di 35 anni. «Oggi – dice – si stanno raccogliendo i frutti del lavoro fatto su un patrimonio lasciato per troppo tempo nel dimenticatoio e spero che tutto questo un giorno vada nelle mani di qualcuno che lo ami come lo abbiamo amato noi». Poi, indicando verso la sua sinistra, ha ricordato con affetto che «Se io sono qui devo tutto a Mauro Moretti che mi diede questa occasione».
Poi, nel pomeriggio il taglio del nastro per la mostra fotografica, la visita accompagnata dalla musica di due giovani cultori della chitarra e mandolino, il canto in coro di “Azzurro” di Celentano. In attesa dell’Arlecchino per il ritorno, dalla banchina lo sguardo cade su una scritta rossa sul muro di lato al binario 1: «Il 3 ottobre 1839 iniziò il viaggio dell’invenzione più rivoluzionaria dell’era moderna, IL TRENO». Poi, di nuovo verso Roma.
Comunità, passione, dedizione, lavoro: le parole che più rappresentano non solo idealmente la comunità dei ferrovieri
Quello dell’appartenenza a una comunità al servizio della gente è un orgoglio che oggi si è forse perso nel mondo del lavoro. Perché quando si entrava in ferrovia o in Enel come me, ti sentivi addosso il peso delle responsabilità per il servizio che ti era stato affidato. Erano altri tempi, ma lo stesso orgoglio l’ho sentito nelle parole di Luigi Cantamessa, una persona che prima di pensare a “comandare” si è “sporcato le mani” per capire in fondo quel mestiere. Un giovane ingegnere assunto per concorso pubblico (già, perché allora funzionava così nello Stato), che chiese prima di tutto una divisa da lavoro e poi frequentò un corso per conduttori di treni a vapore. O gente come Mauro Moretti, che nelle ferrovie si può dire ci sia nato a partite dall’assunzione nel 1978 e ricoprendo incarichi sempre più prestigiosi fino al 2014.
I ritorno sui binari dei treni con i sedili di legno
Centoporte erano chiamate le carrozze coi sedili di legno in esercizio fino al 1988, come quelle dei convogli storici rimessi sui binari grazie ai progetti di riqualificazione realizzati dalla Fondazione FS con il supporto dei Soci Fondatori. Perché oltre ad archivi, biblioteche e due musei, sono stati recuperati oltre 400 mezzi dismessi, che oggi fanno parte del parco dei “rotabili storici”. Di questi circa 200 formano quel patrimonio di treni storici che dopo l’attuazione del progetto ‘Binari senza Tempo’, percorrono il Paese trainati da locomotori elettrici o diesel. Creando un turismo alternativo, lento, sostenibile e di prossimità che, come nei Gran Tour, permette di viaggiare e pensare, gustando l’atmosfera dei luoghi, la bellezza delle campagne, le città d’arte e le vestigia del nostro passato. Ma anche per riflettere sul nostro Paese e la nostra storia.
Il volume ‘Una bella storia italiana’ prodotto e messo in vendita dalla Fondazione FS Italiane, racconta non solo la storia delle Ferrovie dello Stato attraverso foto e documenti a partire dal 1905, ma anche quella di una giovane nazione in cui grazie al treno si unificò il Paese, ben prima che radio e televisione unificassero la lingua italiana. Una storia di cui tutti dovremmo andare fieri e che sarebbe opportuno non dimenticare mai. Per tutte le informazioni: www.fondazionefs.it
Testo e foto/Maurizio Ceccaioni