Ubicata assai più vicino all’America settentrionale che non all’Europa, cui appartiene geograficamente e politicamente, la Groenlandia è la maggior isola del pianeta (grande sette volte l’Italia) e anche il paese abitato stabilmente più freddo, in quanto l’ 85 % del territorio – quasi tutto compreso oltre il Circolo Polare Artico – risulta coperto da una coltre perenne di ghiaccio spessa anche alcuni chilometri, iniziata a formarsi ben 3 milioni di anni or sono; solo il settore meridionale, grande poco più dell’Italia, offre una tundra ricoperta da una vegetazione rachitica composta da rododendri, ginepri e betulle nane, oltre che da muschi e licheni, capace però durante la breve estate artica – tra maggio e luglio, quando la temperatura può arrivare a sfiorare i 20° C – di riempirsi di fiori selvatici e di bacche e di alimentare un po’ di pecore, oltre a giustificare il suo nome di terra verde impostole, invero piuttosto impropriamente, dai suoi scopritori. Occorre però precisare che a quell’epoca, in concomitanza con un periodo climatico più caldo dell’attuale, l’isola era meno ghiacciata di oggi, tanto da consentire un minimo di coltivazione e un po’ di allevamento.
Curiosamente anche l’estremo nord si presenta libero dai ghiacci, poiché l’aria troppo secca non ne consente la formazione. Le coste, occupate a oriente da catene montuose alte oltre 3.000 m, si presentano assai frastagliate. Tutti i pochi centri abitati, compreso il capoluogo Godthab o Nuuk, un paesotto di 14 mila abitanti (su un totale di 56 mila e una densità dello 0,03 %, la più bassa della terra), si trovano sulla costa occidentale riscaldata da correnti marine atlantiche, mentre quella orientale risulta inaccessibile per gran parte dell’anno a causa del ghiaccio prodotto da una corrente fredda che scende dal Mar Glaciale Artico. L’imponente e pesantissima massa glaciale che ricopre quest’isola rocciosa e montuosa, lunga 2.650 km e larga fino a 1.200, ha prodotto uno schiacciamento al centro che scende a – 360 m sotto il livello del mare e un innalzamento nel settore orientale fino a 3.700 m di altezza, con canaloni e profondi fiordi che portano al mare lingue di ghiaccio, presto trasformate in enormi iceberg galleggianti sulle acque. E’ stato calcolato che se tutti i ghiacci della Groenlandia si sciogliessero, gli oceani di tutto il mondo s’innalzerebbero di ben 7 m, con conseguenze davvero catastrofiche. L’isola fu scoperta nel 982 dal norvegese Erik il Rosso partito dall’Islanda, e poi colonizzata da vichinghi norvegesi. I suoi due figli all’inizio del 1000 si spinsero ancora più a ovest, arrivando a scoprire Terranova e la baia del fiume San Lorenzo in Canada, cioè a scoprire l’America cinque secoli prima di Colombo. La Groenlandia non è uno stato sovrano, ma una contea autonoma della Danimarca, nazione con la quale ha sempre avuto un rapporto di sussidiarietà. Oltre alla pesca e alla caccia, le sue risorse sono rappresentate da ingenti giacimenti minerari, soprattutto zinco, piombo e uranio. Nel nord-ovest si estende per una superficie pari ad un terzo dell’isola il maggior parco nazionale del mondo, protetto dall’Unesco come riserva della biosfera, ma anche il meno accessibile in quanto raggiungibile solo con un lungo volo in aereo privato; ospita a terra orsi bianchi, bue muschiato, renne, caribù, lupi, volpi e lepri artiche e uccelli, in mare merluzzi, salmoni, foche, trichechi, narvali e balene, dalle orche al beluga bianco.
La Groenlandia è la terra degli Inuit, uno dei due ceppi del popolo artico degli Eschimesi, 100 mila persone suddivise oggi tra Alaska, Nord Canada e Siberia russa, di origini mongoliche emigrate a queste latitudini dall’Asia centrale ancora in epoca preistorica, di bassa statura, tozzi, con arti corti, faccia appiattita e occhi a mandorla. Per millenni, e fino a pochi decenni fa, erano cacciatori e pescatori nomadi vestiti di pellicce di animali che vivevano d’estate sotto tende di pelli e d’inverno negli igloo, costruzioni sferiche a base circolare erette con blocchi di ghiaccio cui si accede da un basso cunicolo, dove dormivano su pellicce cucinando carne e pesce e illuminandosi con grasso di foca. Cacciano renne, caribù e grandi mammiferi marini (foche, trichechi e balene), spostandosi a terra su slitte trainate da mute di cani e in mare su kayak di pelli. Taciturni e solitari, vivono in piccole famiglie assai solidali le une con le altre, sanno sfruttare con perizia ogni risorsa offerta da un ambiente povero e ostile, rispettano con rigore la natura, sono animisti con ottime conoscenze astronomiche e si orientano con le stelle. Oggi vivono in gran parte in piccoli villaggi sulla costa, continuando però a praticare le attività tradizionali. Ma è anche la terra del sole di mezzanotte in estate, quando una luce perenne rischiara giorno e notte, delle lunghe notti polari invernali, prive di luce per settimane, del suggestivo spettacolo delle aurore boreali, con veli di luci incredibilmente colorate, e della sorprendente esperienza data dalle cosiddette Fate Morgane, dove i riflessi di acqua, ghiaccio e neve provocano nel nulla visioni irreali come città inesistenti, verdi foreste e velieri naviganti sui ghiacci, come i miraggi nei deserti.
E per finire la terra dei maggiori ghiacciai dell’emisfero settentrionale, molti dei quali scendono in mare con una velocità giornaliera di 20-30 m e fronti di chilometri dai quali si staccano con sinistri frastuoni mastodontici iceberg galleggianti alti fino a 100 metri, quindi profondi un chilometro, come nell’affascinante baia di Disko, chiamata la “città degli iceberg” e protetta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.
Testo/Anna Maria Arnesano – foto archivio/Arnesano-Badini