Come a Cristoforo Colombo viene attribuita la scoperta dell’ America, in realtà già conosciuta da tempi antichi, così ai Romani viene attribuita la paternità di strade create ed utilizzate dalle popolazioni locali, che magari i Romani hanno soltanto provveduto ad ampliare e migliorare.
Come nasce una viabilità?Appena si formano tracce, create dal passaggio degli animali all’interno di foreste, savane o praterie, queste tendono a mantenersi grazie al movimento che s’instaura lungo quel determinato percorso. L’uomo ha sempre seguito questi veri e propri sentieri che portano all’acqua o ad punto più vicino. Siffatte vie, pian piano, diventano vere e proprie strade. Qualcosa del genere deve essere avvenuto fin dall’epoca Post Boreale per quello che riguarda il nostro territorio appenninico. Infatti, 20.000 anni fa, gruppi paleolitici seminomadi hanno iniziato a lasciare segni della loro presenza. Fin dall’inizio dell’Età dei Metalli (tra il 2500 ed il 2300 a.C.) sono stati scoperti oggetti di provenienza extraregionale. Un caso per tutti è un ascia-martello incompiuta, scoperta dall’autore in un inghiottitoio sull’altopiano gessoso del Farneto. La tipologia ed il materiale di questo oggetto sembrano provenire da zone al di là dell’Appennino. Più tardi, alla fine dell’Età del Bronzo (1150 -1000 a.C.) si sviluppa una cultura che documenta come la penisola italiana si fosse già, almeno culturalmente, unificata con sepolture ad incinerazione e che, dal 900 a.C. , si regionalizza con la nascita di facies tipiche: la prima è il Villanoviano.
Gli Etruschi: primi costruttori di strade. Recentemente è stato dimostrato che esiste un legame genetico, fin dalla fine del Neolitico, tra gente della Toscana ed una popolazione dell’Eurasia che viveva nella regione occidentale della Turchia: erano gli Etruschi. Lo stesso Erodoto sosteneva che gli Etruschi (o Tirreni) provenivano dalla Lidia. Dal VI° secolo a.C., quando iniziò la loro espansione, questo popolo raggiunse aree al di là dell’Appennino Tosco-Emiliano. Essi furono i primi costruttori di vere strade sul suolo italico. La Via Clodia, ad esempio, collegava Cerveteri a Bolsena, mentre la Via Cassia andava da Roma a Cortona. La stessa Via Aurelia , lungo il Tirreno, fu inizialmente etrusca. La professoressa Paola Foschi fa osservare che la presenza di nomi di certi fiumi o torrenti (= idronimi), sono di derivazione etrusca (es: Quaderna, Santerno, Diaterna, ecc.), oltre a quelli di santuari votivi (come quello del Peglio vicino alla Raticosa) ed a villaggi (come Monte Bibele e Monterenzio Alto). Tutti questi elementi sono posizionati nei pressi di quella che poteva essere una via, sullo spartiacque tra Idice e Sillaro, divenuta poi nota come Flaminia Minor. Proprio osservando l’orografia della nostra penisola, si nota un sistema di crinali che fin dall’inizio hanno favorito i trasferimenti. La Via Emilia ancora oggi ricalca una lunga pista pedemontana che permetteva l’urbanizzazione dei villaggi, i quali ormai si stavano collegando con centri agricoli ed erano in comunicazione con le dorsali appenniniche. Secondo l’antropologo Giovanni Caselli esiste l’ ipotesi di una “Via Tirrenica” che da Chiusi, via Fiesole, arrivava a Bologna. Non mancano nemmeno dorsali definite etrusche, tra Lucca e Bologna. Vicino a Capannori (Lucca), durante lavori di ampliamento di un inceneritore, nel 2004 è stata scoperta una strada che lo storico greco Schillace di Carianda (VI°-V° sec. a.C.) descriveva come una strada larga 7 metri, che in soli 3 giorni consentiva al “popolo dei Rasenna” (Etruschi) di passare da un mare all’altro. ovvero dal Tirreno a Spina (= Comacchio). Tra i basoli che lastricavano questa carreggiata, gli archeologi hanno trovato pezzi di vasi attici, di bucchero e chiodi di ferro delle ruote dei carri. Questi reperti hanno permesso di datare perfettamente i 300 metri di strada ritornata alla luce dopo 2500 anni. Dopo secoli di scontri con Roma, a partire dal I° secolo a,C. l’Etruria era stata ormai del tutto “romanizzata” e addirittura, nell’89 a.C. gli Etruschi ottennero la cittadinanza romana.
I Romani: grandi costruttori della rete stradale. I Romani , dal canto loro, dedicarono molte delle loro energie per costruire strade, oltre a fare acquedotti e cloache, come scriveva Plinio il Vecchio. Le Vie Consolari crearono una rete di comunicazione a livello prima italiano, poi europeo. Secondo certi autori, l’utilizzo di queste strade era stato previsto per poter spostare velocemente le legioni da un punto all’altro dell’Impero, pur consentendo il transito anche ai mezzi commerciali. Secondo alcuni calcoli, la rete stradale romana copriva almeno 100.000 km., di cui molti lastricati. Solo in Italia le principali Vie Consolari erano più di dieci, ancora oggi percorribili con mezzi moderni. La realizzazione dei tratti lastricati è descritta da Vitruvio, che definiva quattro strati e cioè: fondamenta (statumen), intonaco di fondo (rudus), ghiaia e argilla (nucleus) e blocchi di roccia squadrati (pavimentum). Tuttavia anche gli Etruschi preparavano un adeguato fondo prima di lastricare. Tra il 220 ed il 219 a.C. venne costruita da Gaio Flaminio Nepote la Via Flaminia, che congiungeva Roma a Pesaro e poi a Rimini. A questo punto si inizia a parlare del nostro Appennino. Infatti Caio Flaminio Console nel 187 a.C. sconfigge i Liguri Friniati (del Friniano), i quali erano asserragliati nella Valle del Secchia e del Panaro. Poco dopo iniziò la guerra contro i Liguri Apuani. Queste popolazioni avevano più volte devastato le zone di Bologna e Pisa. La costruzione di una via transappenninica (contemporanea a quella della Via Emilia) tra i territori emiliani ed Arezzo, ebbe lo scopo di renderli più sicuri.
Da Felsina a Bononia. Felsina (città-stato etrusca), fondata nel 534 a.C., era stata ormai circondata dai villaggi dei Celti (Galli Boi). Poi a causa di tensioni crescenti con i Celti stessi e anche con i Romani, gli Etruschi si ritirarono dalla pianura padana, lasciandola ai Galli Boi che la rinominarono come Bona (= luogo fortificato). Così rimase fino al 189 a.C. quando il console Publio Cornelio Scipio Nasica li sconfisse sulle rive del Fiume Idice, nei pressi dell’odierna Castenaso. Il tal modo le provincie romane si spostarono lungo l’asse della futura Via Emilia. Il senato della Repubblica, nello stesso anno, promulgò l’istituzione della colonia romana di Bononia. Marco Emilio Lepido (eletto console dopo che aveva sconfitto definitivamente i Liguri insediatisi sul Monte Balista (zona del Monte Beni) sul crinale appenninico, nel 187 a.C. diede inizio alla costruzione della Via Emilia (probabilmente riadattando un percorso etrusco).
La Via Emilia pedemontana e la via transappenninica Flaminia Minor. La posizione di Bononia era importante perché a metà strada tra Rimini e Piacenza. Contemporaneamente il console C. Flaminio iniziò a costruire una strada transappenninica che doveva collegare Bologna ad Arezzo. La scelta di Arezzo (fondata dagli Etruschi su insediamenti del Paleolitico) era dovuta all’importanza da sempre avuto da questa città, ma che, in diverse occasioni, aveva mostrato un mai sopito spirito di ribellione contro Roma. La viabilità, che si presume fosse la migliore per collegare Bononia ad Arezzo, era una strada passante sul crinale Idice-Sillaro. Infatti secondo il Prof. P.L. Dall’Aglio (Professore di Topografia Antica- Università di Bologna) “…se la Via Emilia svolgeva il compito di unire i due capisaldi di Rimini e Piacenza, la Flaminia “Minore” aveva lo scopo di collegare il più direttamente possibile, la zona bolognese, cioè il settore centrale della pianura emiliano-romagnola, con la piazzaforte di Arezzo…” L’innesto di questa strada transappenninica , secondo il Prof. Renato Scarani, avrebbe avuto il suo inizio/arrivo a Claterna sulla via Emilia presso Varignana Superiore, località in posizione dominante. Varignana è un tipico toponimo fondiario romano derivante da “Gens Varinia”. Sulla collina dove si trova la chiesa preromanica di San Lorenzo furono trovati reperti romani. Claterna (accanto al torrente Quaderna) era una cittadina posta tra Bononia e Forum Cornelii (Imola) ed era una tappa del tragitto tra queste due colonie maggiori, ad una distanza cioè corrispondente ad una giornata di marcia delle legioni. Nel 1300 esistevano ancora i ruderi dl un ponte romano sul torrente Quaderna. L’Abate Serafino Calindri, studioso della fine del 1700 dell’ Appennino bolognese, riferisce inoltre che attorno al territorio di Claterna esistevano allora ospedali e osterie, a dimostrazione che vi era ancora in quel secolo un certo movimento di persone e merci. La Flaminia Minor venne ricercata, negli anni ’80 del secolo scorso, anche dal parroco di San Clemente Don Renzo Calzi, appassionato di storia antica. Lungo la dorsale Idice –Sillaro, infatti, sono venuti alla luce numerosi ritrovamenti romani in direzione del Passo della Raticosa Forse questi elementi non erano lì per caso ! Al Podere La Torre fu scoperta una vasta necropoli come più a Sud, a Cà Migliarina , vari materiali ecc. Complessivamente si contano una ventina di siti che hanno prodotto materiali di fattura romana lungo questa direttrice la quale, per altro, non presenta mai forti pendenze.
Oggi alcuni tratti che attraversano calanchi di Argille Scagliose sono certamente mutati con il passare dei secoli, diventando più dirupati, ma queste morfologie non sono sempre state così. Occorre notare come, a parte Claterna, vi erano altre località che in qualche modo si correlavano alla via Flaminia Minor. Le due principali erano Settefonti e Castel dei Britti. Attorno a queste sono venuti alla luce almeno venti siti con presenza di materiali romani. Per quanto riguarda Settefonti, forse esisteva una via che la collegava all’agro di Claterna passando nel fondovalle del torrente Quaderna (in cui si vedono tratti con basolati certamente antichi, i quali oggi si perdono nel bosco che sale sulla collina in direzione di Settefonti. Un altro elemento non meno importante è la presenza dell’insediamento etrusco-celtico di Monte Bibele, sul crinale Zena –Idice. Qui dal 400 a.C. un gruppo di etruschi creò un villaggio costituito da una trentina di case e magazzini edificati su terrapieni di pietre. Anche di fronte, a Monterenzio Alto, fu costruito un analogo villaggio. Tra il 380 -350 a.C. a Monte Bibele si aggiunse un gruppo di Galli Boi, che importarono i loro riti e tradizioni. Insieme le due comunità vissero per almeno tre generazioni. Un elemento degno di considerazione è dato dal fatto che proprio sul letto del torrente Idice e sulla montagna di fronte a Monterenzio (in latino “Monte Terenzio”, altro nome romano) si trovavano importanti affioramenti di minerali di Rame, un metallo che era molto ricercato per realizzare oggetti (armi, elmi ecc.). Quindi anche questo è da considerare un dettaglio non insignificante ! Tra il 200 a.C. ed il 187 a.C. questi insediamenti etrusco-celtici vennero distrutti dai Romani: appena due anni più tardi i Galli furono completamente sconfitti dalle legioni.
Dalla Flaminia Minor alla Flaminia Militare. Nel 187 a.C. iniziarono i lavori per la realizzazione della Flaminia Minor. Verso il 64 a.C. Arezzo, per ottenere una sua autonomia, si ribellò a Roma. Per tutta risposta Giulio Cesare, per punirla, inviò i propri “Veterani” ed in breve l’assetto demografico originario venne sconvolto. Nello stesso periodo veniva fondata Firenze, dopo aver bonificato la Valle dell’Arno . Automaticamente la floridezza di Arezzo declinò e con essa gli scambi con Claterna e Bononia. Tuttavia in Età medievale continuarono ad esistere insediamenti, religiosi e di sosta, lungo la Flaminia Minor. In quei tempi era ancora utilizzato il termine “Via Flamenga” (etimologicamente Flaminia). Sopravvivono anche oggi in questi luoghi la casa “Migliarina”, la località “Ancisa”(= Incisa), termini viari romani, il nome di Monte Cerere (divinità romana della Natura e coltivazione dei campi), Settefonti ( Curte septem funti), Castel dei Britti (Castrum Britorum o Gissaro), ecc. Nell’Atlante dei Beni Culturali , nel capitolo sulle infrastrutture del territorio dell’Emilia Romagna, la prof. Antonella Coralini in una cartina mostra la presenza di due strade: la Flaminia Minor ad est ed una seconda più ad ovest. Quest’ultima è stata nominata da Cesare Agostini e Franco Santi come “Flaminia Militare”. Furono loro a scoprire questa via lastricata , dopo anni di lavoro per riportarla alla luce, dai boschi che l’ avevano coperta. E’ situata, questa strada, tra Setta e Sambro, caratterizzata da grandi basolati di un’ arenaria molto resistente. Che via, allora, poteva essere? Gli scopritori hanno chiamato questa strada Flaminia Militare ed hanno ipotizzato potesse partire dal ponte ( sicuramente di origine romana) di Rastignano per poi passare da Jola , dove esiste una base di colonna con una parte d’iscrizione romana (TER= pater?) , da Paderno (Fundus paternum?) , Pieve del Pino (Sant’ Ansano), Monte Adone, Brento, Monterumici, Monzuno (Mons Junonis), Monte Venere, Cedrecchia (Cedricula, o un termine legato alla dea Cerere?), Madonna dei Fornelli (antico nome legato alla presenza di carbonai) ecc., fino al ripido crinale di Pian di Balestra. Quassù sono venuti alla luce lunghi tratti di basolato molto simili a quello romano, ma ancora in fase di definizione da parte degli archeologi, non ostante gli scopritori ne sostengano con forza questa origine. Con ogni probabilità un tale percorso, ricco di toponimi latini (ma scarsissimo di reperti romani ), poteva far parte di una via che scendeva in Toscana forse a Firenze, città che, come già accennato, era stata fondata nell’VIII° – IX° decennio del I° secolo a.C. In riferimento al ritrovamento etrusco di Capannori, alcuni ipotizzano che la soprannominata Flaminia Militare potesse anche dirigersi verso Pisa e l’Isola d’Elba, dove vi erano le miniere di ferro. Oggi Il Prof. Antonio Gottarelli, come del resto il prof. Daniele Vitali, restano convinti propugnatori di una Flaminia Minor situata tra Sillaro ed Idice.
Tra l’altro, nella antica Tabula Peutingeriana del XII°-XIII° secolo d.C (una copia di una antica carta romana), compare indicato tra Bononia e Claterna il fiume Isex (=Idice), contrassegnato da una riga rossa. Evidentemente per indicare il fiume Idice in una carta geografica che copriva tutto l’Impero Romano dalla Gallia all’Asia Minore, doveva essere un riferimento importante per il viaggiatore che voleva attraversare l’Appennino. Ovviamente ancora vi è un dibattito aperto, come spesso accade. Certo è che entrambe le strade Minor e Militare sono scomparse dalla Storia da secoli e solo ora riaffiorano, grazie alle ricerche di tanti studiosi ed appassionati. In questo modo si ridà nuova vita a territori dimenticati, ma per questo ancora pieni di fascino e rimasti ancora praticamente intatti, giustamente evocati verso un moderno turismo sostenibile che diventa una forza economica trainante per le piccole comunità viventi ancora in questi meravigliosi territori.
Testo/foto Giuseppe Rivalta