In occasione di “Tourisma 2017”, il salone dell’archeologia e del turismo culturale in programma ogni anno a febbraio al Palacongressi di Firenze a cura della rivista “Archeologia Viva” dell’editore Giunti, il ministro per la cultura ed il turismo on. Dario Franceschini ha consegnato il premio Riccardo Francovich, istituito dalla SAMI (Società Archeologica Medievalisti) quale massimo riconoscimento ad una istituzione (museo, area archeologica, mostra o altro) per la valorizzazione di beni pubblici culturali e la loro corretta comunicazione. Ad essere premiata ex-aequo è stata la Cooperativa La Paranza di Napoli, e di riflesso anche la relativa Fondazione San Gennaro, per l’imponente lavoro di tutela compiuto sulle catacombe napoletane, oggi visitate da oltre 100 mila turisti ogni anno, un giusto riconoscimento a don Antonio Loffredo ed ai ragazzi anticamorra del Rione Sanità, ormai assunti a modello di spontanea iniziativa popolare per la valorizzazione del patrimonio culturale pubblico in abbandono, attraverso l’impegno ed il lavoro dei giovani disoccupati.
Nell’autunno 2016 abbiamo visitato le catacombe di Napoli in occasione di un convegno turistico, rimanendo fortemente impressionati dalla bellezza del sito, dall’immane lavoro svolto per renderlo accessibile, dall’impegno costante per farne un punto fermo dell’attrazione turistica della città, il tutto frutto unicamente del riscatto sociale ad opera di giovani privi di ogni mezzo, ma ai quali non difettavano certo intraprendenza e lungimiranza. Abbiamo riletto l’articolo, scritto all’inizio di Terre Incognite Magazine, trovandolo di assoluta attualità e meritevole di rinnovata diffusione. Ve lo riproponiamo. Tra i tanti miracoli attribuiti nel tempo a San Gennaro, quello della valorizzazione della necropoli che per secoli ha ospitato le sue spoglie – perché di un vero miracolo si tratta – crediamo vada annoverato tra i più importanti, per i benefici effetti sulla città e sui suoi abitanti.
Per festeggiare questo prestigioso riconoscimento accademico, i giovani della Cooperativa La Paranza hanno organizzato per domenica 10 giugno 2018 (con ritrovo alle ore 10 all’entrata di via Tondo di Capodimonte 13) una visita guidata speciale e gratuita per i lettori di Archeologia Viva, alle presenza di autorità e di esponenti del mondo della cultura. Seguirà aperitivo. Prenotazione obbligatoria a: prenotazioni@catacombedinapoli.it – tel. 081 74 43 714.
Napoli, terza città italiana per abitanti e tra quelle a maggior densità artistica e culturale del mondo (tanto da essere riconosciuta come sito Unesco), come tutti sappiamo è unica e diversa. Ma per parlarne occorre spogliarsi di parecchi pregiudizi che, anche se fondati, finirebbero per essere fuorvianti, perché bene e male albergano qua come d’ovunque. Facile criticare se si vive a Bologna o a Savona, in condizioni normali, cosa che non avviene mai a Napoli, capitale per parecchi secoli del più esteso regno italico, che si trova a possedere il più grande centro storico d’Europa e il maggior numero di edifici sacri del mondo. Prendiamo le stupende chiese barocche: sono poco meno di 500, con un numero di poco inferiore di conventi e uno almeno triplo di altari votivi sparsi per i vicoli, segno tangibile di radicata fede popolare (ma utili anche per illuminare di notte i vicoli bui, dimostrazione dell’ingegno partenopeo nel coniugare il sacro con il profano). Nella centralissima via Medina ci sono due chiese, esattamente una di fronte all’altra: erano davvero entrambe necessarie ? Non credo neppure sia un caso unico. La costa mediterranea della Turchia, ove si sviluppò la grande civiltà ellenistica, si presenta letteralmente disseminata da insediamenti antichi più o meno importanti: solo i maggiori come Troia, Pergamo, Efeso sono stati scavati, la stragrande maggioranza giace ancora sepolta alla mercè di intemperie e tombaroli. Chi potrebbe mai riuscire a gestire compiutamente un simile patrimonio ? Alla luce di ciò non deve sorprendere la pragmatica proposta partenopea di murare le porte di chiese e conventi, per evitare furti e saccheggi, salvaguardando un ingente patrimonio per le future generazioni.
Forse non sono in molti a saperlo, ma tra l’ingente patrimonio artistico, culturale e religioso della città del Vesuvio rientrano anche le catacombe paleocristiane, inferiori di numero e meno estese di quelle assai più famose di Roma, ma a nostro parere assai più ampie e fruibili turisticamente rispetto a quelle strette, spoglie e claustrofobe della capitale. Tutto deriva dal suolo delle colline napoletane, formato da tufi gialli, rocce piroclastiche composte dall’accumulo di ceneri e lapilli vulcanici compressi, provenienti dalle eruzioni in tempi anche relativamente recenti (30.000-10.500 anni fa) del vicino grande cratere vulcanico dei Campi Flegrei. Il tufo presenta la caratteristica di essere una roccia tenera che si lavora facilmente, ma una volta a contatto con l’aria si ossida e indurisce rapidamente, oltre ad essere isotermico, isolare cioè dal caldo in estate e dal freddo in inverno Se ne accorsero in fretta i Cumani dell’area flegrea che nell’VIII sec. a.C. fondarono Neapolis, tra le maggiori città della Magna Grecia (e quella più settentrionale) con uno dei più attivi porti del Mediterraneo, e grande alleata di Atene. I Greci per costruire la città e le sue fortificazioni cominciarono ad aprire cave nel terreno, per cui mentre gli edifici si sviluppavano in superficie, cresceva nel sottosuolo un reticolo composto da cunicoli, gallerie, sale e cisterne, che finirono per diventare gli uni appendici e prolungamento degli altri. I Romani usarono questi condotti come ipogei funerari, gallerie viarie e, soprattutto, come acquedotti per portare l’acqua in ogni punto della città dalla sorgente del Serino, distante 70 km, e condurla poi fino a Capo Miseno, per dotare di acqua potabile l’ingente flotta navale del Mediterraneo. Gli ultimi scavi furono eseguiti nel XX sec., quando servirono come rifugio contro i bombardamenti a tappeto della 2° guerra mondiale, poi su questo ingente patrimonio di oltre 2 milioni di metri cubi di vuoto è sceso l’oblio della storia, sollevato negli ultimi 30 anni dalla meritoria associazione Napoli Sotterranea (www.napolisotterranea.org), che ne ha valorizzato e attrezzato un tratto a scopo turistico. Ma questa è un’altra vicenda, sulla quale torneremo volentieri in una prossima occasione.
Le catacombe del Rione Sanità, nove in tutto (di cui solo tre però accessibili), costituiscono lo sfondo della storia che vogliamo raccontare, a nostro parere ben degna di nota. Rione Sanità, dove è nato Totò e ha ispirato varie commedie ad Eduardo di Filippo (un po’ l’anima di Napoli), è un quartiere collinare ubicato sotto la reggia di Capodimonte, così chiamato in passato per l’aria salutare e la presenza nelle necropoli paleocristiane di diversi santi. Nel 1600 ospitò nobili e borghesi nei loro ricchi palazzi, tra chiese e conventi. Poi l’aria deve essere cambiata, perché oggi si presenta come un ricettacolo di violenza e illegalità, miserie e povertà, e le istituzioni brillano per la loro assenza. Può capitare che un taxista si rifiuti di accompagnarvi in quel quartiere, specie di sera o di notte. Qualcuno imputa la colpa del degrado alla costruzione, ad inizio 1800, del ponte che sovrasta la valle collegando il centro storico con la reggia borbonica, che ne avrebbe fatto un’isola urbana tagliata fuori da ogni contesto. Tutte le scuse possono valere, per quello che valgono.
La nostra storia inizia quando diventa parroco della basilica di Santa Maria alla Sanità don Antonio Loffredo, un parroco di strada con doti da manager stimato da Papa Francesco per quello che ha saputo fare. Santa Maria non è una chiesa qualunque, ma “la chiesa” e punto di riferimento del rione nella piazza centrale, uno stupendo monumento barocco eretto nel Seicento, la cui cupola policroma di mattonelle gialle e verde si intravvede da ogni punto della città. Presenta pianta a croce greca con presbiterio rialzato, per inglobare una preesistente basilica paleocristiana, considerato uno dei migliori esempi di barocco napoletano per arte e architettura, paradiso pittorico con opere dei maggiori artisti dell’epoca, un vero museo della pittura del XVII sec. Ma c’è ancora di più: è stata eretta dai Domenicani sul luogo di rinvenimento di un affresco del VI-VII sec, la più antica raffigurazione napoletana della Madonna, e la chiesa ospita una statua di O Monacone, un santo molto amato dal popolo che nel 1836 avrebbe fermato una delle tante epidemie di peste. Infine, come se non bastasse, sorge sopra alle catacombe di San Gaudioso, vescovo tunisino fuggito sotto il Vesuvio dopo l’invasione dei Vandali e sepolto nella seconda per importanza delle necropoli extra moenia e, soprattutto, della ben più grande e rilevante catacomba di San Gennaro, la più antica area cimiteriale di Neapolis risalente al II-III sec. e anche il più significativo monumento del cristianesimo partenopeo. Occorre a questo punto precisare come a Napoli il rapporto tra vivi e defunti sia, da sempre, diverso rispetto a qualsiasi altro luogo, dove il mondo di sopra risulta in perenne relazione con quello di sotto in quanto i defunti vengono considerati abitanti a tutti gli effetti e il rapporto con l’aldilà faccia parte del quotidiano, come pure quello con i santi, che vengono sì da un lato venerati, ma ai quali si chiedono poi in cambio grazie in continuazione, come attestano i numerosi ex-voto.
Le catacombe di San Gennaro nascono nel II sec. come semplice sepolcreto di una famiglia gentilizia romana, allargato in breve tempo a dismisura a tutta la comunità paleocristiana per ottemperare al dettato religioso di rispetto del corpo umano, anche se defunto, in quanto creato ad immagine di Dio, e in attesa della Resurrezione finale. La versatilità del tufo fa aprire loculi ovunque, sulle pareti dei corridoi, nelle nicchie e sul pavimento degli ambienti, fino a coprire una superficie di 5.800 m2 con un totale di 3 mila sepolture, disseminate su due livelli non sovrapposti. Nel IV sec. subisce un primo sensibile ampliamento, quando ospita le spoglie di Sant’Agrippino, primo patrono di Napoli, e poi nel V quelle di San Gennaro, vescovo di Benevento nato nel 272 e decapitato a Pozzuoli nel 304 per la sua fede. Qui rimase come patrono di Napoli a partire dal 472 in quella che per dimensioni può essere definita una vera basilica sotterranea a tre navate (alta 6 metri), meta intensa di pellegrinaggi, fino all’831, quando venne trafugato da un principe longobardo a Benevento, per finire nel 1497 nel Duomo di Napoli, dove riposa da allora.
Forse vi interesserà sapere che – contrariamente a quanto si può credere, considerata la fede popolare che lo riguarda – non si tratta dell’unico patrono di Napoli, titolo che deve condividere con altri 51 colleghi, ma in compenso si tratta del santo più ricco del mondo, considerato il valore del suo tesoro in oro e gioielli. Ininterrottamente dal 1389 il suo sangue si liquefa nella teca tre volte all’anno, rinnovando il miracolo di San Gennaro. Nel Basso Medioevo la catacomba venne abbandonata e tale rimase fino al 1600, quanto tornò a funzionare come cimitero di nobili, per essere nuovamente riabbandonata poco dopo, oggetto di frane, crolli e parziali riempimenti ad opera di detriti e di colate di fango. Oggi, ripulita, valorizzata e portata a nuovo splendore (e vedremo come), costituisce un patrimonio storico e artistico unico nel suo genere di architettura al contrario, dove si è scavato anzicchè edificare, con il risultato di predisporre i visitatori al mistero trascendente dell’aldilà, al contatto con l’ineluttabilità della morte. Davvero straordinarie risultano le pitture del II sec. in stile pompeiano, con i simboli paleocristiani come il pesce, l’agnello, la vite con i tralci, gli affreschi del V-VI e le pitture bizantine del IV-X, così come i mosaici del V sec. nella Cripta dei Vescovi o il vasto fonte battesimale.
Don Loffredo non tarda a cogliere la palese contraddizione vissuta dal quartiere (e anche la stessa della città), con da una parte un enorme patrimonio culturale in abbandono, o comunque non debitamente valorizzato, e dall’altro tanti giovani nullafacenti privi di ogni prospettiva per un lavoro onesto e che diventano facili prede per le attività illegali della camorra. Gli si accende la lampadina: basta combinare le due cose e si risolve il problema. Spesso a mancare non sono tanto le risorse, quanto il coraggio, le idee e la fantasia. Nel 2006 fonda la cooperativa di giovani La Paranza, con lo scopo di sistemare e aprire al pubblico le catacombe di San Gaudioso e di San Gennaro, nonché la sottostante chiesa sconsacrata di San Gennaro Extra Moenia (in città sono nove le chiese intitolate al patrono), la più antica basilica paleocristiana cittadina del V sec. a tre navate e tetto a capriate, utilizzata nel tempo come ospedale per appestati, ospizio per i poveri e al momento come magazzino dell’ospedale San Gennaro. Facile a dirsi: un progetto dal costo di tre milioni di euro, quando la cassa è vuota, con mille difficoltà di ogni tipo da affrontare (che don Antonio sintetizzerà in un libro, Noi del Rione Sanità, edito da Mondadori nel 2013), ma nessuno si scoraggia perché la fortuna premia gli audaci e la Provvidenza interviene sotto forma di mille aiuti pubblici (pochi) e privati (tanti).
Dopo otto anni San Gennaro è diventata una sala polivalente per manifestazioni culturali a disposizione del quartiere, le catacombe sono passate da 5 a 70 mila visitatori all’anno e la cooperativa occupa stabilmente 40-50 persone. Vogliamo parlare di successo, magari con la S maiuscola ? Si sa che le buone idee camminano con le proprie gambe: dopo la prima iniziativa se ne affiancano altre, autonome o in connessione, tanto che si comincia a parlare di un “metodo Sanità”: nascono un ensemble musicale con 40 ragazzi che si sono esibiti davanti al Papa ed a Napolitano, un teatro e una scuola di danza, una casa protetta per donne e bambini, laboratori e botteghe artigiane, mentre la Paranza trasforma e gestisce un convento abbandonato presso le catacombe in B&B. Se Napoli avesse incontrato diversi don Loffredo, sarebbe un’altra città.
Info: Le visite guidate dalla cooperativa alle catacombe avvengono ogni giorno feriale dalle 10 alle 17, ogni domenica e festivi dalle 10 alle 14; durano un’ora e mezza, con temperatura di 16-22°C; su richiesta vengono organizzate aperivisite, con degustazioni di vini e di specialità gastronomiche tipiche locali. La domenica mattina alle 9,30 viene compiuta una visita guidata ai monumenti del Rione Sanità, sulle orme di San Gennaro. Dove alloggiare: La Paranza gestisce nei pressi delle catacombe la Casa del Monacone, un b&b ricavato da un antico convento, situato vicino alle linee 1 e 2 della metropolitana, alla reggia di Capodimonte e al Museo nazionale archeologico, e non lontano dal centro storico, a prezzi contenuti. Per entrambi info:tel.081/744.37.14, info@catacombedinapoli.it, www.catacombedinapoli.it
Testi/Foto di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini – Foto Google Immagini