Il complesso di aspetti culturali spontanei, organizzati, relativi ad una certa collettività, tipici di una specifica epoca, possono essere definiti col termine di “civiltà”. Notissime, ad esempio, sono la cretese, la greca, la romana ecc. Meno conosciuta è quella che, nell’Età del Bronzo, si sviluppò e si diffuse nell’area padana e che è oggi considerata dagli storici una tra le più espressive dell’Europa continentale: la Terramaricola. Nell’Italia settentrionale, nel secondo millennio a.C. si assistette all’arrivo di popolazioni che, superando le Alpi, scesero nella Pianura Padana fino a raggiungere il Po. Esse provenivano dall’Europa settentrionale (Germania, Svizzera, Austria ecc.) e nel loro percorso lasciarono numerose tracce nei siti in cui si insediarono. Fra questi uno dei più noti appare quello conosciuto col nome di “cultura di Polada”, (nome derivato dalla località omonima situata a Lonato del Garda, in provincia di Brescia).
La cultura di Polada appartiene all’Età del Bronzo e, cronologicamente, si ritiene risalga fra il 2.400 ed il 1.400 a.C. Poi, nel Bronzo Medio, questa facies culturale si specializzò nella costruzione di palafitte e di insediamenti abitativi situati vicino a laghi o corsi d’acqua. L’antica popolazione praticava un preciso culto dei morti, i quali venivano inumati o cremati, e caratterizzata da un élite di guerrieri a difesa dei villaggi. Tutto ciò avveniva tra Lombardia,Trentino e Veneto occidentale. La discesa verso il Po prevedeva anche il passaggio dalla Val Camonica, di cui restano antiche testimonianze nei graffiti rupestri, seguite poi da molte altre. La Pianura Padana era allora coperta di foreste, acquitrini e solcata da corsi d’acqua meandriformi che spesso esondavano, lasciando qua e là dossi sabbiosi o argillosi. I boschi erano ricchi di frassini, abeti, pioppi e, ovviamente, canne palustri. In questo scenario, alcuni gruppi umani attraversarono il Po, probabilmente sfruttando i periodi di magra del grande fiume, e si stanziarono più a sud. Verso il XVII sec. a.C. iniziò la colonizzazione di queste regioni, e nello stesso periodo si sviluppò la cultura delle Terramare.
Questo nome deriva da “terra marna”, un termine dialettale emiliano significante “terra grassa”. Infatti si trattava di un terriccio organico scuro, con resti di ceneri, che veniva estratto da basse collinette, abbastanza comuni nella pianura al di qua del Po, fino a tutto il 1800. Da secoli gli agricoltori di questo tratto di Pianura Padana fertilizzavano le loro campagne con il terreno marnoso ricavato da quelle inconsuete collinette, distruggendo e disperdendo irrimediabilmente, i numerosi reperti archeologici contenuti. Fino a metà dell’ 800 i manufatti emergenti da questi bassi rilievi artificiali erano ritenuti appartenenti a genti celtiche o addirittura romane. Fu nel 1861 che a Parma Luigi Pigorini e Pellegrino Strobel ed a Reggio Emilia Gaetano Chierici iniziarono ad interessarsi delle Terramare da un punto di vista scientifico. Con loro nasceva l’Archeologia Preistorica italiana. Ovviamente l’entusiasmo delle scoperte portò il Pigorini a ritenere, erroneamente,i terramaricoli come precursori dei Romani, tuttavia a questi pionieri della preistoria va riconosciuto il merito di aver sollevato il velo dell’oblio su un mondo che ha rappresentato una base importante di sviluppo anche per le società successive. I terramaricoli furono certamente tra le popolazioni italiche più importanti. Le palafitte, costruite sui bordi dei laghi (ad esempio Ledro) nelle zone alpine, nelle aree a sud del Po furono invece edificate vicino a corsi d’acqua, o in qualche caso sulle prime colline dell’Appennino.
È importante ricordare che, contemporaneamente ai terramaricoli ed ai palafitticoli dell’oltre Po, erano fiorite nel bacino del Mediterraneo altre civiltà, capaci di lasciare tracce ben più sostanziose. Tra queste sono da ricordare i Micenei dal 1600 a.C. nel settore dell’Egeo, gli Egizi, l’impero Ittita e altri non meno famosi. Questi confronti ci mostrano da un lato la presenza di culture molto avanzate, le quali hanno lasciato monumenti notevoli, a differenza di una minore visibilità delle popolazioni padane, anche se non meno importanti. In tutta Europa esistevano villaggi con loro storie, leggende e miti che il trascorrere del tempo ha offuscato nella memoria degli uomini, forse per la grande fama raggiunta dai racconti omerici dell’area egea. Oggi si può affermare che in Europa (e quindi anche in Italia) esisteva già un’importante unità culturale. Tutto ciò era sicuramente favorito dalla vasta diffusione del commercio di rame, oro, stagno, ambra, ecc. In quell’epoca si era scoperto che fondendo insieme rame e stagno, si otteneva un metallo molto più duro e resistente: il bronzo. La nuova lega consentiva la realizzazione di armi e utensili più efficienti e duraturi, che solo la scoperta del ferro, avvenuta secoli dopo, soppiantò quasi totalmente. Lo stagno, al contrario del rame,era decisamente più raro e veniva estratto in luoghi anche molto distanti (ad esempio dall’Inghilterra meridionale), ciò dimostra l’esistenza di vere e proprie vie commerciali. Anche se i tempi di spostamento erano ovviamente ben più lunghi di quelli odierni, tuttavia gli scambi mercantili erano piuttosto intensi e seguivano direttrici ben precise, capaci di creare una rete viaria vera e propria, sfruttata anche in epoche successive.
Complessivamente è stata fatta un’ipotetica stima che la popolazione terramaricola potesse contare tra le 150.000 e le 200.000 persone, con oltre un centinaio di insediamenti distribuiti nella Pianura Padana. Gli abitati avevano dimensioni variabili tra i due fino ai venti ettari, nel periodo di massimo sviluppo. In tal modo le risorse ambientali, per lo più costituite da estese foreste, ad un certo punto subirono una forte contrazione a causa dell’aumento delle superfici coltivate e probabilmente per un repentino cambiamento climatico (non certo prodotto dalle attività umane !). La terramara tipica esigeva la presenza di un fossato e di un terrapieno, il più delle volte protetto da una palizzata. In altri termini avevano realizzato una sorta di insediamento fortificato. Le abitazioni erano costruite su impalcati sostenuti da pali per isolarle dal terreno e proteggerle dall’umidità e dagli animali.
Queste comunità erano gestite da una società di tipo “partecipativo”, comprendenti diverse categorie come quella dei guerrieri che rappresentava una delle classi più importanti, alla quale era affidato il compito di difendere la comunità stessa da attacchi di altri villaggi, oppure fronteggiare l’invasione di popolazioni straniere desiderose di nuovi territori. Molto importanti erano gli specialisti della metallurgia, fabbri ed orafi, abilissimi creatori di strumenti di vario tipo e gioielli raffinati. Le armi o gli utensili da lavoro avevano un ruolo fondamentale nell’economia del villaggio, perché consentivano la coltivazione e la raccolta dei prodotti dell’agricoltura. Ad esempio nelle terramare sono stati trovati efficientissimi falcetti per la raccolta dei cereali o per il taglio di canne palustri, necessarie per la copertura di capanne, ricoveri per gli animali domestici, ecc. Interessante risulta anche la fauna presente nei villaggi: I bovini costituivano il gruppo forse più rilevante. Si trattava di una varietà di bassa statura (mediamente 110 cm) ma fondamentali per l’economia della comunità. Si allevavano inoltre pecore, capre e maiali. I cani erano piuttosto rari e caratterizzati da razze di taglia modesta. Presente era il cavallo, ma anch’esso di bassa statura ed abbastanza raro. Nella tarda Età del Bronzo esisteva già il mito, a partire dai paesi scandinavi, del Carro Solare trainato da un cavallo. Questo animale ebbe certamente un ruolo legato alle saghe di quell’ epoca, oltre ad avere una precisa funzione negli spostamenti per lo più di personaggi importanti dei villaggi.
Un importante elemento ambientale da considerare (specialmente oggi in cui tutti parlano di “cambiamento climatico”) viene rappresentato dalle variazioni di temperatura e di piovosità avvenute in passato e dovute ad oscillazioni di origine naturale. Tali modifiche hanno costretto alla migrazione intere popolazioni, col conseguente abbandono di territori divenuti inabitabili. I dati paleo-ambientali rilevati dalla ricerca archeologica fanno supporre, attorno al 1200 a.C, il progressivo abbandono delle terramare per le mutazioni delle condizioni climatiche. Possiamo trovare esempi simili nella scomparsa di certe popolazioni del Sahara o degli Anasazi del Sud Ovest americano. Fra i villaggi terramaricoli più conosciuti e meglio studiati,va segnalato quello di Montale, presso Castelnuovo Rangone in provincia di Modena. Dall’analisi dei pollini fossili è stato stabilito che, all’epoca della fondazione del primo insediamento, la regione era occupata da vaste foreste. Come già accennato, l’ambiente padano comprendeva una estesa proliferazione di boschi di conifere (pino silvestre, abete rosso, ecc.), betulle, faggi, carpini, salici, querce, cerri e molti altre varietà. Questa vegetazione consentiva di ricavare i tronchi per la costruzione di abitazioni, ripari e palizzate, oltre a fornire la legna per il riscaldamento, la cottura dei cibi o la creazione di oggetti per la vita quotidiana. La Terramara di Montale rappresenta una tipica espressione dell’attività commerciale dell’Età del Bronzo. Tra i vari villaggi era comune lo scambio anche di materiali esotici provenienti da regioni molto distanti, come ad esempio l’ambra veicolata dal Baltico. Col trascorrere dei secoli l’ambiente naturale subì una lenta e progressiva trasformazione, fino a formare la caratteristica Pianura Padana dei nostri giorni.
La terramara di Montale fu costruita su un dosso sabbioso e fangoso alto circa tre metri, vicino ad un corso d’acqua. Il sito era già stato frequentato probabilmente durante l’Età del Rame (o Calcolitico), come proverebbe il ritrovamento di un pugnale in selce. Alla fine del XVI secolo a.C. il villaggio era già presente. L’abitato era protetto da una palizzata e circondato da un largo fossato nel quale confluivano le acque di un vicino torrentello. Le abitazioni, sospese su palafitte, si presentavano a pianta rettangolare e di circa 50 mq; si presume che il villaggio fosse abitato da una comunità di almeno 150 persone. Oggi, grazie all’accurata ricostruzione di due abitazioni, risulta possibile avere un’idea degli ambienti interni, dotati dei loro semplici ma efficienti arredamenti. Lo scavo archeologico ha evidenziato i fori lasciati dalle numerose palafitte di sostegno alle case. All’incirca nel 1200 a.C., al pari di molte altre, la terramara di Montale fu poi abbandonata. Fu solo attorno al 500 a.C. che l’area venne di nuovo occupata da genti di etnia etrusca, come dimostrato da una serie di tipici vasellami e di una statuetta votiva. In seguito si alternarono occupazioni romane, longobarde ed infine, nel XII secolo d.C., sulla sommità della collinetta venne costruito un castello.
Altri insediamenti terramaricoli verso il territorio bolognese sono stati individuati presso Savignano sul Panaro ed a Bazzano, esattamente in cima al poggio dove oggi sorge il grande castello. Anche a San Giovanni in Persiceto alcuni anni fa è stato scoperto un villaggio palafitticolo dotato di palificazioni, esattamente di fronte al vecchio ingresso dell’ospedale. Nel reggiano, a Poviglio verso il Po merita di essere citata la terramara Santa Rosa, struttura composta di due aree costituite da un “villaggio piccolo” attorno al quale si estese un abitato più grande che occupava circa cinque ettari. Le case erano unifamiliari e, come sempre, costruite su una piattaforma. Attorno si elevava una palizzata ed un terrapieno. Il terreno sul dosso fu livellato con il riutilizzo dei materiali ricavati dal primo e più antico villaggio. Le abitazioni più recenti poggiavano direttamente sul suolo. L’area dell’abitato occupava, all’epoca della sua massima espansione, tutto il margine della collinetta. Il sito, come tutti gli altri all’inizio del XII sec. a.C., fu definitivamente abbandonato. La terramara Santa Rosa fu scavata per la prima volta nel 1984, in seguito al raggiungimento dello strato archeologico dai lavori agricoli. A tutto il 2007 sono stati esplorati oltre 5000 metri quadri del sito, ricavando al riguardo importanti testimonianze.
Tornando a Montale, le prime notizie risalgono alla metà del 1700, quando l’arciprete della chiesa cercò di scoprire che cosa celasse quel dosso artificiale, ma senza risultato. Per la vicinanza con Modena, nel XIX secolo durante le calde ed afose estati la località era frequentata da persone che avevano la consuetudine di sostare sulla cima e godere dell’ombra offerta da un vecchio castagno. Forse proprio durante una di queste visite Carlo Boni (che nel 1871 fondò il Museo Civico di Modena) scoprì i primi resti preistorici emergenti da quelle “terre grasse”. Nel 1871, durante il prestigioso Congresso Internazionale di Archeologia ed Antropologia Preistorica svoltosi a Bologna, Boni presentò i primi risultati dei suoi scavi, suscitando un enorme interesse sulle Terramare, fino a quel momento pressoché sconosciute. Purtroppo dopo la sua morte (1894) la collina fu di nuovo utilizzata come cava, causando gran parte della sua distruzione, ad eccezione di una porzione situata sotto la chiesa. Nel 1994 fu ripreso lo scavo con una campagna durata fino al 2002. Oggi questo importante villaggio dell’Età del Bronzo è diventato un museo didattico all’aperto, dove si pratica archeologia sperimentale con produzione di manufatti in bronzo, ceramiche e tessitura. Numerose sono le scolaresche a compiervi una visita. Il Parco ed il Museo fanno parte di un progetto europeo (Archeolive) che coinvolge il Museo di Storia Naturale di Vienna ed il Museo delle Palafitte di Unteruhldingen sul Lago di Costanza. L’iniziativa ed il progetto scientifico sono dovute al prof. Andrea Cardarelli dell’Università la Sapienza di Roma, mentre il progetto architettonico è stato elaborato dall’architetto Riccardo Merlo. Importante risulta l’attività di volontariato. Sull’esempio di Montale altre località stanno sviluppando progetti analoghi.
Info: Parco Archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale, via Vandelli (Statale 12 Nuova Estense), Montale di Castelnuovo Rangone (MO), www.parcomontale.it – museo@parcomontale.it – tel. 059 203 31 01 e 203 31 26 – Aperto domenica e festivi dalla primavera all’autunno, ingresso 7 €, intensa attività didattica per scolaresche.
Testo/Giuseppe Rivalta – Foto d’apertura/Angelo Nacchio – Giuseppe Rivalta e Terramara di Montale