L’Hoggar (o Ahaggar) è una immensa regione vulcanica nel centro-sud dell’Algeria. Il termine arabo “Ahaggar” significa “luogo della paura”, probabilmente per gli impressionanti paesaggi che lo caratterizzano. Erodoto, nelle sue Historiae (Libro IV°), localizza proprio lì il popolo degli Atlanti, dove vi erano le “colonne che reggevano il cielo” (evidente riferimento ai picchi dell’Atakor). Infatti così scriveva: “…Si innalza il monte chiamato Atlante. L’Atlante è un monte stretto e arrotondato su ogni versante…A sentire gli abitanti del luogo, l’Atlante è la colonna che sorregge la volta celeste…”. Nel secolo scorso Pierre Benois scrisse “L’Atlantide”, un fantasioso romanzo ambientato proprio tra queste montagne, seguito da altri scrittori che, più tardi, ne parlarono (es. Frison Roche: La pista dimenticata, Ondaatje: Il Paziente inglese). Il massiccio dell’Hoggar occupa una superficie di circa 530.000 chilometri quadrati (quasi come l’intera Francia), con montagne che sfiorano i 3000 metri s.l.m. Dal 1987 la regione è stata dichiarata Parco Nazionale dell’Ahaggar, per salvaguardare le innumerevoli peculiarità che racchiude sia sotto il profilo geologico, antropologico, preistorico, faunistico e botanico.
Cenni geologici. E’ una regione del Sahara centrale che è stata sottoposta a poderosi eventi vulcanici, a partire dall’Eocene (35 milioni di anni da oggi) e proseguiti fino al Quaternario. Tutta l’area è stata sede di un fenomeno di rigonfiamento della crosta, di circa 1000 km di diametro. Probabilmente la causa è da ricercarsi nel noto scontro tra la placca africana contro quella europea, fattore che ha agito su preesistenti fratture profonde della litosfera che si erano prodotte all’interno di un blocco semirigido. Tutta questa regione poggia su una struttura (Scudo Tuareg) di epoca Precambriana (databile dall’Archeano al Neoproterozoico), ovvero dai 4 ai 500 milioni di anni da oggi, quindi di antichissima origine. Questo “scudo” roccioso si formò per lo scontro tra la crosta più rigida che occupava l’Africa Occidentale con quella Sahariana propriamente detta (=Cratoni). Nel Quaternario gli edifici vulcanici vennero demoliti dalle forti piogge presenti nel Sahara, mentre l’Europa era ricoperta dai ghiacci, lasciando soltanto in esposizione le dure rocce basaltiche che costituivano i camini all’interno.
L’idrografia. Sulle ripide pendici si sono creati ruscellamenti, dovuti alle intense piogge dell’epoca preistorica. Dalla confluenza di questi corsi d’acqua si sono formati torrenti e fiumi che hanno lasciato tracce in tutto il Sahara. Tra questi, le cui sorgenti erano al centro dell’Hoggar, il Oued Tamanrasset è uno dei più importanti. Dai 3000 metri della zona sorgentizia rapidamente scende a 0 metri slm raggiungendo il piatto Tanezrouft dopo 800 km. La storia di questo fiume si ricollega ai cambiamenti climatici prodotti dallo spostamento delle fasce monsoniche, che hanno alternativamente reso un tempo verdeggiante con laghi e corsi d’acqua, questo che è oggi un deserto, Recentemente le foci del Tamanrasset sono state scoperte al largo della Mauritania, dove hanno lasciato un lungo canale sul fondo marino (Timiris Canyon). Questo grande corso d’acqua sembra aver attraversato il Sahara con le sue acque, almeno nove volte negli ultimi 250.000 anni, scorrendo verso Ovest fino all’Oceano Atlantico.
Le fasce climatiche e la flora. La parte centrale del massiccio montuoso, a partire dalla periferia di Tamanrasset, mostra delle caratteristiche molto interessanti per la presenza di differenti fasce vegetazionalii collegate intimamente alle quote altimetriche che si avvicinano ai 3000 metri. Per la sua particolare orografia, l’area centrale negli ultimi anni è stata sottoposta, nei mesi invernali,, a brevi ma intense vivificanti piogge. L’umidità si condensa in nubi, sui versanti dei picchi vulcanici più alti (ad esempio il Tahat, Ilaman, Assekrem ecc.), trasformandosi in precipitazioni, creando poderosi ruscellamenti che distruggono le piste come ad esempio quella che scende ad Irafok o quella dell’Ilaman. Nel febbraio 2005, ma anche negli altri anni, le temperature sono scese molto al di sotto dello zero e hanno congelato l’umidità, creando un paesaggio irreale, quasi “dolomitico”, come risulta dalle foto scattate dal Padre che vive nell’eremo di De Foucauld. Tuttavia i risultati di questi eventi meteorici non sono stati solo distruttivi, ma si sono dimostrati importantissimi per le flore che da secoli hanno faticosamente colonizzato questo territorio. Durante una mia visita fatta alla fine del mese di maggio 2005, il paesaggio è sembrato strano e irriconoscibile: infatti dopo alcuni chilometri, superata la guelta Afilal, le basi dei picchi vulcanici si sono presentate ricoperte da una vegetazione abbondante, con tinte che variavano dal verde chiaro al giallo per finire con un colore rosa antico che si confondeva con il bruno dei basalti. Dalla cima dell’Assekrem (in questo periodo letteralmente ricoperta da un tappeto di bassi arbusti colorati di rosso e giallo) si potevano osservare i dromedari al pascolo, con la loro gibbosità ben turgida per i grassi accumulati grazie ad una alimentazione finalmente abbondante. La conseguente cospicua produzione di latte permetteva loro di alimentare i piccoli, nati da poco, e forniva alimento anche per i nomadi presenti con accampamenti anche a quote più basse. I cespugli di color rossastro sono costituiti da una Poligonacea del genere Calligonum. Si tratta di piante che in arabo sono note come “Abal”. Il colore rosso è dovuto ad innumerevoli frutti (=acheni), tipici di questa famiglia a cui appartiene il più noto “grano saraceno”. Una volta maturi i piccoli frutti cadono al suolo e sono portati via dal vento, grazie anche alle espansioni laminari che circondano il corpo fruttifero. La germinazione avviene più lontano, nelle sabbie e tra le rocce, potendo restare anche per molti mesi in stato di quiescenza, in attesa di provvidenziali nuove piogge. I fusti di questi bassi cespugli sono caratterizzati da nodosità con foglioline semplici e alternate. I fiori, che sbocciano nei primi mesi primaverili, sono impiantati direttamente sui fusti (=racemi). I dromedari sono ghiotti dei giovani getti di queste piante, come pure dei frutti, che danno un senso di freschezza alla bocca. L’areale di distribuzione del Calligonum và da queste zone del Sahara fino alla Penisola Arabica, Bahrain e oltre. Tutto ciò dimostra che sono tipici di un habitat arido-desertico. Le foglie seccate possono essere trasformate in un balsamo per la pelle, mentre la parte legnosa dei cespugli è usata per accendere il fuoco negli accampamenti.
I Kel Ahaggar. La regione dell’Hoggar è, da molti secoli, stata abitata da un gruppo di famiglie tuareg appartenenti alla confederazione di origine Berbera che raggruppa almeno sette tribù. Sono conosciuti come “Uomini Blu” a causa del colore che prende la loro pelle a contatto con il lungo velo che copre la faccia e il capo (Tagelmoust). Sono raggruppati in clan e diffusa è la matrilinearità. La lingua dei Tuareg è il Tahaggart, un dialetto del Tamahaq. Pur essendo musulmani, non hanno perduto la loro religiosità animista, tipica dei popoli che vivono a contatto stretto con una Natura possente e spesso ostile. Le donne non portano il velo e godono di una certa libertà sessuale, soprattutto prima del matrimonio. Secondo alcuni autori la loro provenienza è dalla zona a sud di Tafilatl, vicino a Sijjlmassa, in Marocco. Anche se non è ancora accettato da tutti, la loro origine sarebbe da ricercarsi in una mitica regina di nome Tin Hinan, la cui tomba è stata individuata su un monticolo a Nord di Tamanrasset, ad Abalessa (datata 1500 anni b.p..) e non lontana dall’Hoggar, probabilmente sorta su una fortificazione romana del 19 d.C. (secondo H.Lhote). Infatti in quegli anni Cornelio Balbo, che aveva conquistato i bellicosi Garamanti, voleva raggiungere il fiume Niger proteggendosi con una serie di piccole piazzeforti. Quando, alcuni anni dopo, la fortezza di Abbalessa perse le sue funzioni difensive, fu trasformata in mausoleo per la regina Tin Hinan, “la madre della tribù”. Le ricerche archeologiche hanno dato interessanti risultati. Byron Khun Prorok (archeologo americano ma di origine polacca), nel 1925, e poi altri nel 1933, decretarono che nella tomba c’erano i resti di una donna (probabilmente zoppa e che non aveva mai partorito) alta circa 1,72 -1,76 m. (Leblanc 1968). Molta era la gioielleria trovata in oro ed argento, con braccialetti e perle. Un calice di vetro insieme ad una statuetta di stile Aurignaziano (amuleto?) facevano parte del corredo funerario.
La loro lingua berberofona (il Tifinagh), certamente millenaria, venne studiata da Padre Charles de Foucauld in tutte le sue accezioni. Molti sono ancora i punti interrogativi, ma alcuni ipotizzano che potrebbe avere delle radici fenice. Padre De Foucauld (oggi Beato), di nobile famiglia di Strasburgo, dopo la perdita dei genitori e del nonno che l’aveva fatto studiare, nel 1880 (a 16 anni) andò a fare il soldato in Algeria, ma poco tempo dopo lasciò l’armeè per dedicarsi a viaggi geografici in Marocco. Anche se battezzato, all’inizio non ebbe particolari pulsioni per la religione, ma ritornato in patria nel 1889 partì per un viaggio in Palestina a Nazaret. Qui iniziò un cammino spirituale intenso. L’anno successivo si recò in un poverissimo convento in Siria (Akbes), dove buttò le basi per costituire una congregazione religiosa. Dopo essere stato inviato a Roma per studiare, nel 1897 l’abate generale dei trappisti lo lasciò libero di procedere con la sua vocazione. In Algeria, a Beni Abbes, creò un romitorio per i poveri ed iniziò a dedicarsi alla lingua Tuareg. Sulla cima del Colle dell’Assekrem, al centro dell’Hoggar costruì un piccolo eremitaggio e si dedicò alla difesa delle popolazioni tuareg del posto. Nel centro di Tamanrasset, nel 1916, costruì anche un fortino per proteggere la gente dalle incursioni, ma proprio lì venne ucciso dai predoni. De Foucauld è sepolto più a Nord, davanti alla chiesa di El Golea. Ricca è stata la sua produzione letteraria, con un Dizionario tuareg-francese (la lingua dell’Ahaggar), poesie e prose prese dalla cultura tuareg ed un saggio dedicato alla loro grammatica. Infine le montagne dell’Atakor (oltre 11 vette) hanno attratto per decenni molti scalatori, tra cui un gran numero d’italiani (come Mario Fantin). Le pareti verticali degli antichi picchi vulcanici sono comprese tra i 2450 ed i quasi 3000 metri. Tutti i gradi di difficoltà sono presenti. Purtroppo i recenti eventi politici hanno reso più difficile raggiungere questi posti, per mere ragioni di sicurezza. Speriamo che la situazione finalmente si risolva, in modo da poter di nuovo godere di questi luoghi unici al mondo dal fascino carico di mistero.
Testo/Giuseppe Rivalta- Foto/Giulio Badini e Giuseppe Rivalta