Botroidi e Cogoli sono due termini poco noti al pubblico non specialistico, anche se appassionato di natura. In queste pagine cercherò di spiegarne il significato e raccontarne la storia. Luigi Fantini, noto ricercatore bolognese che aveva scoperto il vasto sistema carsico dei Gessi Bolognesi ed aveva riportato alla luce antichissime industrie paleolitiche appenniniche, nella rivista Strenna Storica Bolognese del 1960 aveva pubblicato un articolo dal titolo “Curiosità geo-mineralogiche dell’Appennino bolognese”. In questo ormai famoso articolo, nella parte dedicata ai curiosi Botroidi, così ebbe a scrivere: “… Preso e compreso come ero dalla ricerca dei miei preziosi manufatti, per un certo tempo non diedi soverchia importanza a questi strani “sassi” ma, avendone un giorno notati di bellissimi, prevalse il mio istinto…e non andò guarì, che la mia cantina se ne arricchì in pochi mesi di un qualche centinaio!”
Che cosa sono? Il Prof. Gian Battista Vai, Direttore del Museo Capellini dell’Università di Bologna, così definì queste particolarissime forme arenacee dell’Appennino Settentrionale:“I botroidi sono uno dei tanti tipi di concrezioni. Sono quei corpi più cementati e induriti che si trovano nelle rocce clastiche pelitiche e finemente sabbiose. Si formano per circolazione subacquea e capillare, di acque arricchite in carbonato di calcio o altro sale precipitabile all’interno degli interstizi del sedimento, in corso di compattazione. L’ambiente di deposizione del sedimento ha poca importanza nella formazione delle concrezioni. Non sono stati trovati botroidi, o altre concrezioni, nelle Sabbie Gialle, che in genere sono sabbie molto pulite e prive di matrice fine. Quanto all’età (per quello che riguarda i campioni provenienti dal pede-appennino – ndr), sono pliocenici e miocenici. Quindi avremo botroidi nel Pliocene Intrappenninico e altri nel Miocene della Formazione del Termina (antecedente alla crisi di salinità del Mediterraneo e alla Formazione Gessoso-Solfifera). Infatti questi sono prodotti della diagenesi precoce del sedimento (in termini geologici). In Umbria e Marche, altri tipi di queste concrezioni sono abbastanza comuni e spesso disposte a livelli.
La parola “botroide” riunisce tutte quelle forme che hanno un aspetto simile ad un grappolo, e sono caratterizzati dall’assenza di una evidente struttura interna. I Cogoli (altro tipo di concrezione) invece hanno una struttura spesso stratificata e una forma tipicamente sferica. Queste ultime concrezioni possono raggiungere considerevoli dimensioni. Per entrambi le numerose conchiglie facenti parte del sedimento marino hanno fornito il Carbonato di Calcio che ha cementato, con processi di diagenesi (cambiamenti chimici e fisici di un sedimento) i granelli di sabbia, inizialmente incoerenti. Anche se di origini in parte differenti, queste concrezioni si osservano in diverse parti del mondo. Durante un mio viaggio in Cile, nel Museo di Copiapò (importante regione mineraria), s’incontrano esemplari di botroidi simili a quelli bolognesi. Forme cosi dette “botroidali” o a grappolo, esistono anche nel deserto del Sahara. Tra questi, alcuni esemplari curiosi sono chiamati “Bambole del deserto” per la forma che ricorda rotondeggianti pupazzetti, e sono costituite da un mix di granelli si sabbia e di gesso. Sempre in Sahara (Libia) esistono forme a grappolo di matrice scura in cui i minerali di ferro manganese sono sublimati all’esterno, per le estreme condizioni climatiche dovute all’escursione termica (= vernice del deserto). Campioni botroidali provengono anche dalla Patagonia Argentina , modellatisi in depositi di origine vulcanica. Anche l’Alaska presenta forme che ricordano i Botroidi, particolarmente nei pressi dei torrenti auriferi.
Ma torniamo ai nostri Botroidi bolognesi. I primi reperti trovati e ad essere in un certo senso studiati, sono stati quelli collezionati da Ulisse Aldrovandi, il grande naturalista bolognese della seconda metà del 1500. Nei suoi quattro libri “ Musaeum metallicum”, pubblicati postumi nel 1648, vi sono una decina di tavole raffiguranti botroidi provenienti verosimilmente dal Rio delle Meraviglie, un piccolo corso d’acqua che scende dalle prime colline vicino a Crespellano (Bo). L’Aldrovandi, a quell’epoca, si stava già interessando riguardo alla presenza di fossili nelle rocce, ma ancora ovviamente mancavano a quei tempi precise cognizioni scientifiche. Fu comunque Aldrovandi a coniare il termine “Geologia”. I campioni del Rio delle Meraviglie avevano destato in lui un notevole interesse e, a quelli più curiosi, dedicò molte pagine nel suo lavoro Musaeum Metallicum.
La straordinaria rassomiglianza di questi botroidi con frutti, animali o oggetti (mancando allora ancora una classificazione vera e propria), lo obbligarono a dare delle definizioni a volte suggestive, come ad esempio Orchites, Cucurbites, Melopoponites ecc. Altri invece li chiamò “Panis”, “Chelonites”, “Boletites” ecc., vale a dire “corpo roccioso” in forma simile a quello di zucca ecc. Interessante è leggere la descrizione che l’Aldrovandi diede di alcuni di questi. Dei botroidi della collezione Aldrovandi oggi ne restano ben pochi, visibili al Museo a lui dedicato a Palazzo Poggi (Università di Bologna). Nel Rio delle Meraviglie anni fa, con la costruzione di una briglia, sono stati coperti gli strati di arenaria da cui provenivano. Essendo il significato di “botroide” corrispondente a “grappolo”, la parola è stata usata non solo in geologia, ma anche in medicina, per evidenziare neoformazioni per lo più tumorali .
I Cogoli. Come già accennato all’inizio, oltre ai botroidi nelle arenarie dell’Appennino bolognese si rinvengono altri tipi di concrezioni: i Cogoli. Si tratta di aggregazioni sferoidali prive di una vera e propria struttura concentrica, formatesi entro sabbie/fanghi non ancora consolidati dove, nelle crepe che a volte si sono formate, si è poi depositata calcite (come è accaduto per le septarie delle Argille Scagliose dalla tipica matrice argillosa). Questo fenomeno di cementazione si è formato nel fondale marino, o in acque salate. La tipica forma sferica indica, secondo gli studiosi, che il carbonato di Calcio era localmente presente in quantità maggiori rispetto al contenuto dell’acqua. Grandi sfere sono reperibili in diverse parti del pianeta. Tra queste meritano di essere ricordate quelle della Nuova Zelanda (= I massi di Moderai) o quelle del Lago Qarum nella Depressione di El Fayoum, nel deserto occidentale egiziano. Qualcosa di analogo è stato scoperto anche in Bosnia, ma mancano ancora seri studi a riguardo. In Costa Rica vi sono numerosissime sfere, però di roccia a matrice vulcanica. In questo caso si ritiene siano state prodotte da una antica tribù locale.
In Romania invece sono diventate una grande attrazione i cosi detti “Trovanti”, grandi concrezioni di sabbie cementate. Si possono vedere a Ramnicu Valcea. Anche se spesso presentano consistenti dimensioni, possono assomigliare lontanamente ai nostri Botroidi. Attorno a queste ultime circolano storie molto particolari al limite della fantasia, alimentate dalle leggende popolari. La direzione del museo “Muzeul Trovantilor”, creato e voluto dalla Facoltà di Geologia e Geofisica di Bucarest, viene gestito dall’Associazione “Kogayon di Florin Stoican”. Così vengono definite queste strane concrezioni:“Sono formazioni geologiche di sabbia e ghiaia, formatisi 7 milioni di anni fa, dai sedimenti portati da un grande fiume. Una cementificazione ha creato forme molto strane. “ Hanno misure che partono da pochi millimetri ed arrivano fino a 6-8 metri.
Il Museo dei Botroidi. Da alcuni anni a Tazzola, frazione sotto il Monte delle Formiche (Bo) in Val di Zena, il sottoscritto con l’amico Lamberto Monti ha creato un originale percorso espositivo, partendo proprio dai numerosi Botroidi raccolti nel letto dello Zena da Luigi Fantini quasi quarant’anni addietro. Dalla scomparsa di Fantini se ne era persa la memoria, dimenticati al Castello di Zena. Noi del Gruppo Speleologico Bolognese li avevamo trasferiti dal Museo Civico al castello dove, anni prima, a Fantini era stato messo a disposizione un ampio locale. Ritrovati nel 2006 ancora avvolti nei giornali degli anni ’70 (che il ricercatore bolognese aveva posti all’interno di fustini da detersivo in cartone), li abbiamo esposti in una vecchia stalla dismessa a Tazzola, Lì li abbiamo valorizzati, distribuendoli in diverse scansie. Oltre a questi strani conglomerati, abbiamo pensato di creare un percorso geologico che, in dieci metri, coprisse oltre 60 milioni di anni, raccontando con minerali e fossili l’affascinante storia geologica dei quattro mari che hanno interessato nel tempo la Val di Zena. Il successo è stato progressivo, con l’inserimento di visite guidate alle scolaresche dai comuni vicini. Numerose poi le persone che qui sono arrivate anche grazie al sentiero CAI 815. Incredibilmente siamo entrati negli elenchi dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei, di Bononia Docet, di Bologna Welcome, dei Musei Metropolitani del Comune di Bologna , di Geocaching-Italia, di TripAdvisor ecc. Tutto questo grazie ai Botroidi di Luigi Fantini, che ora spero di aver meglio fatto conoscere ed apprezzare con queste pagine.
Si ringrazia il Prof. Gian Battista Vai , Direttore del Museo Capellini dell’Università di Bologna, per la revisione del testo e l’Associazione “Kogayon di Florin Stoican” ed il “Muzeul Trovantilor” – Romania per la collaborazione. www.parcomusealedellavaldizena.it/, info@parcomusealedellavaldizena.it
Testo/Giuseppe Rivalta – Associazione Parco Museale della Val di Zena (BO) Foto/Giuseppe Rivalta e Google Immagini – In copertina, Presepio di botroidi