Chiunque di noi, purchè classificabile come grande viaggiatore colto e curioso, può avventurarsi nelle acque infinite del Pacifico, quell’enorme oceano che si estende ad est dell’Australia e della Nuova Zelanda fino alle coste americane e disseminato qua e la di isole e scogli, un tempo noto con il nome di Mari del Sud, per rivivere l’emozionante e complessa odissea di un manipolo di uomini i quali, due secoli e mezzo fa, diedero vita ad uno dei più famosi e drammatici atti di sedizione nella storia della marineria del Regno Unito, l’ammutinamento del Bounty. Un evento capace di impressionare fortemente in ogni epoca l’opinione pubblica, tanto che un secolo dopo vi dedicò un libro (I ribelli del Bounty) uno dei maggiori scrittori francesi – e creatore del filone letterario della fantascienza, Jules Verne, nonché due secoli più tardi di riuscire a produrre diverse trasposizioni cinematografiche, da quella del 1962 con la superba interpretazione di Marlon Brando, a quella del 1984 con Antony Hopkins e Mel Gibson. In uno dei luoghi d’incanto più fascinosi della terra, sulle orme dei discendenti dei superstiti di quel tragico avvenimento, per squarciare il velo di mistero che ancora aleggia sulla scomparsa della nave e del suo equipaggio fuori legge, per tanti anni braccati e riusciti a sfuggire alle ricerche delle navi di Sua Maestà Britannica. Perché in mare un atto di insubordinazione non può essere tollerato.
Sintetizzando al massimo, le cose andarono più o meno così. Il “Bounty”, un vascello mercantile inglese era partito nel dicembre 1788 con 46 uomini di equipaggio dall’Inghilterra diretto a Tahiti in Polinesia, non percorrendo la rotta tradizionale del Capo africano di Buona Speranza per poi navigare verso est, bensì quella, assai più breve ma anche più pericolosa doppiando il temibile Capo Horn nella Terra del Fuoco, estrema punta del Sud America, per prelevare e poi studiare alcuni campioni della pianta dell’albero del pane da trapiantare ai Caraibi. Un viaggio partito fin dall’inizio con il piede storto. Infatti la partenza ritardata impedì climaticamente di transitare da Capo Horn, costringendo il vascello a portarsi sulla rotta africana, allungando di parecchio il viaggio e provocando sicuro malumore tra la ciurma. Comunque l’ammutinamento scoppiò nel viaggio di ritorno in patria, dopo la partenza da Tahiti. All’alba il giovane ufficiale Fletcher Christian e il guardiamarina Peter Heywood si impadronirono con un atto di ribellione della nave per porre fine alla troppo rigida disciplina, nonché alle ripetute angherie e vessazioni inflitte all’equipaggio dal perfido capitano William Bligh. All’ammutinamento aderirono però soltanto 17 uomini. I ribelli fecero scendere il comandante Bligh su una scialuppa di appena 7 m in mare assieme a 18 marinai rimasti a lui fedeli, solo con una bussola ed una piccola scorta d’acqua e viveri, affidandoli al loro tragico destino. Ebbero fortuna: in quarantasette interminabili giorni di grandi difficoltà e sofferenze, riuscirono a raggiungere tutti stremati l’isola-colonia olandese di Timor, dopo aver percorso ben 3.618 miglia (6.700 km) in mare: un’impresa titanica.
Questo è quanto racconta la storiografia ufficiale, perchè le illazioni maligne narrano invece come parecchi marinai durante la sosta a Tahiti dopo mesi di navigazione, avessero intraprese relazioni amorose con le affascinanti fanciulle locali, di costumi sessuali piuttosto liberi, e non volessero più fare ritorno in patria. Come sempre in ogni delitto: cherchez les fammes. Non a caso il Bounty fece rotta su Tahiti, dove imbarcò dodici donne e sei uomini tahitiani, dopo di che iniziò una lunga peregrinazione nell’immenso Pacifico alla ricerca di un non facile approdo sicuro e sconosciuto dove ritirarsi a vivere, sapendo che prima o poi avrebbero avuto alle costole tutta la marina inglese, e non soltanto quella, in quanto una ribellione in mare era considerata un atto intollerabile. Infatti una volta tornato in patria il comandante Bligh fece istruire un processo ed iniziò la caccia ai ribelli. Lui finì la carriera come governatore del Nuovo Galles del Sud, stato dell’Australia con capitale Sidney, dove subì una nuova ribellione, quindi viceammiraglio. Nel novembre 1790 salpò dall’Inghilterra per Tahiti la nave Pandora a caccia del Bounty, arrestando dieci ammutinati, ma la nave fece naufragio sulla via del ritorno.
Dopo mesi di navigazione, nel settembre 1790 il Bounty approdò a Pitcairn, poco più di uno scoglio (5 km2) a metà strada tra Nuova Zelanda e Cile, ben difendibile in quanto privo di approdi e, soprattutto, totalmente sconosciuto perché le sue coordinate sulle carte nautiche dell’epoca erano state riportate in maniera errata. E per non farsi localizzare diedero anche fuoco alla nave. La convivenza tra nuovi arrivati e locali non fu certo facile e sfociò ben presto in una sanguinosa rivolta, la quale portò alla morte di tutti gli uomini polinesiani e di tutti i ribelli salvo uno, Jonh Adams, il quale si trasformò in una specie di predicatore biblico e si fece carico dell’intera comunità, composta da 12 donne e 23 bambini. La colonia venne scoperta per caso solo nel 1808 da una nave americana, ma già allora non vi era più traccia degli ammutinati, se non per il vecchio Adams, rincitrullito in mezzo a tante femmine Da allora però Pitcairn divenne un importante punto di riferimento in mezzo al Pacifico. Oggi, con i suoi 50 abitanti, risulta lo stato meno popolato del mondo; in compenso è stato il primo a concedere il voto alle donne, fin dal 1838, e si trova al centro della maggior riserva marina al modo, sito Unesco, estesa per 830 mila km2.
L’isola (ma in realtà si tratta di un minuscolo arcipelago formato da 4 isole) risulta piuttosto fertile grazie al terreno vulcanico, ricoperta da una folta vegetazione di palme e di mango. Nella piazza centrale della minuscola “capitale” Adamstown, tra l’ufficio del Tesoro e le poste (dove procurarsi i folcloristici francobolli) fanno bella mostra l’ancora e un cannone del Bounty, ormai muti testimoni di quegli avvenimenti. Quattordici abitazioni sono riservate all’ospitalità di rari turisti. Tra le cose da vedere le suggestive incisioni rupestri lasciate dagli abitanti primitivi, a Saint Pauls Point dove fare un bel bagno in una graziosa piscina naturale, e poi la grotta sull’oceano da dove capitan Christian scrutava l’orizzonte, per evitare brutte sorprese. Solo per sub parecchio esperti invece le immersioni nella Bounty Bay, sul relitto della nave affondata dagli ammutinati.
L’operatore torinese “GOAustralia” (tel. 011 51 87 245, www.goaustralia.it), specialista sulla destinazione, propone un itinerario di 19 giorni / 18 notti attraverso i Mari del Sud, sulle orme degli avvenimenti del Bounty, utilizzando per la navigazione un cargo misto con sei confortevoli cabine. In sintesi il programma parte da Papeete (Tahiti) in Polinesia, quindi tocca l’isola di Mangureva , nell’arcipelago delle Gambier, per approdare infine a Pitcairn, dove a dare il benvenuto con frutta esotica e un liquore locale sarà proprio un discendente dei ribelli, ormai giunto all’ 8° generazione. Quote da 8.546 euro + volo dall’Italia (da 540 euro) e tasse aeroportuali (da 331 euro) con pensione quasi completa.
ByTerreIncognite – Foto/Google Immagini