Attualmente sulla poltrona di Assessore per i Beni Culturali e l’Identità Siciliana della Regione Sicilia, che in una regione a statuto speciale conta quanto un ministero, in passato occupata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi, siede il prof. Sebastiano Tusa, illustre archeologo con anni di scavi in Asia, poi soprintendente archeologico del mare, ufficio creato apposta per lui, autore di numerosi libri sulla storica antica della Sicilia e del Mediterraneo, nonché scopritore del luogo esatto dove nel 241 a.C. ebbe luogo la battaglia navale delle Egadi tra Romani e Cartaginesi, con cui si concluse la prima guerra punica: le acque dell’isola di Levanzo, dove i fondali hanno già restituito 19 rostri navali. Finalmente una persona giusta al posto giusto, cosa che già da sola fa notizia, non essendo poi così frequente in Italia, e nella trinacria in particolare.
Da esperto in materia il prof. Tusa possiede idee chiare e programmi precisi, come la battaglia all’eccessiva burocrazia imperante nel settore, e la valorizzazione di siti archeologici dell’interno dell’isola poco noti, non per scarsa importanza ma per le difficoltà ad arrivarci, spesso ubicati in zone depresse economicamente. Entrambi progetti rivoluzionari. Come nel caso del Museo di Aidone (Enna), il quale custodisce i reperti racimolati in oltre 30 anni di scavi a Morgantina, antica città sicula e greca, compiuti nel secolo scorso dall’università americana di Princeton. Si tratta di tesori artistici di inestimabile valore, quali le due teste delle dee Demetra e Kore, la statua acefala di Afrodite e la fidiaca Venere di Morgantina. Ebbene questi capolavori avevano preso la via clandestina e sono stati esposti per decenni dai maggiori musei americani, totalizzando un numero enorme di visitatori. Oggi, rientrati legittimamente a casa loro, nel museo locale i visitatori si contano sulle dita delle mani, in quanto ben pochi si avventurano fino a là.
Oltre ad i meriti propri, l’attuale assessore è pure figlio d’arte. Suo padre Vincenzo è stato infatti per parecchio tempo uno dei migliori soprintendenti archeologici siculi, prima di approdare negli anni 60 alla direzione del parco archeologico di Selinunte (TP), il maggiore dei parchi in Europa ed il più visitato in Sicilia dopo quello agrigentino della Valle dei Templi. Selinunte, città dorica che prese il nome dal sedano selvatico locale, era la più occidentale delle colonie greche in Sicilia, a contatto con i territori controllati dai Cartaginesi, i quali finirono per distruggerla nel 409 a.C.; la sua esistenza durò 240 anni, ma fu una delle maggiori, arrivando a contare fino a 100 mila abitanti, da vera metropoli dell’antichità. La città si estende infatti per parecchio, con un’acropoli dove sorgevano diversi templi: di recente vi è stata scoperta anche la maggiore fabbrica di ceramiche del mondo antico.
Vi è un episodio della gestione Tusa di Selinunte, raccontato dal figlio durante un’intervista alla rivista “Archeologia Viva”, poco noto e degno di essere raccontato in quanto piuttosto significativo. Allora la situazione al parco non era affatto rosea: poco personale e di scarsa competenza, carenza cronica di fondi, gli unici scavi quelli clandestini dei tombaroli. Per giunta una parte del sito si estendeva su terreni di proprietà dei cugini Salvo, una delle maggiori famiglie mafiose di Castelvetrano. Tusa era stato scelto apposta per risolvere questi problemi, ma occorreva procedere con sensibilità e lungimiranza. I tombaroli dell’epoca, ad esempio, non erano quei parassiti di oggi, delinquenti prezzolati e controllati dalla malavita, bensì onesti padri di famiglia costretti ad un lavoro pericoloso dalla miseria e dalla mancanza di alternative. Il nostro volle offrire loro una seconda possibilità, di riscatto morale e sociale, proponendo di assumerli come guardiani stipendiati. Da ladri a servitori fedeli dello Stato. La gran parte accettò, i trafugamenti clandestini cessarono notevolmente, si sapeva dove scavare proficuamente e si tentò un inventario dei pezzi entrati nel mercato d’esportazione. E il direttore firmò l’esproprio dei terreni dei Salvo.
Tutto ciò non piacque a qualcuno, alla mafia in primis che si vedeva sottratta un lucroso commercio, e poi al Ministro dei Beni Culturali dell’epoca, ovviamente senza alcuna relazione, in quanto la connessione mafia – politica rappresenta un’ennesima invenzione dei giornalisti. Il Ministro lo convocò a Roma per una tirata d’orecchie, alla quasi rispose difendendo orgoglioso il proprio operato e rassegnando le dimissioni, sport poco praticato nel nostro paese. Il Ministro, da furbo, le respinse, ben consapevole che se le avesse accettate avrebbe dovuto sorbire le critiche feroci della stampa e dell’opinione pubblica locale. Ma si vendicò in modo subdolo, tagliando a Tusa la gran parte dei finanziamenti. Non a caso da allora scavi e ricerche a Selinunte furono finanziati quasi esclusivamente dal Banco di Sicilia, il quale ne ricavò una delle più complete raccolte di ceramiche attiche e magnogreche in assoluto, oggi esposta nel museo del cinquecentesco Palazzo Branciforte a Palermo, restaurato nel 2007 da Gae Aulenti.
Se vi capita di andare in Sicilia, ma vale la pena andarci appositamente, non perdete di visitare gli scavi di Morgantina con il Museo di Aidone, i resti di Selinunte ed i reperti esposti a Palazzo Branciforte a Palermo, sede anche di un raffinato ristorante, poco noti ed ancora meno visitati. Arrichirete la vostra cultura e renderete omaggio ad un fedele e saggio servitore dello stato, il quale non si arrese neppure davanti ad i poteri forti.
Info: Parco archeologico di Morgantina ad Aidone, tel. 091 70 71 586 – Museo di Aidone, tel. 0935 87 307 – Parco archeologico di Selinunte, www.selinunte.gov.it – tel. 0924 46 540
Museo Palazzo Branciforte, via Bara all’Olivella 2, Palermo, www.palazzobranciforte.it – tel. 091 765 76 21 –
Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini