Un tempo, nemmeno troppo lontano, quando si doveva intraprendere un viaggio importante si interpellavano gli amici giramondo per farsi fornire dritte preziose: “se vai a Londra conosco un alberghetto …”, “se vai a Parigi posso indicarti una brasserie dove si possono assaggiare tutti i diversi tipi di ostriche …” e via così, con risultati altalenanti o più spesso negativi, stante il numero limitato di esperienze a cui attingere. Poi è arrivata la rete, con piattaforme come Tripadvisor o altre analoghe minori, in grado di mettere in campo un numero impressionante di recensioni a livello planetario non riguardanti più soltanto alberghi o ristoranti, ma anche locali di ogni genere, negozi, musei, monumenti, servizi e quant’altro, cioè tutto quanto può fare turismo. Tanto che nessuno di noi, da allora in tutto il mondo, ha più organizzato non dico un viaggio importante, ma nemmeno una gita fuori porta senza consultare prima la rete, per conoscere in anticipo il parere di chi già c’è stato e per poter scegliere quindi sempre il meglio.
Se ci pensiamo un attimo, la formula di Tripadvisor – pur rappresentando un elementare uovo di Colombo – risulta davvero geniale nella sua semplicità: milioni di persone nel mondo che forniscono gratuitamente giudizi onesti e veritieri su luoghi dove sono stati, per orientare la giusta scelta da parte di altri visitatori sconosciuti, e beneficiare a loro volta essi stessi dei pareri forniti da altri. Una gran furbata, basata però su un presupposto fondamentale ed imprescindibile: l’assoluta fiducia di quanti leggono sull’onestà ed il disinteresse da parte di quanti scrivono. Se appena si insinua il dubbio che le recensioni siano farlocche, delle fake news bugiarde prodotte per favorire – o per danneggiare – qualcuno, allora tutto il castello cade, come fosse di carta. E infatti, dopo uno strepitoso successo iniziale, è proprio quanto accaduto.
Qualcuno dalla vista lunga ha intravisto ben presto in questa benefica e disinteressata catena di Sant’Antonio per favorire i viaggiatori ad avvalersi del meglio presente sul mercato, grazie alle esperienze fatte da altri prima, la possibilità di trasformarlo in un lucroso businnes. All’inizio losche figure di dilettanti con la vocazione camorristica hanno cominciato a frequentare alberghi, ristoranti e quant’altro, spacciandosi per revisori ufficiali di Tripadvisor (che non esistono), onde scroccare vitto ed alloggio. Poi, così come l’appetito che vien mangiando, qualcuno ha alzato sensibilmente il tiro, fino ad esagerare. Molti esercizi hanno cominciato a ricevere da indirizzi fantasmi (italiani e non) proposte in puro stile mafioso, dove si suggeriva di acquistare un certo numero di recensioni favorevoli per il proprio esercizio, firmate da ignari cittadini, in cambio di sostanziosi pagamenti. Poiché non c’era la fila per le adesioni, gli stessi poco dopo provvedevano a mandare una seconda proposta, dove si diceva – in estrema sintesi – che se non si fosse provveduto ad acquistare un pacchetto di recensioni favorevoli, gli stessi avrebbero provveduto a mettere in circolazione recensioni estremamente negative, questa volta gratis. E per dare credibilità all’iniziativa, questi camorristi da strapazzo davano spesso seguito alla minaccia, arrivando a danneggiare seriamente molti onesti imprenditori, fino a portare qualcuno alla chiusura. Ed a sconvolgere il castello della fiducia su tutte le recensioni in circolazione, risultando impossibile discernere quelle vere e reali, da quelle di ricatto.
Appare chiaro a chiunque come una recensione fasulla, al pari di qualsiasi fake news, rappresenti un reato palese, soltanto che nella patria del diritto non esisteva una legge o una sentenza specifica che lo dichiarasse, in quanto come sempre la legge segue e non anticipa mai il mondo reale, e quello della rete tutto sommato risulta un mondo abbastanza recente. Questo fino a ieri, perché a settembre il Tribunale Penale di Lecce, su querela sporta da Tripadvisor, ha condannato un cittadino pugliese dedito al commercio di recensioni a pagamento, ad una pena detentiva di nove mesi di carcere ed al pagamento di circa 8.000 euro per spese e danni. Forse non si tratta di una sentenza rivoluzionaria, ma è già qualcosa e comunque meglio di prima, in quanto – trattandosi della prima su un fenomeno assai diffuso – finirà per fare giurisprudenza. E se qualcun altro di questi bellimbusti finirà per qualche tempo a soggiornare nelle patrie galere, magari gli potrà passare il vizietto di fare il malavitoso del web, finendo per danneggiare – oltre agli esercenti – anche milioni di turisti in tutto il mondo.
Non si può pretendere però che siano soltanto i Tribunali, cronicamente intasati di procedure, a togliere le castagne dal fuoco. Anche le piattaforme come Tripadvisor, in fondo le maggiori interessate al problema anche in considerazione dei notevoli guadagni ottenuti, dovrebbero fare la loro parte, ben più di quanto non dichiarino già di fare. Perché, ad esempio, accettano e pubblicano acriticamente e senza alcun apparente controllo le recensioni pervenute da chicchessia, senza pretendere quanto meno la fotocopia di un documento dell’autore, assieme ad una prova tangibile di essere stato in quel posto (conto, biglietto d’ingresso, scontrino, biglietto aereo o altro), assumendosi così la piena responsabilità per i giudizi espressi, e garantendo credibilità al sistema ? In ogni caso, se qualcuno dovesse ancora ricevere proposte per recensioni a pagamento, il suggerimento è di non rispondere, ma di segnalare con tempestività la cosa a Tripadvisor (paidreviews@tripadvisor.com), la quale provvederà in merito, fino ad eventuale denuncia alla Magistratura.
Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini