Egitto: 150 chilometri a sud-ovest de Il Cairo, deserto occidentale: 29°23’29.44 N – 30°02’41.59 E, quota .263 m slm. Queste sono le coordinate di uno dei rarissimi posti sul pianeta dove risulta possibile incontrare i grandi progenitori delle balene: Wadi Al-Hitan, ovvero la Valle delle Balene. Curiosamente in pieno deserto, in un angolo poco battuto del Sahara orientale. Qui nell’Eocene, tra i 40 ed i 37 milioni di anni fa, tutta la zona era un fondale dell’immenso oceano della Tetide, situato tra il futuro Atlantico, il Nord Africa, il Sud Europa e che si allungava fino all’attuale Indo-Pacifico. I Dinosauri ed i grandi rettili marini erano scomparsi circa 5 milioni di anni prima e, come spesso accade, avevano lasciato libere diverse nicchie ecologiche. Una di queste era stata ben presto occupata da gruppi di mammiferi, che da terrestri iniziavano ad adattarsi a vivere nei mari e negli oceani: gli Archeoceti, ovvero “vecchie balene” (da Flower 1883).
Una domanda ha assillato per molto tempo gli scienziati: come è stato possibile ad organismi terrestri adattarsi così compiutamente ad una vita totalmente marina? Ancora non si può dare una risposta certa, tuttavia oggi una delle teorie più accreditate, suffragata da una scoperta avvenuta nel 1983 in Pakistan (nel bacino dell’Indo), sostiene quanto segue: alla fine del Cretaceo la zolla indiana stava ormai terminando la sua risalita dal Sud Africa verso il continente asiatico, stritolando progressivamente l’Oceano Tetide e provocando la formazione della catena himalayana. Quell’oceano antico, caldo, si caratterizzava, in molte sue parti, da coste basse e salmastre, con grande sviluppo di Mangrovie ( una formazione vegetale tipicamente tropicale che si sviluppa su bassi fondali) ed anche oggi largamente diffuse. Si tratta di piante alofile sottoposte al ciclo giornaliero delle maree, dalle quali vengono in parte sommerse. In queste vere e proprie basse foreste si sviluppa un complesso ecosistema, con abbondanti faune di diverse dimensioni e funzioni . Proprio in un tale habitat (specialmente dopo la scomparsa dei grandi rettili mesozoici) dei piccoli e timidi mammiferi, ad abitudini terrestri, iniziarono a svilupparsi: erano i progenitori dei futuri grandi cetacei. Il Pakicetus inachus, ancora sicuramente terrestre ( così identificato per il suo apparato uditivo) viveva in questo ambiente rappresentato da vaste fasce acquitrinose dove, verosimilmente, si cibava di crostacei, pesci, molluschi, insetti.
Il progressivo prosciugamento di questi habitat, dovuto alla riduzione della Tetide, fece sì che questi mammiferi (ancora secondo un’ipotesi) si adattassero sempre più ad una vita acquatica, favorita da immancabili mutazioni genetiche, più favorevoli ad un tale nuovo habitat prettamente acquatico. L’evoluzione di queste nuove specie fu assolutamente rapida, anche perché, come già accennato, nei mari non c’erano più i terribili Mosasauri, Plesiosauri, ecc. che li avrebbero forse sterminati. Tutto ciò avveniva all’inizio del periodo dell’Eocene. In Egitto, nella zona dell’attuale depressione di El Fayyum, venne scoperto nell’inverno del 1902 quello che sarebbe diventato il maggior giacimento paleontologico di Archeoceti del mondo. Qui, in questa che a quei tempi era una laguna circondata da mangrovie, sono stati scoperti oltre 500 resti scheletrici di progenitori dei cetacei, con almeno tre specie diverse presenti. L’ambiente era, evidentemente, ideale per il loro accoppiamento e riproduzione, come del resto oggi si osservano in tante altre località del pianeta. Quello che fu un basso mare caldo è poi diventato una grande superficie di deserto assoluto, i cui bassi rilievi altro non sono che strati di rocce sedimentarie fossilifere, da cui spuntano migliaia di conchiglie marine, blocchi di rami cilindrici di antiche mangrovie e resti ossei di quelli che furono i progenitori dei cetacei, oltre a squali e tartarughe. Il luogo risulta battuto perennemente dal vento, capace di spostare e di erodere la roccia ed i granelli di sabbia, i quali in origine altro non erano se non la melma di quel mare preistorico. Inoltre la drastica variazione del calore prodotto dal sole dardeggiante si confronta con il freddo notturno tipico del deserto sahariano, aumentando la trasformazione del paesaggio.
I fossili di Wadi Al-Hitan. Analizziamo ora in maniera necessariamente sintetica le principali specie venute alla luce a Wadi Al-Hitan. Senza dubbio il fossile più impressionante è il cosi detto Basilosaurus isis (noto anche come Zeuglodon). Il nome gli venne attribuito da Richard Harlan nel 1834, il quale ritenne di aver scoperto un grosso rettile preistorico, in Arkansas. Fu l’inglese Owen ( colui che aveva coniato il termine Dinosauro) che si rese conto trattarsi non di un rettile, bensì di un mammifero marino, ma il suffisso saurus, ormai rimase. Nel 2015 é venuto alla luce uno scheletro completo di questo animale, lungo 18 metri. Era un grande predatore dal corpo serpentiforme, capace di pesare tra le 5 e le 7 tonnellate. Il collo era corto, con 7 vertebre che saldavano il capo al tronco, molto flessuoso. Aveva una appendice caudale orizzontale, mentre gli arti anteriori erano trasformati in pinne. Mancavano la pinna dorsale e gli arti posteriori ( regrediti quasi completamente). Le narici erano presenti sulla sommità del muso (non ancora però sul cranio). I denti (in numero di 44) nella porzione posteriore si presentavano con creste seghettate e adatti a frantumare le ossa , mentre le parti anteriori delle mascelle avevano dei denti appuntiti rivolti all’interno, per meglio trattenere le vittime. Grazie alla scoperta dell’esemplare del 2015 si è notato che la coda era provvista di aculei, simili a quelle dello Stegosauro. In altri termini queste spine potevano essere usate come arma di difesa. L’alimentazione era basata su granchi, pesci, squali (es. Pesce sega), oltre anche a piccoli cetacei. Queste informazioni si sono potute desumere analizzando i resti trovati nello stomaco del fossile da poco scoperto . Come pura curiosità in Canada, nel British Columbia, all’interno del lago Okanagan lungo 135 km, i criptozoologi ritengono possa esistere un mostro lacustre simile al Basilosauro, chiamato localmente Ogopago (=N’ha-a-itk dai nativi). Vi sono anche alcuni graffiti antichi che raffigurano una creatura serpentiforme.
Nel 1926 fu avvistato l’Ogopago da molte insospettabili persone, come fu scritto sul giornale Vancouver Sun. Questa notizia fu pubblicata ancor prima che venisse avvistato Nessie, il Mostro di Loch Ness. Un altro fossile del sito egiziano è il Dorudon atrox, un archeocete lungo circa 5 metri. Gli esemplari scoperti sono in gran parte costituiti da individui giovani. Per questa ragione si suppone che l’area in esame fosse un luogo dove, dopo gli accoppiamenti, avvenissero i parti. Evidentemente questi mammiferi (come del resto gli attuali cetacei) prediligevano le zone di acque basse e riparate per procreare. Un certo numero di crani di giovani Dorudon presentano dei fori coincidenti perfettamente con i segni lasciati dai denti dei terribili Basilosauri. Dalla forma del cranio si desume che fossero tra i più primitivi, anche perché non era presente il rigonfiamento sotto cui poteva esistere l’organo della ecolocazione. Secondo alcuni studiosi questi mammiferi potrebbero essere stati i progenitori dei moderni cetacei. Le specie identificate sono l’ atrox ed il serratus, oltre all’osiris e zigorhiza. Questi Dorudon, come i Basilosauri, erano forti predatori. Una terza specie è l’ Ancalecetus simonsi. Si tratta di un basilosauride di medie dimensioni, lungo quasi sei metri. Poche sono le parti anatomiche rinvenute, tuttavia si nota una scapola che mostra una probabile prosecuzione cartilaginea, tipica degli attuali cetacei. Dall’usura dei denti si è osservato che doveva cibarsi di pesci, i quali però dovevano essere preventivamente masticati prima di ingoiarli. E’ un esemplare dell’Eocene superiore (Priaboniano). Oltre ai fossili di Archeoceti, a Wadi Al-Hitan sono stati scoperti resti di primitivi sirenidi ed anche un antenato dell’elefante: il Moeritherium. Era un mammifero lungo quasi tre metri, con un muso simile a quello del tapiro e forse fornito di una piccola proboscide. Si nutriva di piante acquatiche, vivendo su queste zone paludose. Fossili di Moeritherium sono stati scoperti anche in Mali e Senegal.
In tutta l’area paleontologica vi sono estesi affioramenti di mangrovie fossili. Inoltre sono presenti tre diverse formazioni geologiche, tutte eoceniche. Queste rocce sono rispettivamente di calcare marnoso bianco ed argilla gessosa, tipica di un basso fondale costiero. A queste rocce si associa una seconda formazione in cui sono stati rinvenuti i fossili di Archeoceti, assieme a resti di squali (presente una mascella di Pesce sega), tartarughe e coccodrilli. L’età di queste due formazioni è di 41-40 milioni di anni da oggi. Un terzo gruppo di rocce più recenti (39 milioni di anni da oggi) copre le due precedenti ed è ricchissima di faune di molluschi, nummuliti (grandi foraminiferi – protozoi) dalle tipiche forme discoidali. A tale riguardo il termine latino nummulus significa monetina e i calcari nummulitici , molto diffusi in Egitto, furono utilizzati dai faraoni per costruire le piramidi. Per la particolarità e per la quantità di reperti fossili venuti alla luce, il Wadi Al-Hitan è stato inserito nei World Heritage Site dall’ UNESCO come il posto più importante al mondo per la presenza degli Archeoceti e quindi per la possibilità di studio sull’evoluzione dei cetacei.
Dall’inizio del 2016 sul sito paleontologico è stato costruito un museo, il quale costituisce la prima esposizione permanente del medio oriente interamente dedicato ai fossili. Questa struttura è stata finanziata dall’Italia con 2 miliardi di euro (da Venet’s Magazine), che già prima del 2012 aveva contribuito alla realizzazione del sito con il contributo scientifico del Parco Nazionale del Gran Sasso insieme all’Università del Michigan (USA). All’interno della struttura museale, di forma rotonda, spicca uno scheletro di basilosauro lungo una ventina di metri, oltre ad altri fossili e manufatti in selce, testimonianze queste della presenza umana di migliaia di anni fa, di quando cioè il Sahara era verde e c’erano fiumi, laghi e foreste. Senza dubbio questo sito merita una accurata visita da parte dei turisti e degli studiosi poiché, nonostante le ricerche condottevi, offre ancora sempre nuovi spunti ed osservazioni. Quando ammiriamo le attuali balene e le confrontiamo con quelle fossili da cui son derivate, sembra quasi impossibile che quei primi organismi si siano così radicalmente trasformati, ma il bello della Natura è che non finirà mai di stupirci.
Testo/foto Giuseppe Rivalta