Da quello che si legge sui media in questi giorni, la storia infinita e sciagurata di Alitalia starebbe per giungere a termine. Una fine ingloriosa, ma prevedibile, dalla quale escono tutti sconfitti: dirigenti, dipendenti, soci, banche, sindacati, governo e classe politica. Ma, soprattutto, ne esce perdente l’economia del paese, con conseguenze future pesantissime e non del tutto ancora preventivabili, dopo che la finanza pubblica ha già versato per la salvezza in passato di questa azienda privata qualcosa come 7,3 miliardi di euro (il bilancio di alcuni piccoli stati) e si appresta a pagare la cassa integrazione per due anni a 12.000 dipendenti (non meno di 20.000 con l’indotto), cioè ad altrettante famiglie destinate ad iscriversi alla soglia di povertà o ad emigrare, portando all’estero un background di competenze che vale cifre rilevanti. Ma il vero peggio per l’economia riguarderà il turismo incoming, cioè quello proveniente dall’estero, oggi unica voce in attivo del nostro scalcinato bilancio grazie alle peculiarità uniche del nostro paese, ricco di potenziali prospettive, l’unico ad assorbire ancora manodopera. Se sparisce la compagnia di bandiera, chi porterà più in Italia i turisti ? Appare logico pensare che le compagnie di altre nazioni tenteranno di dirottare a casa loro i nostri flussi. E sappiamo bene che se crolla il turismo, finiamo tutti a fare la fame. Gli unici a non avere perso, anzi a fregarsi le mani in attesa di spartirsi per due soldi il cadavere di Alitalia, sono Etihad, che secondo Il Sole-24 Ore ha già recuperato il suo investimento di 560 milioni versato tre anni fa per acquistare il 49% della società, e le compagnie concorrenti pubbliche e private, le quali ben amministrate guadagnano soldi e passeggeri anche in Italia. Forse, con il senno di poi, l’unica soluzione positiva sarebbe stata quella trovata nel 2008 da Prodi, che era riuscito ad appiopparla ad Air Franche –Klm, ma che trovò la ferma opposizione di Berlusconi, il quale si inventò i capitani coraggiosi industriali italiani, con l’esito ben noto.. Purtroppo anche questa volta non sentiamo parole chiare al riguardo, forse perché mancano idee chiare, oppure si ha paura a dire la verità. Nessuno, ad esempio, ha parlato apertamente di fallimento giudiziario, che è quanto avverrà tra qualche mese di inutile e costosa agonia, e l’ipocrita parola prestito ponte è stata usata a sproposito, perchè sappiamo tutti che quei soldi – lievitati da 300 a 600 milioni – serviranno solo a far volare gli aerei semivuoti per qualche settimana e poi non verranno mai restituiti. Senza essere esperti nel settore, ma certe cose le avrebbero viste anche i ciechi, vorremmo fare alcune considerazioni, partendo dalla fine, dal referendum.
A conoscenza delle minacce verbali professate da dirigenti, soci, banche, sindacati, ministri e politici, tutti abbiamo pensato che i dipendenti avrebbero ingoiato il rospo di licenziamenti, riduzioni di stipendio e condizioni inumane di lavoro, pur di salvare il posto, e che pertanto avrebbero votato si in massa all’accordo governo-azienda-sindacati. Invece il 67 % – cioè 2 su 3 – hanno votato no, ben sapendo quali sarebbero state le conseguenze: la messa in liquidazione dell’azienda, in parole povere il fallimento. Orbene, o ci troviamo di fronte ad una manica di pazzi e di masochisti incoscienti, oppure deve sorge legittimo il dubbio che abbiano ragione loro. E chi, meglio di loro, può conoscere nel bene e nel male l’azienda? Peccato che di bene non ne sia rimasto più. Perché il progetto di rilancio, elaborato da quegli stessi dirigenti che hanno affossato l’azienda, non aveva un minimo di credibilità, in primis per i dipendenti. Infatti che credibilità poteva avere un piano che – in estrema sintesi – puntava solo sui risparmi dei salatini ai passeggeri, a migliaia di licenziamenti, alla riduzione del 30 % degli stipendi (non certo quelli dei dirigenti) ed a condizioni di lavoro già disumane e contro le norme vigenti. Se la proposta risultava irricevibile per il personale di terra, sfiorava il crimine per il personale di volo, ed in particolare per i piloti, già sottoposti a stress ed a turni massacranti e contro ogni norma di sicurezza. E qui parlo per esperienza diretta, avendo – ahimè – un genero pilota in Alitalia.
Non so se tutti sanno che per diventare pilota occorre frequentare una scuola privata, spesso all’estero, che costa centinaia di migliaia di euro, dove occorre eccellere in materie ostiche come matematica, fisica, meccanica, elettronica, informatica, meteorologia, ecc quanto e più di un ingegnere, e che tutti i piloti ogni sei mesi sono sottoposti a severi controlli psico-fisici e tecnici, che se non vengono superati si finisce a terra con uno stipendio da fame e poi licenziati. E non è che la vita di un pilota sia invidiabile, tutt’altro: sempre via da casa, con equipaggi che cambiano in continuazione, mangiando male e dormendo ogni sera in un letto diverso, costretti a lavorare anche quando non si sta bene e con orari impossibili, lontano dalla famiglia, sempre reperibile e a disposizione, impossibilitati a programmare qualsiasi impegno e privi di una vita sociale, rischiando di continuo la vita e con una carico enorme di responsabilità sulle spalle; il tutto per uno stipendio che oggi risulta di gran lunga inferiore alla media internazionale. anche di due e tre volte. E il progetto prevedeva ulteriori decurtazioni economiche, riduzioni di giorni di riposo e più ore di lavoro. Ma ci rendiamo conto dello stress e della responsabilità, economica e morale, che pesa su un pilota di aereo? E poi ci meravigliamo se qualcuno – mi dicono capiti più spesso di quanto non immaginiamo – si addormenta alla cloche. Non a caso si vola sempre con due piloti. E se, per stanchezza, si addormentano entrambi? Se qualcuno sapesse esattamente cosa succede in cabina, nessuno metterebbe più piede su un aereo.
Le colpe, le responsabilità e le manchevolezze di Alitalia sono molteplici, diverse e vengono da lontano, come ben sanno tutti gli addetti ai lavori. E non poteva essere diversamente in un’azienda clientelare, serbatoio di voti per i politici, diretta da emeriti inesperti messi lì dagli amici degli amici. Cosa ci si poteva aspettare da un Cimoli, esperto di ferrovie, o da un Montezemolo che ha combinato guai dovunque sia stato, dalla Fiat alla Ferrari? Prendere un esperto di aviazione no? Troppo difficile? Nel 2001 la compagnia Swiss Air, inaspettatamente, fallì per cattiva gestione; i suoi dirigenti sono finiti sotto processo. In Italia nessuno è mai andato in prigione per fallimento, anzi di solito se ne vanno con liquidazioni da nababbi, anche se sono stati loro a creare i disastri. In passato ho avuto rapporti di lavoro con l’ufficio stampa di Alitalia: per evitare permali (o querele) evito ogni giudizio, ma se tanto mi da tanto …Sappiamo tutti di errori macroscopici commessi, come la vendita di ricercati slot (i diritti di atterraggio negli aeroporti), del programma di fidelizzazione Millemiglia e di aerei nuovi per fare cassa, salvo poi doverli riaffittare il giorno dopo a prezzi esorbitanti (e magari qualcuno ci ha anche guadagnato). Scelta tragica l’abbandono delle remunerative rotte di lungo raggio, a favore del breve e medio raggio già affollato dalle low cost, o la gestione della compagnia operata da Abu Dhabi. Oppure la stupidità di spendere cifre significative per modificare le divise delle hostess, quando la barca stava già affondando. La politica invece, oltre ad aver chiuso colpevolmente gli occhi per troppo tempo sulle magagne evidenti, dovrebbe dare una risposta al paese: perché, per divieto dell’Unione Europea, se un governo volesse dare un aiuto ad un’azienda ritenuta strategica o di interesse nazionale – come potrebbe essere Alitalia – non può farlo in quanto si configurerebbe un illecito aiuto di stato, mentre tutte le compagnie low cost sono ampiamente finanziate dagli aeroporti, dalle regioni e dagli enti locali ?
Gli esperti del settore sanno bene che, per incapacità o menefreghismo, il vero tallone d’Achille di Alitalia è sempre stato rappresentato dal settore commerciale e dal marketing, parole ignote, come se far volare gli aerei con posti vuoti fosse un titolo di merito. Tutte le compagnie aeree hanno personale specifico per visitare periodicamente tour operator, agenzie e aziende – chiunque possa generare traffico – per riempire i loro aerei. Alzi la mano chi in questi anni ha mai visto un rappresentante della nostra compagnia di bandiera. Chiunque mandi una richiesta di preventivo, a chi serve un chiarimento o deve fare una prenotazione, agli altri vettori basta fare una telefonata o inviare una e-mail per avere una risposta in tempi brevi. Alitalia, per abitudine, non ha mai risposto. Con il risultato di non figurare da sempre nei programmi dei maggiori tour operator, italiani o internazionali. Come facessero tanti impiegati a tirare sera è sempre stato un mistero. Possibile che in tanti decenni alla Magistratura o alla Guardia di Finanza non sia mai passato per la testa di buttare un occhio ? Per anni la dirigenza ha vissuto di rendita sulla super remunerativa tratta Milano-Roma, vera gallina dalle uova d’oro sempre strapiena ad ogni ora del giorno. Poi è arrivata l’alta velocità ferroviaria e la gallina ha smesso di fare le uova. Con simili premesse come meravigliarsi se l’azienda, novello Pozzo di San Patrizio, è arrivata a perdere quasi due miliardi di euro ogni giorno. Quanto avrebbe potuto durare?
Ora che il latte è stato versato, vorrei sapere cosa farà il governo e la classe politica, responsabili di aver chiuso gli occhi a tempo debito, e cosa aspettano a parlare chiaro ai cittadini, chiamando le cose con il loro giusto nome. Alitalia è fallita, definitivamente, ed il prezzo per la nostra economia – presente, passato e futuro – sarà enorme, come enorme lo sarà sul piano sociale ed occupazionale, andando incidere in maniera pesante anche per le future generazioni sull’unica voce ancora attiva e in crescita – fino ad oggi – del nostro bilancio, quella del turismo. E mentre noi accogliamo ogni anno centinaia di migliaia di analfabeti extracomunitari senz’arte ne parte, i nostri piloti – un’intellighenzia tecnologica di altissimo valore e di costi elevati per la formazione, emigrerà all’estero, impoverendo la nazione e ad arricchire i nostri competitori turistici. Il prestito ponte statale e l’amministrazione straordinaria sono soltanto dei palliativi elettorali (20.000 lavoratori sono non meno di 100 mila voti, che nessuno vuole inimicarsi sotto elezioni), capaci di prolungare di qualche settimana l’agonia, ma non di evitarne la morte, la reazione inconsulta di una classe politica colta di sorpresa dal coraggio – o dalla disperazione – dei dipendenti di Alitalia. Perché, diciamolo chiaro, chi da domani farà ancora credito alla nostra ex compagnia di bandiera e, soprattutto, chi sarà tanto irresponsabile da vendere o comprare ancora un biglietto Alitalia ? Anche la scelta di un commissario liquidatore come Gubitosi, un ennesimo inesperto del settore aereo proveniente dalla Rai, lascia perplessi e potrebbe rivelarsi l’ultimo fatale errore per affossare del tutto ciò che resta dell’ex compagnia di bandiera. Sembrerebbe un destino imprescindibile: le cose che nascono male, finiscono sempre peggio.
Testo/Giulio Badini – Foto Google Immagini
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