In Italia, grazie all’incredibile patrimonio culturale ed artistico di cui disponiamo, non è difficile trovare gioielli nascosti e sconosciuti ai più. A volte queste opere magnifiche sono ammantate di mistero o leggende, soprattutto se di epoca medievale. È il caso della Canonica di Santa Maria di Vezzolano, chiamata impropriamente anche Abbazia senza mai esserlo stato, in comune di Albugnano provincia di Asti, un piccolo capolavoro romanico e gotico nascosto tra le colline che si trovano all’incrocio con le province di Torino e Vercelli, definito come uno dei più importanti monumenti medievali del Piemonte. La canonica, dedicata alla Vergine Maria come molte altre chiese che seguono la regola di Sant’Agostino, sorge nel verde di una splendida valle, in un angolo del Monferrato astigiano tra i più intatti e suggestivi, tra boschi, prati e vigneti. Malgrado i lunghi studi fatti sulla sua storia e la sua architettura, non tutti i dubbi sono stati risolti; rimane quindi una visita affascinante, con un pizzico di mistero.
Il primo riguarda la sua costruzione originale, la cui datazione è incerta: l’unico momento sicuro è il 17 febbraio 1095, quando un documento ufficiale riporta l’investitura dei canonici Teodulo ed Egidio al ruolo di officiales della chiesa di Vezzolano. Due le leggende sulle sue origini: la prima parla di una serie di frane mandate da Dio che distrussero un castello e la sua cappella, facendo spostare la chiesa nel luogo attuale. La seconda, molto più avvincente, vede Carlo Magno nel 774, reduce dalla fresca vittoria sui Longobardi, andare a caccia nei boschi della zona insieme ad altri due cavalieri. Qui incontra tre scheletri usciti da un sepolcro, che per lo spavento gli causano la sua (reale) epilessia; solo un eremita indica a Carlo la via della salvezza, costituita dall’edificazione in loco di una chiesa ad onore della Vergine.
Nei secoli a venire la canonica di Vezzolano ebbe sicuramente dei protettori potenti, come testimoniano una dedica a Federico Barbarossa contenuta all’interno, e soprattutto la sua ricchezza ed i vasti possedimenti terrieri che possedeva nelle province limitrofe. In un’epoca indeterminata compresa fra la fine del XIII° e del XIV° secolo, la chiesa incominciò però a perdere importanza, fino ad essere privata delle rendite relative alle sue proprietà terriere ed essere quindi affidata ad abati esterni nel 1405. Durante i periodi successivi salirà alle cronache solo per un episodio boccaccesco avvenuto nella seconda metà del ‘500. A San Carlo Borromeo, vescovo di Milano, giunse notizia di vizi e dissolutezze perpetrati dai monaci che vivevano in canonica; il santo decise così di camuffare la propria identità e di visitare la chiesa di nascosto. Giunto nottetempo a Vezzolano, venne accolto come viandante negli edifici, imbattendosi in una grande festa piena di donne e verificando così di persona la veridicità delle male parole. Nel 1805, a seguito delle soppressioni napoleoniche, il complesso fu venduto ai privati, per finire poi nel 1938 al Ministero ed alla Soprintendenza alle belle arti; è infine stato affidato al Polo Museale del Piemonte nel 2015.
Dal punto di vista architettonico, l’impianto della chiesa attuale risale alla fine del XII° secolo, mentre le forme al XIII°; la pianta è basilicale, con due navate e due absidi semicircolari, mentre la terza navata (quella di destra) è stata in parte inglobata nel bellissimo chiostro. La chiesa segue un perfetto orientamento est/ovest, con l’abside rivolta verso la Terra Santa, culla del Cristianesimo; due volte l’anno i raggi solari, penetrando attraverso la bifora della facciata, raggiungono le statue raffiguranti l’Annunciazione appoggiate al finestrone dell’abside. Un risultato eccezionale per l’epoca, perseguito perché la teologia medievale riteneva che la luce fosse un’emanazione diretta di Dio. La facciata, ancora gradevole, doveva essere magnifica e piena di colori, decorata com’era con statue policrome; in una facciata si trova la Vergine assisa in trono con lo Spirito Santo che le parla all’orecchio destro, mentre sopra vi è un’ampia bifora con la statua del Cristo benedicente e gli arcangeli Raffaele e Michele. Nel terzo ordine due serafini su ruote sono sovrastati da Dio Padre benedicente.
Come si entra nella chiesa, ci si trova davanti ad una struttura sorprendente: il Pontile o Jubè, una parete che la attraversa all’altezza della prima campata e la divide dagli spazi successivi. Jubè è un francesismo derivante dalla formula di apertura utilizzata dal diacono che, prima di iniziare la lettura del Vangelo, si rivolgeva a Dio guardando i fedeli e chiedendo la sua benedizione: Jube Domine Benedicere (Benedicimi o Signore). Il pontile di solito separava il coro (la parte della chiesa vicina all’altare), riservato al personale ecclesiastico, dalla navata dove sedevano i fedeli ed era tipico di chiese francesi e nordeuropee; vennero smantellati dopo il Concilio di Trento. Non è il caso di Vezzolano, dove è rimasto intatto ed in cui la posizione in prossimità dell’ingresso indica piuttosto una separazione dei fedeli fra aristocratici e popolino.
Realizzato in arenaria del Monferrato dipinta, è costituito da 5 campate di archi retti da colonne con capitelli fogliati, che sorreggono due serie di bassorilievi policromi ed una scritta: un ringraziamento a Federico Barbarossa, possibile committente dell’opera. La serie di bassorilievi superiore raffigura le scene della Dormitio, Ascesa al cielo ed Incoronazione della Vergine, quella inferiore gli antenati di Maria con in mano un cartiglio con il loro nome. Un’opera ricchissima per l’epoca, come conferma l’uso del lapislazzuli proveniente dalle montagne del Caucaso, per decorare la Vergine ed il Cristo. Una curiosità: gli antenati della Vergine sono 40, quelli rappresentati nel bassorilievo sono 35. E gli altri 5? Sono dipinti ai lati. Come mai? Impossibile saperlo: forse il bassorilievo era più lungo ed è stato tagliato, o semplicemente l’artista ha sbagliato le misure ed ha rimediato con la pittura.
Superato lo jubè ed arrivati all’abside, si può notare un trittico di terracotta posato sopra l’altare; rappresenta la Vergine col Bambino, Sant’agostino ed un eremita che accompagna un devoto inginocchiato e vestito con abiti regali. Carlo Magno? No, si tratta del re francese Carlo VIII il quale, venuto in Italia per cominciare una serie di guerre devastanti (le guerre horrende de Italia, le definirà Machiavelli), finì a pranzo dai canonici di Vezzolano. In quell’occasione, una notizia riportata negli annali dell’epoca dice che il re venne curato da una malattia (probabilmente la sifilide) dal frate erborista, che gli fece passare il malanno mediante una dieta: la somministrazione di una taumaturgica bagna caoda. Il celebre piatto piemontese, in cui si intingono le verdure superstiti del periodo invernale in un composto caldo di olio, aglio e acciughe, venne servito a Carlo VIII sostituendo l’aglio col peperoncino piccante. Le cronache riportano la guarigione del sovrano.
Uscendo attraverso una piccola porticina, si finisce nello splendido chiostro, un angolo di silenzio conservato nei secoli e simbolo della pace insita nei monasteri. I quattro lati risalgono a periodi diversi (XII°-XIII°-XVI° secolo), ed hanno quindi stili differenti; quello orientato a nord possiede un ciclo di affreschi che vanno dal 1250 al 1354, quando fu eseguito quello dell’Adorazione dei Magi, ad opera del Maestro di Montiglio. Sopra di esso, nella lunetta, un Cristo tra i simboli degli Evangelisti; al di sotto invece, il celebre affresco del Contrasto tra i tre vivi ed i tre morti. L’affresco sembra riportare la leggenda di Carlo Magno, con i cavalieri angosciati ed il re che si porta la mano verso la testa, come se avesse un attacco epilettico; davanti a lui gli scheletri e l’eremita indicante la salvezza. Qualsiasi sia la verità, il modello dipinto è tipico dell’epoca medievale, che vedeva i cavalieri e la caccia simbolo della vita terrena, a cui bisognava contrapporre un monito religioso. Questo affresco così particolare ha in ogni caso aumentato il fascino di mistero proprio della canonica, aggiungendosi a simboli o peculiarità propri di un’altra cultura che una volta aveva dimora in questa zona: quella celtica. La precisione dell’orientamento della chiesa pare legata a studi astronomici, le decorazioni con alberi della vita, maschere grottesche, animali fantastici ed altri simboli ricorrenti spesso nelle pievi romaniche delle colline del Monferrato, riportano ad una cultura pagana che forse resisteva ancora durante l’edificazione di queste chiese. Un altro piccolo enigma destinato, credo, a rimanere insoluto.
Info: www.vezzolano.it/ – tel. 333. 136 58 12
Testo/Paolo Ponga – Foto/Paolo Ponga e Google Immagini