Qualcuno, anche piuttosto autorevole come il settimanale 7 del Corriere della Sera del 10 gennaio 2019, si è spinto a definirla come la grotta più bella del mondo. Capisco la necessità di sintesi nei titoli, ma non condivido. Essendo la bellezza un fattore soggettivo – e non oggettivo – difficile – se non impossibile – stilare classifiche valide per tutti. Ognuno di noi potrà stilare la propria graduatoria personale, per le grotte, le donne o qualsiasi altra cosa, valida unicamente per sé. Io preferisco invece riportare dati oggettivi e non opinabili: una delle grotte turistiche più visitate al mondo, uno dei fiumi sotterranei più lunghi del pianeta, una delle cavità più interessanti in assoluto dal punto di vista scientifico, il tutto sancito dal riconoscimento di sito Unesco fin dal 1999 come patrimonio dell’umanità, nonché dal rientrare nelle 7 meraviglie naturali del mondo moderno. Stiamo parlando, per quanti non l’avessero ancora capito, del Puerto Princesa Underground River national park, nell’isola filippina di Palawan, una delle cavità naturali più famose del Sud-est asiatico.
Sulla costa centro-settentrionale dell’isola di Palawan, la maggiore dell’omonimo arcipelago composto da 1.760 tra isole ed isolette nel sud delle Filippine prospiciente il Borneo, a 50 km dal capoluogo Puerto Princesa City si trova una delle innumerevoli lagune di questo incredibile eden naturale, circondata da una candida spiaggia corallina, alimentata da un fiume ipogeo dalle acque fredde e cristalline color smeraldo che sgorga alla base di una ripida falesia rocciosa. Non si tratta di un corso d’acqua ipogeo qualunque, ma del più lungo del pianeta, in grado di formare il maggior estuario in assoluto di un fiume nato sottoterra. L’interno dell’isola, ricoperta da una delle foreste tropicali più integre tra quelle dell’Asia pacifica, si presenta montuoso con cime alte fino a superare i 2.000 m, capaci di catturare l’umidità marina e di trasformarla in pioggia. Le montagne sono composte da rocce calcaree, depositatesi 20 milioni di anni or sono al fondo di antichi mari, quindi facilmente aggredibili dalle acque meteoriche, piuttosto acide. Nell’interno si sono quindi aperti, negli ultimi 10 milioni di anni, una serie di inghiottitoi da cui le acque – ed oggi anche gli speleologici – penetrano in una fitta rete di caverne, cunicoli, pozzi e gallerie per uno sviluppo finora accertato di 34 km, fino a confluire in un collettore di notevole portata, lungo ben 8,2 km, il Puerto Princesa Underground River appunto, il quale dopo la laguna esterna sfocia nel Mar Cinese Meridionale tra mangrovie, palme ed alberi di yucca.
L’incantevole laguna tropicale pullula ogni giorno di tre tipi di visitatori: le salangane, specie di rondini asiatiche che nidificano nell’oscurità sulle pareti precipiti della grotta, produttrici con la loro saliva dei gustosissimi nidi di rondine tanto ricercati dalla cucina cinese ed orientale, che cacciano di giorno, all’alba ed al tramonto da file continue di pipistrelli in entrata ed in uscita dalla caverna dove dimorano per le cacce notturne, senza mai incontrarsi l’un l’altro, ed infine da frotte di turisti (circa 350 mila all’anno), curiosi di ammirare le concrezioni cristalline (stalattiti, stalagmiti, colonne, colate, drappeggi ed altro) che adornano l’ambiente sotterraneo. Su sottili ed inaffondabili barche a bilanciere i turisti, con tanto di casco e salvagente, risalgono infatti il corso d’acqua, sottoposto a sensibili maree, per una lunghezza tra andata e ritorno di 3 km senza mai sbarcare, apprezzando forse per la prima volta nella vita cosa siano il buio ed il silenzio assoluti. Nonostante l’elevato numero di frequentatori, la Naturingan Cave – come la chiamano i locali – colpisce i visitatori per il suo habitat completamente integro e primordiale per una cavità turistica: nessuna luce elettrica, nessun manufatto di cemento, nessun allargamento artificiale, nessun pontile, le spiegazioni fornite da silenziosi auricolari ; si procede a remi nel buio per 40 minuti rischiarato dai led dei barcaioli, nel silenzio rotto solo dallo sciacquio dei remi immersi nell’acqua.
Questa cavità, ancora da esplorare in molti tratti a monte e da indagare sotto diversi aspetti scientifici, oltre che spettacolare per i turisti, si è rivelata di estremo interesse pure per i ricercatori. Il fiume sotterraneo, per esempio, navigabile per 4 km (altro primato), risente delle maree per una lunghezza di ben 4,57 km, cosa che non succede in nessuna altra grotta al mondo. In pratica il fiume ipogeo presenta contemporaneamente in superficie l’acqua ipogea dolce, al centro un misto salmastro con prevalenza ora dell’una ed ora dell’altra, infine sul fondo lo scorrere dell’acqua marina salata. Tre diversi habitat a stretto contatto, per giunta nell’habitat sotterraneo, con faune e flore ancora tutte da studiare; e il futuro potrebbe riservarci gradite sorprese. Ad esempio le larve dei granchi marini si arrampicano sulle pareti quando una piena improvvisa del fiume sotterraneo “spazza via” lo strato salato dove vivono normalmente. Inoltre la massiccia presenza sulle pareti di salangane e pipistrelli, con colonie di centinaia di migliaia di esemplari, genera sul fondo ingenti depositi di guano, elemento fondamentale per la catena alimentare di una incredibile serie di animali specializzati a vivere nelle severe e peculiari condizioni ipogee, i cosiddetti fossili viventi, qui ancora da indagare, capaci di generare uno straordinario e ricchissimo ecosistema. L’intensa marea infine genera in ambienti tanto vasti, come in uno stantuffo, dei veri e propri venti capaci di spostare ingenti masse d’aria, fino a creare delle nuvole in grado di produrre piogge anche intense. Un fenomeno davvero unico. Non dimentichiamo poi che l’interno di questa grotta ha già fornito alcune rilevanti scoperte ai suoi ricercatori, dal fossile di un sirenide vecchio di 20 milioni di anni (una specie di paleo-lamantino del Miocene), a ben undici nuovi minerali finora sconosciuti. E siamo soltanto agli inizi.
L’ingresso a mare venne segnalato nel 1850 da un ufficiale inglese, intento a cartografare la costa, ma era da sempre ben noto agli indigeni, che lo frequentavano per estrarre i nidi di rondine commestibili. Le prime esplorazioni risalgono all’inizio del secolo scorso, ma ricerche sistematiche si ebbero solo dagli anni ’80, con gli italiani sempre molto presenti, prima con la Società Speleologica Italiana, poi con l’associazione di esplorazioni geografiche La Venta, attiva in tutto il mondo con i migliori speleologi nostrani, a cui si debbono parecchie delle scoperte, soprattutto scientifiche. Il bacino idrico a monte, parco naturale fin dal 1971 su una superfice di 22.202 ettari per la sua eccezionale ricchezza biologica che ne fa uno straordinario ecosistema, si presenta come un’intricata giungla carsica, caldo-umida, priva di strade e di acqua, di difficile accesso per l’esplorazione del tratto a monte della grotta e per quella dei numerosi inghiottitoi che vi si aprono, in possibile collegamento con il sistema ipogeo principale. Questa foresta carsica, tra le più integre dell’Asia, presenta infatti ben 11 ecosistemi diversi ed 800 specie di piante di 300 generi e 100 famiglie differenti, con una ricca varietà di fauna selvatica dove figurano – tra l’atro – 165 varietà di uccelli ma pure insetti fastidiosi, ragni giganti, scorpioni, zecche, pitoni, serpenti velenosi, ed anche l’ormai raro coccodrillo filippino. A complicare la vita agli esploratori, oltre alle peculiari difficoltà ambientali esterne ed interne, il fatto che parecchi di questi poco simpatici animali li si incontra anche sottoterra. Peculiarità della speleologia tropicale.
Dopo oltre 30 anni assolutamente straordinari di esplorazioni e di indagini in quest’area ed in questa grotta, La Venta le ha dedicato il volume “Una grotta tra terra e mare: Puerto Princesa Undergound River” (Skira/La Venta ed., 2018, in italiano ed inglese, 224 pp, € 42,00) a cura di Antonio Da Vivo, Paolo Forti, Leonardo Piccinini e Natalino Russo, ricco di suggestive immagini. Il prof. Paolo Forti, chimico ed ex docente di Geomorfologia all’Università di Bologna, è uno degli speleologi più famosi al mondo: nel suo curriculum risulta, tra l’altro, come coordinatore dell’Istituto Italiano di Speleologia, ricercatore con oltre un migliaio di pubblicazioni scientifiche e divulgative, ex past presidente della Società Speleologica Italiana e dell’Unione Internazionale di Speleologia, creatore a Bologna della maggiore biblioteca speleologica del mondo. Ci conosciamo da sempre, essendo coetanei nati e cresciuti nella stessa via, e ci accomuna la stessa passione per grotte e minerali, oltre a far parte del medesimo Gruppo Speleologico. “Nella mia lunga carriera ho visitato alcune migliaia di grotte, di tutti i tipi ed in tutti i continenti – confessa Paolo – ma se dovessi sceglierne soltanto una non avrei dubbi: Puerto Princesa. E se lo dice l’esimio esperto …
Palawan, scoperta nel 1521 da Magellano, si presenta come una striscia di terra lunga 450 km e larga al massimo 39 (grande quanto l’Abruzzo), una delle 7.641 isole nell’oceano che formano le Filippine; qualcuno – come Condè Nast nel 2014 – la definisce la più bella di tutte. Centinaia di spiagge deserte formate da candida sabbia corallina, una vegetazione esuberante a terra, reef brulicante di via e colori, acque cristalline verdi smeraldo con pesci tropicali, tartarughe marine, uccelli variopinti e creature semi-mitiche come i dugongo: insomma un vero paradiso naturalistico utilizzato per parecchi film, buon ritiro per diversi vip (uno per tutti: Brad Pitt). La popolazione autoctona annovera 682 mila abitanti, appartenenti a ben 90 gruppi etnici diversi e parlanti una vera babele di dialetti, molti dei quali impegnati nell’ecoturismo, la sua maggior risorsa. Puerto Princesa City costituisce il punto di partenza per altre due meraviglie ambientali, entrambe acquatiche. Il parco marino El Nido copre un arcipelago di 45 isolotti su specchi d’acqua verdi smeraldo, calette con spiagge di polvere corallina, pareti di roccia precipiti solcate da grotte e cascate, lagune dai bassi fondali. Il parco nazionale marino di Tubbotaha, sito Unesco, occupa due atolli attigui con scogliere in cui riposano pellicani dalle zampe rosse, e un reef corallino, habitat per stelle marine ed anemoni, in un ecosistema dinamico con centinaia di specie marine come mante, murene e tartarughe liuto. Uno dei posti migliori per immersioni sub e snorkeling. Voli internazionali dall’Italia per la capitale Manila, poi due voli giornalieri di Philippine Airlines per Puerto Princesa City; più lungo e complicato invece andare via mare in battello o ferry.
Info: La Venta: www.laventa.it – tel. 320 43 18 675 –
Turismo delle Filippine :
www.interfacetourism.com – italy@interfacetourism.com – tel. 02 83 66 917
https://www.lefilippine.it/il-fiume-sotterraneo-di- puerto-princesa/ –
www.skira.net/books/una-grotta-tra-terra-e-mare
www.scrittoreinviaggio.com/puerto-princesa-una-grotta-tra-terra-e-mare
Testo/Giulio Badini – Foto/La Venta Esplorazioni Geografiche e Google Immagini
Foto di apertura Paolo Petrignani