La Sardegna, lo sappiamo tutti, oltre a possedere coste d’incanto e un interno tutto da scoprire, produce da sempre anche vini forti e corposi di elevata qualità, come i suoi abitanti, bianchi, rossi, rosè, dolci e spumanti, ideali per accompagnare la robusta e gustosa cucina locale a base di pesce, carne ovina e suina, formaggi. Da sempre vuole dire vini parecchio antichi, ma antichi quanto esattamente ? Questa semplice domanda introduce in un mare magnum e procelloso di ipotesi su chi abbia per primo prodotto il vino, primogenitura capace di generare prestigio tra i paesi produttori, tanto che ognuno vorrebbe fosse il proprio, pronto per questo a fare anche carte false ed a sostenere bugie clamorose. Svicolando tra tante ipotesi più o meno partigiane, un dato di fatto certo deriva da un autorevole organismo come l’Unesco, braccio culturale dell’Onu, il quale nel 2013 ha riconosciuto alla Georgia – la nazione caucasica all’estremo confine sud-orientale dell’Europa – il primato di domesticazione della vite già nel tardo neolitico, circa 8.000 anni fa, nonché quello di più antica vinificazione testimoniata, risalente a 7.400-7.000 anni or sono, con un metodo originale di fermentazione del mosto entro consistenti anfore di terracotta interrate nel terreno delle cantine.
Per parecchio tempo si è pensato che la vite in Sardegna fosse stata portata dai commercianti navali cretesi, ciprioti e fenici a cavallo del primo millennio a.C., o al più tardi da quelli punici-cartaginesi del VI sec., proveniente dall’est Europa caucasico o dal Medioriente, ma recenti scoperte tendono a retrodatare di parecchio questa data e, soprattutto, hanno accertato un’origine autoctona della vitis vinifera e della produzione del vino già in piena epoca nuragica; stessa cosa per l’ulivo. Al massimo dall’estero possono essere state importate le tecniche di addomesticamento della vite, con gli opportuni innesti per renderla più produttiva, e di trasformazione di questa nel pregiato nettare e nella sua conservazione nel tempo, o forse anche quest’ultimo processo si è realizzato in loco, osservando la fermentazione spontanea e naturale – nonchè la successiva produzione di vino – avvenuta per caso con grappoli d’uva messi in contenitori d’argilla per essere conservati nel tempo. Sulla produzione, il consumo e l’esportazione di vini sardi in epoca protostorica vedi: Piero Bartoloni, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Carlo Delfino Editore, 2009, pp.38-40; questo editore ha in catalogo una serie rilevante di titoli sulla storia antica e l’archeologia dell’isola. Tracce di vino, evidentemente importato dalla Sardegna, sono state ad esempio rinvenute all’interno di caratteristiche brocche nuragiche di ceramica, datate tra IX e VIII sec. a.C., trovate nei centri dell’Etruria mineraria quali Vetulonia e Populonia, territorio dove iniziò ad essere prodotto soltanto nel VII sec. a.C. Risulta importante ricordare al riguardo come nell’antichità l’ebbrezza indotta dal vino fosse assai apprezzata, in quanto si riteneva che tale stato avvicinasse in qualche modo agli dei.
I Francesi, come al solito, hanno vantato a lungo una loro primogenitura, grazie al rinvenimento nel sud della Provenza di un torchio in pietra risalente al V-IV sec. a.C. Ma in Sardegna, già nel 1993, a Monte Zara vicino a Monastir (Cagliari) gli archeologi avevano portato alla luce una capanna-laboratorio adibita alla produzione di vino, olio di oliva e mattoni in terra cruda , contenente un torchio vinifero dove i chimici dell’università di Cagliari hanno individuato tracce evidenti di acido tartarico presente nell’uva, a riprova del fatto che fosse servito a produrre vino. Il torchio di Monastir risale però al IX sec. a.C., cioè almeno 400 anni prima di quello francese. Per la precisione l’uva era a bacca rossa, forse un Cannonau ante litteram vecchio di 3.000 anni. Vini nuragici più o meno di quell’epoca (tra 900 e 750 a.C.) erano già noti per il Campidano, ancora oggi ricco di vigneti di Cannonau, che gli Shardana si gustavano già in piena età del Ferro.
Intanto tra il 2006 e il 2009 l’èquipe del Centro Conservazione Biodiversità, diretta dal prof. Gian Luigi Bacchetta, ordinario di Botanica all’Università cagliaritana e direttore dell’Orto Botanico cittadino, durante scavi archeologici nelle grotte del Monte Meana presso Santadi (Iglesias) ha rinvenuto tracce di vite selvatica di età nuragica, risalente a circa 4.500 anni fa. Una scoperta significativa ma non determinante, in quanto nel mondo si sono rinvenuti tralci fossili di uva selvatica risalenti a centinaia di migliaia d’anni, quando non anche a decine di milioni, tuttavia utile a confermare l’origine autoctona della vite sarda.
La scoperta più importante è avvenuta invece nel 2013 presso il villaggio nuragico di Sa Osa vicino a Cabras, all’interno di tre pozzi scavati nella roccia per la conservazione di derrate alimentari da mantenere fresche, tre frigoriferi naturali dell’antichità (cosa che la dice lunga sull’ingegno del popolo nuragico). Qui, assieme a semi di melone, noci, nocciole e fichi, sono stati trovati oltre 15 mila semi di vite e vinaccioli non carbonizzati e in perfetto stato di conservazione, di consistenza del tutto simile a quelli freschi delle piante odierne, appartenenti ad uve a bacca bianca di Vernaccia e Malvasia. Il riconoscimento è avvenuto grazie ad una innovativa tecnica di analisi dell’immagine compiuterizzata, la quale attraverso funzioni matematiche analizza forme e dimensioni dei vinaccioli, comparando quelli antichi con quelli attuali. La datazione al C14 ha rivelato un’età di 3.000 anni, quindi tra 1.300 e 1.100 a.C., in pietà età del Bronzo, corrispondente all’apogeo dello splendore della cultura e della civiltà nuragica classica. Quindi sappiamo per certo come gli abitanti delle torre sarde brindassero a Cannonau, ma anche a Vernaccia e Malvasia.
Sicuramente il vino non è stato “inventato” nell’isola mediterranea, ma risulta scientificamente accertato come la vite sia una pianta autoctona dell’isola, e che il vino più vecchio del Mediterraneo sia stato prodotto da questa terra. Oggi la vite rappresenta la pianta largamente più diffusa nell’isola, pilastro imprescindibile per la sua economia, coltivata sui terreni più diversi grazie alle favorevoli condizioni climatiche e pedologiche, alla base di una produzione di elevata qualità con proprietà organolettiche. Se l’Italia, in passato chiamata Enotria Tellus (Terra del Vino) soprattutto nelle sue regioni meridionali mediterranee, vanta 353 vitigni autoctoni (nel mondo in tutto sono 6.154, in 35 nazioni diverse), la Sardegna da sola ne annovera ben 120, capaci di produrre 20 vini doc. Vorrà pur dire qualcosa?!?
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