Dopo tre anni di lavori, il 10-11 giugno 2017 verrà inaugurato ufficialmente, nel cuore delle Alpi Apuane, il sentiero alpinistico-speleologico che congiunge gli ingressi dei cinque abissi con profondità superiore ai mille metri presenti nell’anfiteatro carsico della Carcaraia, una realizzazione unica in assoluto e che non trova riscontro in nessun’altra parte del mondo. Il sentiero ad anello, indicato sul terreno da una freccia direzionale con il numero – 1000 e la sagoma di un pipistrello stilizzato nero in campo bianco, di sicuro interesse escursionistico trovandosi in una zona delimitata dalle maggiori vette della catena apuana, ricalca su un terreno decisamente aspro e sconnesso le tracce di penetrazione usate dagli speleologi nell’ultimo mezzo secolo per compiere le complesse esplorazioni di alcune delle grotte italiane più profonde ed impegnative, incredibilmente concentrate in un’area tutto sommato ristretta. Risulta percorribile in senso orario da maggio ad ottobre, in assenza di nebbia, maltempo, ghiaccio o neve, in 6-7 ore per un dislivello complessivo di 840 m (quota massima 1740 slm), da persone esperte di montagna con idoneo abbigliamento, dotate di almeno due litri d’acqua e con luce frontale; utile l’impiego di un GPS e indispensabile una conoscenza meteo preventiva. La copertura dei telefoni risulta parziale, a seconda delle marche.
Vi si accede dalla Garfagnana per Vagli, seguendo la direzione Gorfigliano, oppure da Gorfigliano con l’unica strada asfaltata; in entrambi i casi occorre parcheggiare prima di una galleria, a quota 1010 slm. Lungo il percorso una serie di pannelli con foto e rilievi descrivono i maggiori abissi, nonché la complessa idrografia sotterranea: occorre fare molta attenzione a non sporgersi dai loro ingressi: spesso sprofondano in pozzi di parecchie decine di metri., accessibili soltanto a speleologi provetti con idonea attrezzatura. Nella parte bassa la vegetazione presenta i resti di una fiorente foresta di faggi, mentre in quella più alta la roccia appare completamente denudata, con parecchi sfasciumi; numerose, e decisamente antiestetiche, le cave estrattive di marmo, alcune in attività, altre cessate. Nel punto più alto, presso il passo della Focolaccia sovrastato dall’imponente mole triangolare del monte Tambura e dove sorge il rifugio Aronte, il più vecchio ed il più elevato delle Apuane, arriva ad affacciarsi sul versante marino, con un ampio panorama sulle maggiori cime apuane, a cominciare dal monte Pisanino, 1947 slm. E’ stato realizzato per volere dello Speleo Club Garfagnana CAI (www.speleogarfagnana.blogspot.it), Gruppo Speleologico Fiorentino CAI (www.gsfcai.it), Unione Speleologica Pratese CAI (www.speleologiapratese.it) e dalla sezione CAI di Castelnuovo Garfagnana (www.garfagnanacai.it). In Carcaraia si ha spesso l’impressione di camminare sospesi sul vuoto, sugli enormi vuoti carsici dei suoi abissi chilometrici, in un parossistico gruviera di pietra.
La Carcaraia, così viene chiamata la regione dell’alta valle dell’Acqua Bianca, si presenta come una vasta conca in forte pendenza tra le pendici del Pizzo d’Altare 1747 m, monte Cavallo 1885, Tambura 1895 e Roccandagia 1717, dalla morfologia estremamente accidentata in superficie, dove i calcari chiari vengono perforati da un numero incredibile di doline, fratture e spaccature a pozzo della roccia, nonché parecchie microforme di carsismo superficiale come campi solcati e carreggiati, vaschette di corrosione, creste dentellate, ecc. Alcuni sono semplici pozzi profondi qualche decina di metri, spesso con un deposito nivale sul fondo, ma altri scendono parecchio in profondità, originando degli enormi abissi. Manca all’esterno qualsiasi traccia di corso idrico, in quanto le ingenti acque meteoriche vengono immediatamente assorbite dalle fratture della roccia, generando alcuni dei maggiori abissi italiani; le acque si radunano poi sul fondo, dove danno origine a veri e propri corsi sotterranei – i cosiddetti fiumi nella notte, o senza stelle – finchè non incontrano i livelli idrici di base, oppure rocce impermeabili che li costringono ad emergere all’aperto attraverso le sorgenti situate attorno al massiccio.
Essa rappresenta una classica area carsica d’alta quota, con zona sommitale di assorbimento attraverso doline e pozzi, ampie cavità nel cuore della montagna estese sia in profondità che in sviluppo, ed infine condotte freatiche allagate e sifoni da cui le acque tornano in superficie. Sono onorato di essere stato, ancora nel 1961, uno dei primi speleo a scendere pozzi in quest’area impervia, allora totalmente vergine, poi distratto da altre zone. Mezzo secolo di ardite esplorazioni, durante le quali sono state scritte alcune delle pagine più fulgide della speleologia italiana, hanno accertato trattarsi per l’esattezza di uno dei carsi più ricchi della penisola e del continente. Grazie essenzialmente a due fattori: la roccia carbonatica, formata da calcari e dolomie microcristallini molto puri (i famosi marmi apuani, con cave presenti ovunque, anche sulle cime più elevate e irraggiungibili), assai fratturata per ragioni tettoniche e quindi intensamente carsificabile, e poi l’elevata piovosità – attorno ai 3.500 mm/anno – dovuta all’incontro di arie umide di origine marina con arie fredde montane.
In Carcaraia il carsismo si annuncia fin da subito già all’esterno, con un numero rilevante di doline (cavità imbutiformi di assorbimento idrico), che ne rappresentano una delle espressioni più evidenti: se ne conta infatti una media di 320 per km2, quando la presenza nel resto delle Apuane non supera lo 0,5 Km2 ed a livello nazionale tra 50 e 100, una dunque tra le più alte in Italia. Anche solo questo elemento meriterebbe l’inserimento nel Parco regionale delle Alpi Apuane e la protezione accordata ai Geositi Unesco, una decina in tutto in Italia. Ma è in profondità, grazie ad uno dei potenziali carsificabili maggiori dell’intera catena apuana, uno spessore di ben 1600 m di rocce sedimentarie marine di età Mesozoica, che raggiunge un altro record: una densità di oltre 230 cavità rilevate in appena 5 km2 di superficie: la maggior parte fino a questo momento costituiscono abissi indipendenti, ma almeno in tre casi (abissi Saragato, Squisio e Aria Ghiaccia) è stato accertato un collegamento all’interno della montagna a formare il Complesso ipogeo della Carcaraia, con uno sviluppo topografato di circa 35 km., secondo in Apuane soltanto al Complesso del Corchia (accreditato per uno sviluppo di 60 km ma con 14 diversi ingressi), e sesto in Italia.
E di certo il procedere delle esplorazioni porterà inevitabilmente al congiungimento con altre cavità, arrivando a formare un insieme di dimensioni davvero rilevanti, oltre i 70 km. Questa zona detiene infine un ultimo record: tra i 16 abissi italiani con profondità superiore ai – 1000, ben 5 si trovano qui (e altri 5 nel resto delle Apuane), compreso il più profondo in assoluto, l’Abisso Roversi record italiano con – 1350 m, al momento ventesimo nel mondo; gli altri sono l’abisso Perestrojka (- 1160), l’abisso Saragato (- 1125), l’abisso Chimera (-1067) e l’abisso Mani Pulite (-1060), ma alcuni altri si stanno avvicinando alla soglia fatidica. Si tratta di cavità essenzialmente verticali, fredde e molto impegnative da esplorare, con due livelli di gallerie suborizzontali a quote di 750-700 e 450-400 m slm,; presentano anche alcuni dei pozzi unici interni più profondi d’Italia: il Saragato un salto di ben 210 m, il Roversi addirittura di 310. Gli abissi più bassi si aprono attorno a quota 1100, quelli più alti poco sotto la cima della Tambura, ad oltre 1700 m.
Molti abissi, percorsi in profondità da fiumi ipogei, terminano su sifoni d’acqua, avendo raggiunto il livello di base delle risorgenti poste poco sopra al basamento di filladi ed altre rocce impermeabili, attestato ad un livello altimetrico attorno ai 350 m slm, ma che in periodo di piene può risalire anche di un centinaio di metri. Per parecchio tempo le acque profonde della Carcaraia hanno rappresentato un’incognita, non essendo chiaro dove risorgessero; in concorrenza c’erano infatti la sorgente del fiume Frigido, sul versante mare, e quelle di Equi Terme, a nord del versante interno, le quali ultime si versano nel fiume Magra. Nessuna chanche invece per l’indiziato più logico, il fiume Serchio, che attraversa l’intera Garfagnana.
L’esperienza insegna che, quando si tratta di acque carsiche, non ci si può affatto basare sugli spartiacque di superficie, essendo le acque profonde piuttosto anarchiche. Sintomatico al riguardo il caso delle acque della conca di Postumia in Slovenia, dove una parte alimentano la Grotta di Predjama e il fiume Vipacco, sfociando in Adriatico, mentre le altre alimentano la Piuka, che attraverso le Grotte di Postumia arrivano al Danubio e quindi al lontanissimo Mar Nero. Decenni di indagini e di colorazioni hanno permesso di accertare come anche qui una parte degli abissi alimenta il Frigido, altri Equi, fino al limite estremo dell’abisso Saragato, il quale versa le proprie acque un po’ qua e un po’ là, cosa più unica che rara. In ogni caso il bacino idrico del Frigido, con una portata media di 1,6 m3/s (l’insieme di tutte le sorgenti apuane arriva a 6 m3/s) ma in caso di piene può arrivare ad aumentare di venti volte tanto, a riprova di un bacino decisamente ampio, si estende per almeno il 40 % in Garfagnana, cioè al di là dello spartiacque superficiale; un’ennesima stranezza di quest’area davvero unica. Se, come sostiene la FAO, nel 2025 l’ 80 % dell’acqua utilizzata arriverà dagli acquiferi carsici (nel 1975 era appena il 30 %), le ricerche degli speleologi – in Carcaraia o in qualsiasi altro posto – risulteranno importanti anche da un punto di vista pratico.
Testo/Giulio Badini – Foto/ Sentiero -1000 e Google Immagini