Come dimostrano un gran numero di località in tutto il mondo, il turismo rappresenta una risorsa in grado di risolvere egregiamente parecchi problemi economici ed occupazionali di zone sottosviluppate. In molteplici casi l’arrivo di visitatori dall’esterno offre una spinta fondamentale ad un’economia asfittica, finendo per rappresentare una voce imprescindibile per il PIL nazionale. Non deve meravigliare pertanto se ognuno cerca di valorizzare al massimo le risorse di cui dispone. Ma attenzione: di troppo turismo si può anche morire, o venirne irrimediabilmente stravolti e snaturati, come dimostrano diverse località nostrane estremamente famose come Venezia tutto l’anno e Capri d’estate, oppure monumenti quali gli Uffizi fiorentini ed i musei vaticani a Roma, e tanti altri ancora. Il fenomeno si pone comunque a livello planetario, da Changhai a Parigi, da Tokyo a New York. In Thailandia nel 2016 hanno dovuto chiudere due isole praticamente snaturate dai visitatori nel paradisiaco arcipelago delle Andamane; la stessa cosa è avvenuta nell’ aprile di quest’anno con l’isola filippina di Boracay, tenuta chiusa fino a fine ottobre per una radicale ristrutturazione ambientale dovuta all’eccessiva pressione antropica di turisti, e riaperta con non poche limitazioni, a partire dal numero chiuso.
Le riviste patinate concordano nel definire le sue spiagge tra le più belle ed intriganti al mondo: spiagge enormi o minuscole di finissima sabbia bianca corallina, bordate alle spalle da palme da cocco e piante arboree di pitosfori ed alstonie dove si celano un gran numero di alberghi e resort per tutte le tasche, ristorantini, bar e locali notturni dove divertirsi giorno e notte mangiando pese e molluschi freschissimi e gustando cocktail di frutta esotica, affacciato su un mare d’incanto con acque cristalline e trasparenti di tutte le tonalità, nel caldo abbraccio del sole tropicale. In poche parole un vero paradiso terrestre ad un costo accessibile, ideale per quanti amano il mare totale, tanto da aver servito da location per il film “L’isola” con Leonardo Di Caprio.
Quello più famoso e frequentato risulta il lato occidentale, dove si trovano il maggior numero di strutture ricettive e la celebre White Beach, la spiaggia più nota di tutte le Filippine e tra le più apprezzate al mondo, formata da sabbia candida fine e soffice, quasi impalpabile come un borotalco. A nord si trovano gli alberghi più confortevoli, quelli delle catene internazionali, affacciati su spiagge minori di conchiglie non meno suggestive, mentre sul lato orientale la ventilata Bulabog Beack richiama gli appassionati praticanti di kitesurfing e la solitaria ed incontaminata Puka Beach si presenta invece totalmente priva di alberghi.
Peccato che Boracay, una delle settemila isole nell’estremo nord dell’arcipelago delle Filippine e appendice della ben maggiore isola di Panay, a causa della sua bellezza sia abitata da ben 30 mila persone su una superficie di appena 10 kmq, un rettangolo di 10×1 km, con una densità mostro di ben 3.000 persone per chilometro quadrato, tra le più alte a livello planetario. Tanto per fare un paragone, la nostra isola d’Elba annovera un numero quasi uguale di residenti, ma su una superficie di ben 22 volte superiore, ed una normale densità di 139. A rovinarla è stato il suo successo turistico, con una pressione di visitatori eccessiva. Quando venne scoperta, negli anni 80, da hippie squattrinati, era praticamente un eden incontaminato, dove la natura regnava sovrana. Poi cominciarono ad arrivare turisti da tutto il mondo, e sorsero alberghi di lusso o topaie da quattro soldi, bar, ristoranti e locali notturni, spiagge attrezzate, tanto da divenire l’icona dell’edonismo balneare tropicale, tra musica a tutto volume, party alcolici e feste sulla battigia, trionfo della mondanità.
Lo spazio ridotto ha prodotto dapprima la deforestazione, poi la scomparsa della fauna peculiare autoctona (oggi restano soltanto innocui pipistrelli frugifuri), quindi la totale alterazione dell’habitat naturale, mentre il numero degli ospiti cresceva in maniera esponenziale: da 264 mila nel 2001 a 750 mila dieci anni dopo; oggi Boracay da sola ospita un sesto dei 6,5 milioni di turisti stranieri nelle Filippine, con introiti per 850 milioni di euro, lavoro per 35 mila addetti, 14 mila stanze vacanze e 35 mila voli l’anno (dati 2017). Di gran lunga troppo per un’isola di appena 10 kmq, completamente priva, ad esempio, di impianti di depurazione delle acque reflue, con un mare un tempo cristallino pieno di colibatteri fecali, dove non ci si poteva più immergere; situazione aggravata dalle periodiche inondazioni a causa delle devastanti tempeste tropicali, capaci di sommergere il 90 % dell’isola e provocando accumuli di maleodoranti sostanze organiche e non. Da paradiso tropicale a cloaca a cielo aperto.
Una situazione intollerabile e talmente grave da provocare addirittura una dura e decisa reazione da parte del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte il quale, dopo avere definito l’isola una toilette a cielo aperto, ne ha decretato la chiusura totale al pubblico fino a tutto ottobre, imponendo l’abbattimento di ben 400 su 500 delle strutture ricettive (tutte quelle prive di trattamento delle acque nere), di pulizia delle spiagge con una fascia protetta di almeno 30 m dalla battigia, di ristrutturazione dell’habitat e, soprattutto, il contingentamento delle presenze turistiche, con un numero chiuso massimo di 19.200 persone al giorno (meno della metà della media precedente), senza contare i divieti di fumare e di bere alcolici in spiaggia, e l’uso delle rumorose e pericolose moto d’acqua in mare. Il tutto con il chiaro intento di fare ritornare Boracay la regina del turismo balneare tropicale, l’isola da sogno, più ecologica e meno edonistica. Saranno sufficiente sei mesi per compiere un simile miracolo?
Info: Dipartimento del Turismo delle Filippine, Interface Tourism Italy
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Tra quanti organizzano viaggi e soggiorni nelle filippine segnaliamo GoAsia, www.goasia.it – l.scortichini@goasia.it – tel. 071 20 89 301 –
Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini