Il paese dei Cedri vive da 12 anni senza conflitti e il suo popolo – pur restando profondamente diviso – sembra in preda un’euforia quasi ossessiva concedendosi un tenore di vita sopra le proprie possibilità. Di questa terra affascina la complessità. Beirut aspira a tornare capitale del Mediterraneo. Tiro, Sidone, Byblos e Baalbek sfoggiano tesori archeologici di epoca fenicia e romana da lasciare a bocca aperta. I vini della valle della Beka’a sorprendono per l’originalità del terroir che esprimono.
Vita da cicala, spregiudicatamente. Pensando solo all’oggi, perché “del doman non v’è certezza”. Il visitatore se ne accorge subito che il Libano sta vivendo in preda ad un’euforia quasi ossessiva, e soprattutto ben al di sopra delle proprie possibilità. Pare di essere tornati all’illusione degli anni ’60, quando il paese dei Cedri era la “Svizzera” del Medio Oriente. Auto di lusso ovunque, guidate magari da ventenni che le hanno acquistate a rate, locali pieni fino all’alba, negozi con vetrine sfavillanti con esposti ogni sorta di beni di lusso. Capricci da “dolce vita”, in un paese che avrebbe ben altro a cui pensare. Passato e futuro non contano oggi in Libano, perché di mezzo c’è sempre la guerra. Soprattutto quella civile che dal 1975 al 1991 ha lasciato cicatrici profonde, nei palazzi e nelle coscienze. I libanesi oggi non si illudono che l’attuale pace (iniziata solo 12 anni fa) possa durare in eterno. Lo sperano, questo sì. Ma lo stallo di governo protratto da quasi sei mesi – a causa dei soliti veti incrociati – qualche inquietudine la giustifica.
Il Libano si presenta come un caleidoscopio, politico e religioso. La comunità cristiano maronita, che nel 1943 – all’indomani dell’indipendenza dalla Francia – era maggioranza assoluta, ora risulta in perfetto equilibrio numerico con quella musulmana. Però quest’ultima appare divisa a metà al suo interno, da una parte gli sciiti del sud, dall’altra i sunniti del nord. Che non si scambiano propriamente rametti d’ulivo. Realtà complessa e piena di contraddizioni il Libano, ricco ma anche povero, di una bellezza struggente ma non valorizzata come meriterebbe. Custode di una storia millenaria, che però sembra aver insegnato ben poco. Ma la contraddizione più evidente risulta il rapporto con i quasi due milioni di profughi, soprattutto siriani scappati dalla guerra, a cui si aggiungono i palestinesi, il cui primo insediamento risale al 1948, all’indomani della nascita dello Stato di Israele. Oggi il Libano è il paese con la più alta concentrazione di rifugiati, quasi 200 per kmq. A questi “ospiti” però non darà mai cittadinanza, e di conseguenza mai un lavoro. Insomma, il Libano oggi si presenta come un rebus. Al punto da ispirare un neologismo, sinonimo di complessità estrema: libanizzazione.
Eppure non appare affatto audace affermare che il Libano è un paese di straordinario valore turistico, per i luoghi da vedere ma anche – appunto – per la sua indecifrabile complessità. Scoprirlo viaggiando in auto, una volta prese le misure con una circolazione stradale praticamente senza regole, riserva molte sorprese. A cominciare dalla capitale Beirut, la mediterranea che – specie lungo la Corniche – ha mantenuto il fascino di mezzo secolo fa, quando attirava il jet set internazionale. La “green line”, che divideva con le barricate i quartieri cristiani da quelli musulmani, oggi si presenta come un moderno boulevard dove non si contano i cantieri e le gru. La città ha fretta di cancellare tutte le ferite della guerra. Il centro è identificabile con Hamra, dove lo stile di vita non si discosta molto da quello europeo. E poi ci sono i caratteristici quartieri di Achrafye e Gemmayzeh, pullulanti di localini animati fino all’alba. La moschea blu rappresenta il focus religioso della città, circondata dai campanili delle chiese cristiane. La religiosità in Libano viene vissuta in modo apparentemente laico, a parte che a Tripoli, la città più settentrionale in area sunnita, dove le invocazioni dei muezzin formano il sottofondo costante di una città tipicamente araba. Donne velate di nero camminano veloci nei vicoli dei suk, antiche moschee e madrase, lo storico caravanserraglio dove ancora si produce un prezioso sapone all’olio d’oliva ed al miele, profumato di cedro. Tripoli che nel 2014 ha respinto l’unico tentativo di estendere in Libano il conflitto siriano.
Salendo sulla montagna si incontra la Qadisha, valle aspra dove scoprire l’anima ancestrale della comunità cristiano maronita. Testimoniata da tanti monasteri, santuari e grotte. Douma è la città più carina con le sue case di pietra. Più su si incontra la più grande riserva dei cedri del Libano, chiamata Cedri di Dio, piante millenarie. Da vedere anche Tiro e Sidone, antiche città prima fenice e poi romane, dense di tesori archeologici. Il più prezioso però risulta Baalbek, città della valle della Beka’a resa grande da Roma. Il tempio di Bacco è il più imponente ed il meglio conservato del mondo romano. Byblos espone i suoi reperti in un porticciolo così incantevole che negli anni ’60 vi hanno scattato foto vip di tutto il mondo. Ma la bellezza più ammaliante risulta quella delle grotte di Jeita… giustamente patrimonio Unesco.
Tappe d’obbligo anche per il vino. A Ghazir, su un’altura che guarda il mare, c’è Chateau Musar, per tanti anni simbolo internazionale del vino libanese di alta qualità. Un’istituzione. La visita a questa cantina, fondata nel 1933 da Gaston Hochar, va aggiunta a quelle – altrettanto imperdibili – di Ksara (la più grande, con gallerie di epoca romana) e di Iksir, la più giovane e moderna, i cui vigneti sorgono in sei diverse zone del Libano. Quelli messi a dimora nella valle della Beka’a hanno preso il posto di coltivazioni illegali di canapa indiana. Un piano patrocinato dall’Onu ha reso possibile questo miracolo dal grande valore etico. La cucina libanese, poi, risulta tra le più famose del Mediterraneo, gustosa ed estremamente varia. A proposito di Onu: i caschi blu dell’Unifil presenti in Libano sono in larga parte italiani ed a guida italiana. Lungo le strade si incontrano dei check point, gestiti in prevalenza dall’esercito libanese, ma i controlli sono rapidi ed informali. Non fanno paura. Il Libano stesso, per fortuna, non fa più paura. Nemmeno avventurandosi fra i vicoli dei tristemente noti campi palestinesi (ora sobborghi) di Sabra e Chatila, teatro del massacro del 16 settembre 1982. Nemmeno dedicando una visita anche ai campi dei rifugiati siriani che non è raro cogliere ai bordi delle strade. Ci sono associazioni anche italiane – come la Annas Linnas Italia di Roma – che garantiscono una scuola ai figli dei profughi. Queste visite aiutano a capire come il Libano vada conosciuto in profondità, per guardarlo in faccia per quello che è: un paese amico. Degli italiani in modo particolare.
Testo/Renato Malaman – Foto/Renato Malaman e Google