“E’ stato versato molto più sudore per costruire i muretti a secco rurali disseminati per il mondo, che non per edificare le piramidi. Un muretto a secco rappresenta un monumento ad una volontà granitica, quasi come i massi che lo compongono”. Inizia con questa sacrosanta affermazione la richiesta di inserimento avanza da una serie di nazioni europee all’Unesco, per l’inserimento nella lista del patrimonio immateriale dell’umanità dei muretti a secco, di recente approvato da parte dell’organizzazione culturale dell’Onu per quelli ubicati in Italia, Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. Nonostante la loro abbondante diffusione, l’apparente semplicità e l’estrema varietà, si tratta del più antico manufatto dell’umanità, addirittura risalente alla preistoria ed elemento fondamentale per ogni successivo tipo di costruzione, presente in tutti i continenti ed edificati con le più diverse modalità, rispettando però un’unica condizione: nessun impiego di malte o di altri tipi di legami.
I muretti a secco, dry stone walling in inglese, oltre a caratterizzare il paesaggio di diverse regioni mediterranee (pensiamo alla Puglia), costituiscono una parte integrante del patrimonio culturale e delle più antiche tradizioni per parecchi popoli. Furono il primo esempio di adattamento del territorio alle crescenti esigenze della società umana in evoluzione: l’uomo non trovò di meglio che utilizzare l’enorme massa di roccia e sassi per costruire recinzioni di campi, recinzioni per le mandrie di animali domestici, costruzioni di abitazioni primitive e poi mura difensive dei primi insediamenti urbani, dopo aver bonificato i terreni dall’ingente presenza di pietre, per ricavare terreni coltivabili e dove installare i propri primi insediamenti. In diversi casi, dalla Valtellina alpina alle Cinque Terre, dal Sud America all’Estremo Oriente, intere montagne con pendii ripidissimi sono state terrazzate con muretti a secco per ricavarne piani orizzontali da coltivare, con un lavoro ciclopico durato millenni per costruirli e mantenerli in funzione.
Per quanto differenti, dovuti agli impieghi di tecniche diverse e di pietre di tipo diversi offerti dal territorio, i muretti a secco debbono essere stati costruiti senza alcun impiego di malta, interrati o meno con basse fondamenta fino a poggiare su un solido basamento roccioso, e vengono eretti con pietre più o meno smussate per potersi incastrare con pazienza certosina l’una con l’altra, inserendo negli interstizi sassi o schegge minori. Per avere una buona stabilità e scaricare il loro peso in maniera corretta, i manufatti non debbono avere una sezione rettangolare, bensì trapezioidale, più larga alla base e con impiego di massi di maggiori dimensioni, più stretti e con pietre più piccole in cima. Se costruiti correttamente, i muretti durano un’eternità e richiedo appena un minimo di manutenzione; l’abbandono rurale, il costo e la fatica di queste manutenzioni, il dissesto geologico e la perdita di una tecnica specifica posso mettere in serio pericolo la sopravvivenza di questo immane patrimonio, che costituisce un importante baluardo contro frane, alluvioni e valanghe.
In Italia terrazzamenti e muretti a secco sono presenti un po’ ovunque in tutte le regioni, dalla Valle d’Aosta al Carso Triestino, dalla Costiera Amalfitana a Pantelleria. In Puglia, dove raggiungono il massimo sviluppo e risalgono all’epoca dei Messapi, esiste una vera e propria arte edilizia “a secco”, compresi veri e propri edifici come i trulli nell’incantevole Valle d’Itria e le pajare nel Salento, eredi di costruzioni più antiche, risalenti fino al Neolitico. La stessa tecnica si osserva infine in parecchi altri casi, anche assai lontani nel tempo e nello spazio, come le mura megalitiche di Altamura, lunghe 4 km e larghe 6 m, erette tra VI e III sec. a.C., nei nuraghi sardi risalenti al II millennio a.C. e ancora nelle imponenti piramidi a gradoni dell’America Latina.
E per finire una funzione ecologica che ben pochi conoscono. Oltre a combattere l’erosione e la desertificazione del suolo, i muretti incrementano la biodiversità del territorio, in quanto negli interstizi vuoti tra masso e masso si condensa l’umidità dell’aria, e quando fuori fa caldo il muretto risulta più fresco, offrendo ospitalità e riparo ad una microfauna come lucertole, serpenti, gechi, oltre ad altre specie di rettili, anfibi e vertebrati, i quali hanno imparato a colonizzarli. Inoltre l’umidità funzionante come un condensatore consente lo sviluppo di muschi, licheni e anche di piante superiori amanti dell’umidità e del fresco come ruta, malva, menta e felci. Quindi un’imprescindibile nicchia ecologica, degna di protezione anche soltanto per questo. Con questa nuova acquisizione, pure se in partenariato, l’Italia sale complessivamente a 53 siti Unesco, il numero più altro in assoluto, ancora davanti alla Cina (grande però 32 volte l’Italia).
Testo/Giulio Badini – Immagini Google