Un lago, per definizione, è una massa d’acqua dolce, continentale, che occupa una depressione del terreno non in comunicazione diretta col mare. I laghi, tuttavia, sono forme “temporanee”, in quanto con il tempo tendono a colmarsi in vario modo. In realtà vi sono bacini lacustri in cui l’acqua raggiunge, in concentrazione, un altissimo livello di Sali di vario genere. Per questa ragione la vita al suo interno viene sottoposta a fattori limitanti abnormi, e relativamente poche sono le specie animali e vegetali in grado di sopravvivere. Questi straordinari organismi sono stati dotati dall’Evoluzione di escamotage fisiologici (es. osmosi), i quali permettono alle cellule di continuare a vivere anche in ambienti caratterizzati da salinità elevate. Questi bacini ipersalati, endoreici (cioè senza emissari), si presentano diffusi in tutto il pianeta, specialmente nelle aree desertiche dove l’evaporazione – per l’alta temperatura – risulta assai elevata da cui, ne consegue, un considerevole aumento di composti chimici nell’acqua.
In Nord Africa è famoso il Chott el Jerid tunisino, situato tra l’oasi i Nefta e Tozeur. La depressione, che si allaga periodicamente e occupa una superficie di oltre 5.000 km2, si presenta lunga circa 250 km, larga una ventina e profonda più di quindici di metri. Erodoto lo identificava col Lago Tritone. Nel XIX secolo fu studiato un progetto (mai realizzato per fortuna) che prevedeva un suo diretto collegamento con l’oceano. L’idea era venuta al francese Ferdinand de Lesseps, il principale promotore e realizzatore del Canale di Suez. In piena estate l’evaporazione risulta elevatissima, con temperature che possono arrivare anche a 50°C. In tal modo l’acqua evapora e il bacino diventa una spianata abbacinante di sale.
In Africa Occidentale vicino a Dakar, capitale del Senegal, si estende il Lago Rosa (o Retba). Questo bacino, non molto grande, prende il nome dal colore rosato delle sue acque, dovuto alla presenza di un’alga flagellata alofila emicroscopica (Dunaliella salina) capace di emanare un pigmento rosso a base di Carotenoidi. Per contrastare la pressione osmotica dovuta alla forte salinità, la piccola alga produce (e trattiene) il glicerolo, che le permette di proteggere le proprie membrane cellulari. Molto attiva è ancora oggi la raccolta dei bianchi cristalli di cloruro di sodio, il normale sale da cucina, operazione che fino a qualche anno fa era ad appannaggio delle donne.
Anche in Libia esistono laghi salati presenti in una zona particolare: i Laghi Mandara nel cuore dell’Erg Ubari. Qui, in mezzo ad altissime dune di sabbia, risale dal profondo e giunge in superficie la falda acquifera che riempie diverse depressioni tra le dune. Ovviamente i sali, a contatto con queste acque cristalline, si concentrano e si solubilizzano trasformando una risorsa idrica, nel Sahara attuale sempre più rara, assolutamente inutilizzabile per l’uomo e per gli animali. Un corpo immerso in questi bacini non va a fondo ma galleggia, né più né meno come accade nel Mar Morto, e asciugandosi si ricopre di piccoli cristalli. Tuttavia nelle loro acque riescono a sopravvivere dei minuscoli crostacei (genere Artemia) che hanno costituito l’alimento base per l’alimentazione fino a qualche decennio fa dell’antica tribù dei Daouada, viventi sulle rive e che lo stesso Erodoto aveva definito come “mangiatori di vermi”. I bacini sono in tutto una dozzina, ma i principali sono tre (Umm-el-Ma, Gabroun, Mandara), e misurano alcune centinaia di metri in lunghezza. Purtroppo, forse a causa dei cambiamenti climatici, il Mandara si è totalmente seccato.
Di questi particolari laghi se ne incontrano parecchi nelle Americhe, soprattutto meridionale, estesi tra Argentina, Cile e Bolivia. Il Salar de Uyuni (3.650 m. sul livello del mare) è il maggiore della regione. La sua superficie risulta talmente piatta e vasta da venire utilizzata per la calibrazione degli altimetri radar dei satelliti. Probabilmente la ragione per cui, nella parte occidentale del Sud America, si osserva una certa concentrazione dei cosiddetti “Salares”, risulta una conseguenza dei fenomeni orogenetici che hanno prodotto la catena andina, movimenti avvenuti tra Terziario e Quaternario. L’orientamento Nord–Sud e un certo parallelismo di queste catene montuose ha, in pratica, modificato la meteorologia di quelle zone. Infatti nelle depressioni occupate da bacini lacustri, a causa del sollevamento delle montagne, le precipitazioni sono diventate quasi assenti, poiché l’aria umida si concentra e scarica sui primi versanti affacciati sul Pacifico e funzionanti da barriera protettiva. Inoltre l’attività vulcanica ha rovesciato, anche per merito dei venti, tonnellate di materiali piroclastici (ceneri, lapilli ecc.) dei numerosi vulcani, ricchi di minerali. In tal modo le acque presenti in zona si sono arricchite di Boro, Magnesio e Litio ecc. Il Salar de Uyuni risulta un deposito enorme proprio di quest’ultimo minerale. Complessivamente le rocce saline presenti, valutate in almeno 10 miliardi di tonnellate, si presentano incorporate in undici strati per uno spessore variante da 2 ad oltre 10 metri. La storia geologica di queste formazioni risale a circa 40.000 anni fa.
A quell’epoca era infatti presente un gigantesco lago (Lago Minchin), il quale prosciugandosi si suddivise in bacini minori. Due sono gli attuali specchi d’acqua: Poopò ed Uro Uro. Altri bacini si trasformarono in deserti salati (Salar Uyuni e Salar Coipasa). Dalla piatta superficie dell’Uyuni si elevano delle colline definite “Isole”. La più famosa è quella chiamata “Pescado” (o Incahuasi), a causa della sua forma che ricorda quella di un pesce. Incredibilmente, sulle sue pendici crescono alcune specie di cactus di diverse dimensioni i quali, a causa delle limitanti condizioni ambientali, hanno una crescita lentissima. Nell’isola sono presenti anche arbusti con proprietà medicamentose. A novembre migrano qui tre specie di fenicotteri, oltre ad un’ottantina di altre varietà di uccelli. A completare questo vero e proprio ecosistema, circondato dal sale, s’incontra la volpe e la “viscacha”, un grosso coniglio selvatico. Ad alcuni chilometri di distanza, un’altra collina emerge dal salar. Su un lato si aprono alcune grotte, al cui interno si sono formate strane concrezioni saline, assomiglianti a ragnatele. Un ragazzo vive qui col compito di accogliere i pochi turisti, ma in condizioni molto disagiate e prive di ogni comodità e scarsità di acqua potabile. Una famiglia abita in una capanna all’Isola del Pescado, in condizioni di poco migliori. Le rocce che hanno formato queste emergenze sono costituite da fossili algali, oltre a depositi vulcanici.
Nell’Isola del Pescado sono stati trovati numerosi reperti archeologici, classificati come appartenenti agli antichi Aymara. Dal 2009 è stato riadattato e riaperto, in pieno salar, l’originalissimo “Hotel Palacio de Sal”, edificato completamente con blocchi di sale, tavoli, mobili e letti compresi. L’ideatore era stato Don Juan Quesada, il quale lo costruì per la prima volta a metà degli anni ’90, e dopo periodici restauri (per danni dovuti alle rare piogge) venne chiuso per problemi di inquinamento ambientale. Come sempre, certe località nascondono affascinati leggende. Anche per l’Uyuni, la gente Aymara racconta che una bellissima ragazza di nome Tunupa aveva partorito una bambina di pari bellezza. Tutti gli uomini mostravano attenzioni per questa fanciulla.Tale fatto fece ingelosire le donne della zona, le quali nascosero la neonata. La madre iniziò a piangere a dirotto per lungo tempo, fino a quando le sue lacrime allagarono tutti i campi che divennero sterili ed al loro posto si formò un enorme deserto di sale. Un’altra leggenda analoga narra come i monti attorno fossero dei giganti. Uno di questi, marito di Tunupa, la tradì con un’altra donna. Tunupa, che stava allattando il suo figlioletto, iniziò a piangere ed a perdere il latte, finché si formò un lago bianchissimo: il Salar de Uyuni. Nel salar vi sono i cosidetti “Ojos” (occhi del deserto), cioè polle da cui esce dell’acqua che, evaporando e cristallizzandosi attorno, crea delle forme circolari, per altro pericolose per la sottigliezza dello strato sottostante nel caso si passasse sopra con un veicolo.
Altri “Salar” non meno interessanti sono quelli di Ascotan e di Carcote tra Cile e Bolivia, circondati da imponenti catene vulcaniche terziarie e quaternarie (come ad esempio il Vulcano Ollague). Il lago Ascotanè si apre a 3.700 metri di quota. La flora, sui bordi del salar, risulta composta da oltre venti specie di erbe perenni ed arbusti. Le faune selvatiche sono rappresentate da volpi, viscace (simili ai conigli), condor, aquile e diverse specie di fenicotteri, che si cibano dei piccoli crostacei del lago (Artemia salina). Anche in questi casi la superficie risulta nettamente piana, dopo l’evaporazione dell’acqua in determinate stagioni. L’estensione di questi straordinari bacini si aggira intorno ai 200 km2. Sia nell’Ascotan che nel Carcote, si raccoglie, in prevalenza, Borace con sistemi un po’ più meccanizzati rispetto ad altri siti. Attraverso il Salar de Carcote passano i binari su cui transita un treno costituito da centinaia di vagoni, sui quali viaggiano i minerali da Uyuni a Calama in Cile. e che rappresenta l’unico collegamento col mare per la Bolivia. Il paesaggio si presenta dominato da alti e colorati vulcani, spesso irrequieti, con fumarole e vibrazioni telluriche. Sembra di essere in un mondo ancestrale, dove il silenzio viene rotto solo dal vento che, scivolando sul salar, solleva turbinose nubi di polvere assomiglianti a bianchi veli da sposa.
Poco distante dal confine col Cile, nel Sud della Bolivia, merita di essere ricordata la Laguna Colorada, un bacino di 54 km2 costituito da acque basse e salatissime. Si estende a 4.276 metri di altezza ed è caratterizzato dal colore rossastro delle sue acque, dovuto alla presenza di microalghe e sedimenti aranciati. Centinaia di “Fenicotteri di James” qui si accoppiano e stazionano lontano dalle rive, per cibarsi di crostacei e microrganismi. Ancora una volta, non lontano dal confine del Cile e sempre sull’altopiano boliviano, si può ammirare a 4.300 metri di quota la famosa Laguna Verde, allungata ai piedi del vulcano Licancabur (alto 5.920 m). Come si evince dal nome, le sue acque hanno un colore verde smeraldo dovuto alla quantità di minerali di rame disciolti, oltre ad un’inevitabile ipersalinità. Poco lontano si trova la Laguna Blanca, dove vivono colonie di fenicotteri. Analogamente ai precedenti siti, anche questo fa parte della grande Riserva Nazionale di Fauna Andina “Eduardo Abaroa”.
Nel versante occidentale del Licancabur (sul lato cileno) c’è il Salar de Atacama, non lontano dal piccolo e grazioso paese di San Pedro, a 2500 metri di altezza. Il composto chimico presente nel lago, proviene dal suolo vulcanico sciolto nelle acque che hanno origine dalle pendici andine circostanti. La falda, giungendo in superficie, si arricchisce dei minerali presenti, che l’evaporazione concentra, facendoli cristallizzare. Come per l’Uyuni, anche nell’Atacama vi sono depositi di Litio in grandi quantità e la sua estrazione potrebbe, un giorno, sconvolgere questo straordinario ecosistema. Le principali specie di fenicotteri sono abitualmente presenti nelle lagune dove si riproducono e dove costruiscono nidi di sale (essendo l’unico materiale disponibile in loco), di forma rotonda e simili ad una ciambella. Questi eleganti uccelli si cibano dei numerosi crostacei di Artemia francescana, presenti nelle acque. Una curiosità: il fenicottero, quando è in riposo, resta sospeso solo su una zampa e questa postura ha in realtà una funzione termodinamica, cioè un modo per concentrare il calore sull’arto immerso nelle gelide acque del salar. Molti sono gli altri uccelli che utilizzano quest’area, in diversi periodi dell’anno. Il verificarsi del ciclico fenomeno climatico del Niño provoca periodi più intensi di piogge, a causa del forte riscaldamento del Pacifico.
Trasferendoci in Nord America, nel coloratissimo stato Usa dello Utah, si estende il famoso Gran Lago Salato (Great Salt Lake Desert), a poco più di 1200 metri di altezza. Occupa 4400 Km2 ed è lungo circa 120 km, poco meno del lago Michigan. La salinità risulta elevatissima, attorno ai 270 gr/l (l’acqua del mare arriva solo a 35 gr/l). Ancora una volta è la piccola Artemia l’unico essere a riuscire a sopravvivere nelle acque di questo salar, formatosi nel Pleistocene. I geologi lo hanno dedicato a Benjamin Louis Eulalie de Bonneville, un ufficiale degli Stati Uniti di origine francese, a cui si deve l’esplorazione della regione. Negli anni ’30 il lago divenne, per le sue condizioni ambientali, il luogo scelto per battere i primati di velocità con veicoli appositamente studiati, ovviamente durante la stagione secca. Nella “Bonneville Speedway” l’auto Blue Flame nel 1970 batté il record del mondo su ruote raggiungendo, in un solo miglio, 1001,67 km/h.
Un altro sito americano da non dimenticare, in questa veloce carrellata dedicata ai laghi salati, risulta la Valle della Morte, tra California e Nevada. Questo bacino è sprofondato di 86 metri sotto il livello del mare a seguito degli eventi orogenetici avvenuti (e che continuano ad accadere) in questa parte occidentale degli Stati Uniti. Nella zona Ovest della valle si trova il cosiddetto Devil Golf Course, una estesa spianata di sale. Si tratta di quanto resta del grande lago che, alla fine dell’ultima glaciazione, evaporò lasciando una tormentata area bianca dalla superficie rugosa e tagliente. Nel XIX secolo furono fatti scavi per ricavare il Borace (sali ossigenati di Boro, Calcio e Sodio) in un ambiente secco e torrido, dove la temperatura raggiungeva valori limite per la sopravvivenza umana.
Da quanto esposto i “Salares” creano dei paesaggi irreali, con peculiarità singolari capaci di attirare un tipo di turismo particolare, non sempre adatto alle grandi masse, anche perché l’ambiente in cui si sono creati risulta in genere molto severo. Qui l’accecante soleggiamento annuale, le elevate temperature in grado di disidratare, la mancanza di acqua potabile, i silenzi interrotti dall’irruenza del vento che, improvviso, ricopre di sale qualsiasi cosa, sono tutti elementi capaci di colpire la parte più intima e profonda del visitatore. E cosa dire poi della strana sensazione che si prova, camminando sulle croste scrocchianti di sale simili al ghiaccio, ma ad una temperatura di oltre 40°?
Il viaggiatore che percorre un deserto qualsiasi, inclusi quelli definiti “salati”, non può non sentirsi catturato dal fascino sottile e misterioso emanato da queste solitudini così particolari. “Viaggiare nel deserto significa camminare nella nostra solitudine, per imparare a dare valore anche alle più piccole cose.” (Romano Battaglia).
Testo/Giuseppe Rivalta – Foto/Giuseppe Rivalta e Giulio Badini