C’è il rione degli Ammanniti, riconoscibile dallo stemma antico con due spade incrociate in campo rosa, nato sul luogo di un’antica abbazia benedettina. E poi c’è il rione Badia, caratterizzato da un soldato romano a cavallo. Il Cassero, vincitore dell’edizione di giugno, deve invece il suo nome alla Rocca dei Trinci, mentre i Giotti potrebbero avere mutuato la loro denominazione da un insediamento militare dei Goti. Ognuno con la propria tradizione, ognuno con i suoi eroi, fieri di contendersi una posta secolare. In tutto dieci rioni in campo, pronti a sfidarsi nella rivincita che ogni anno porta migliaia di appassionati e curiosi in piazza a Foligno per la Giostra della Quintana, un capolavoro di abilità legato al fascino della tradizione. L’appuntamento, che recupera l’antica giostra e in particolare quella primordiale disputata il 10 febbraio 1613 in Piazza Grande fra cinque rampolli delle famiglie più nobili della città (il dubbio da risolvere allora era “quale cosa sia di maggior contento a cavalier d’honore: mantenere la grazia del principe o il continuato favore di bellissima et gentilissima dama”), è per il 15 e il 16 di settembre 2018. In quest’occasione si gioca in diurna la rivincita della sfida in notturna del 15 e 16 giugno.
Un evento accompagnato da due settimane di iniziative, con l’apertura delle taverne da fine agosto e un nutrito programma di eventi collaterali, a partire dal corteo storico con centinaia di figuranti in costume che si estende fino a piazza della Repubblica, dove viene letto il bando di gara, per continuare con la Fiera dei Soprastanti (l’antico mercato), la Gara dei Convivi (sfida culinaria ispirata agli antichi banchetti barocchi) e i Segni Barocchi Festival, con negozi aperti, eventi musicali, film e teatro. La gara vera e propria si svolge al Campo de li Giochi, dove cavallo e cavaliere devono percorrere nel più breve tempo possibile un difficile tracciato delimitato da bandierine e a forma di otto. Al centro del tracciato di 754 metri si trova la statua del dio Marte, con il braccio destro disteso su cui vengono appesi gli anelli. I cavalieri devono infilare gli anelli che in tre tornate diventano via via sempre più piccoli. Vince chi fa prima e, soprattutto, ottiene il risultato con le minori penalità. Una gara di abilità, un tuffo nella storia ma anche nella tradizione enogastronomica di questa perla dell’Umbria, rappresentato dall’apertura fino a tarda notte delle taverne, una per rione.
E quest’anno arrivare in Umbria sarà anche l’occasione per visitare nei dintorni una mostra affascinante, che rimarrà aperta fino al 4 novembre, articolata in diverse sedi espositive tra Montefalco (Complesso museale di San Francesco), Scheggino (Spazio Arte – Valcasana), Spoleto (Museo Diocesano – Basilica di Sant’Eufemia), Spoleto (Rocca Albornoz – Museo nazionale del Ducato di Spoleto) e Trevi (Museo di San Francesco). “Capolavori del Trecento. Il cantiere di Giotto, Spoleto e l’Appennino” è il titolo della mostra che vanta 70 dipinti a fondo oro su tavola, sculture lignee policrome e miniature, un percorso costruito coinvolgendo 29 comuni e 72 chiese e riportando a casa alcune opere importantissime. Per tutti la possibilità di ammirare capolavori di Benozzo Gozzoli, Perugino, Antoniazzo Romano e qualche chicca. Per la prima volta infatti sono visibili al grande pubblico opere come i due dossali esposti nell’appartamento di rappresentanza del Pontefice, provenienti da Montefalco e restaurati dai Musei Vaticani, oppure il riavvicinamento dei singoli pezzi del Trittico con l’Incoronazione della Vergine del Maestro di Cesi e il Crocifisso con Christus triumphans, un tempo uniti ma oggi separati da centinaia di chilometri in due diversi musei tra Parigi e Spoleto.
Chi preferisce l’arte contemporanea, a Foligno può invece stupirsi davanti alle dimensioni della “Calamita Cosmica” di Gino De Dominicis, in esposizione permanente nell’ex chiesa della Santissima Trinità in Annunziata, gioiello neoclassico dell’architetto Carlo Murena e secondo polo museale del Centro italiano Arte contemporanea. L’opera, realizzata dall’artista nel più assoluto segreto intorno al 1988, è lunga 24 metri, larga 9 e alta quasi 4. Riproduce fedelmente uno scheletro umano con un lungo naso a becco d’uccello, tema ricorrente delle creazioni di De Dominicis, grande protagonista dell’arte italiana del dopoguerra. La “Calamita Cosmica” che dà il nome all’intera opera, è in realtà un’asta dorata in partenza da una mano del gigante dal becco d’uccello, una sorta di magnete indirizzato all’universo proprio nella città considerata dai folignati – ma non solo da loro – il centro del mondo. A rappresentarne il perno, il birillo rosso del biliardo del Caffè Sassovivo. A pochi passi da qui, dopo avere viaggiato con importanti esposizioni nei principali musei italiani ed europei (Ancona, Bruxelles, Parigi, Milano, Roma), la “Calamita Cosmica” ha trovato la sua giusta casa.
Info: www.quintana.it – www.capolavorideltrecento.it –
www.centroitalianoartecontemporanea.com
Testo/Monica Guzzi – Foto/Google Immagini