Anche se potrà sembrare strano, la prima linea ferroviaria ad entrare in funzione lungo la penisola non fu nel ricco e progredito (si fa per dire) Nord, magari per collegare qualche città importante o qualche centro industriale, ma avvenne invece nel profondo e arretrato Sud, nel Regno delle Due Sicilie. Per l’esattezza avvenne sulla Napoli-Portici, lunghezza 7.406 m di doppio binario, per volere del giovane re Ferdinando II di Borbone appena salito al trono, regnante moderno ed illuminato assai apprezzato dai suoi sudditi, si dice per raggiungere più in fretta dalla reggia napoletana la sua villa di Portici, situata tra il Vesuvio e il mare e con splendida vista sul golfo, e gli scavi di Ercolano allora in pieno fervore. La prima corsa avvenne il 3 ottobre 1839 e si trattava di un convoglio di sette carrozze trainato da una locomotiva a vapore Bayard, prodotta in Inghilterra e assemblata in loco, che impiegava dieci minuti (meno cioè di oggi). Visto il successo, nel 1842 fu prolungata fino a Castellamare di Stabia, nel 1844 per Pompei, Angri, Pagani e Nocera, infine due anni dopo fino ad Avellino. Per doverosa comparazione, la ferrovia Milano-Monza – prodroma della Milano-Como-Chiasso prima e della Milano-Bergamo-Brescia-Venezia poi, voluta tra gli altri dal figlio del fisico Alessandro Volta e lunga 15 km, entrò in funzione solo il 17 agosto 1840, quasi un anno dopo. E prese per modello proprio la linea partenopea, condotta anch’essa da una locomotiva a vapore inglese. Per la cronaca, il percorso veniva coperto in soli 17 minuti, alla strabiliante velocità di 46 km/ora.
L’assemblaggio del convoglio partenopeo avvenne a Pietrarsa (Portici), appena a Sud di Napoli, presso il Reale Opificio Meccanico Pirotecnico e per le locomotive, azienda fondata dal lungimirante monarca come industria siderurgica reale d’avanguardia, ma ben presto specializzatosi nella costruzione e manutenzione di locomotive a vapore e di materiale ferroviario, arrivando a contare fino a 700 dipendenti. La sua fama varcò i confini del regno, per cui ricevette le visite di personaggi illustri come lo zar Nicola I di Russia (1845), di Papa Pio IX (1849), di Garibaldi nel 1860 e di re Vittorio Emanuele II nel 1869. Paradossalmente l’entrata nel regno italico determinò, anzicchè una crescita, una riduzione delle attività sempre legate alla produzione di locomotive a vapore, finchè nel secondo dopoguerra l’avvento delle locomotive diesel prima ed elettrico poi portò nel 1975 alla chiusura definita. Finiva così in maniera ingloriosa il primo nucleo significativo industriale italiano, un’azienda anticipatrice e protesa al futuro che aveva preceduto di ben 44 anni la nascita di aziende come la Breda e di 57 la Fiat. Sic transit gloria mubdi.
Dopo un periodo di inattività, nel 1989 il complesso è stato riaperto come Museo nazionale Ferroviario di Pietrarsa, con sette enormi capannoni estesi su un superficie complessiva di ben 36 mila km2, di cui 14 mila coperti, a formare uno dei più importanti centri di archeologia industriale nel nostro paese, epicentro della cultura ferroviaria italiana che copre un arco di tempo di 170 anni, dal 1839 ad oggi, dalla sbuffante locomotiva Bayard ai treni ad alta velocità, classificandosi anche come uno dei più importanti musei del settore a livello europeo. Capannoni e piazzali sono dominati da una imponente statua in ghisa di Ferdinando II, alta più di 4 m e fusa nell’opificio nel 1852, dove il sovrano sembra vigilare soddisfatto sulla sua preziosa creatura.
La delegazione di Napoli del Touring Club Italiano (tel. 081 19 13 78 07, prenotazionitcina@gmail.com) organizza nella mattinata di domenica 26 febbraio 2017 una visita guidata a Pietrarsa, aperta ai soci del sodalizio e ad amici, con partenza individuale consigliata in treno dalla stazione sotterranea di Napoli piazza Garibaldi; il costo è di 10,00 euro per i soci Tci, 14,00 per i non iscritti, viaggio escluso. Info: www.museopietrarsa.it, tel. 081 47 20 03.
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