La chiesa e la fabbrica, le case allineate degli operai, piccole costruzioni basse con l’orto e il giardino, molto lontane dalle immagini dei nostri casermoni. E poi la villa castello dei signori Crespi, la scuola per i figli dei dipendenti, l’ambulatorio del medico, il dopolavoro, il fiume Adda ed il canale artificiale voluto dal fondatore del villaggio, Cristoforo Crespi. Sembra ancora di vederli in fila: centinaia di operai impegnati a scavare ed a spostare 180mila metri cubi di terra e roccia per realizzare una derivazione del fiume al servizio dell’industria. E sembra ancora di sentire, a due passi di distanza, il rumore meccanico del battere dei telai della fabbrica del cotone.
Siamo a Crespi d’Adda, nel comune di Capriate San Gervasio (BG). A 17 chilometri da Bergamo ed a 35 da Milano: basta uscire dall’autostrada per ritrovarsi in una pagina ancora intatta del passato industriale lombardo, così significativa e così ben conservata da essersi aggiudicata l’inserimento nella World Heritage List dell’Unesco. Qui, a pochi chilometri dal traffico, il tempo sembra sospeso: il villaggio industriale nato sul finire dell’Ottocento per filare, tessere e candeggiare il cotone appare a chi vi mette piede ancora intatto, con i suoi capannoni, il lavatoio, persino il cimitero, in una sorta di città ideale del lavoro operaio. Fondato da Cristoforo Crespi nel 1877 e completato verso la fine degli anni Trenta, il villaggio diventato Patrimonio dell’Umanità si trova in un avvallamento chiuso sul fondo, dove il Brembo confluisce nell’Adda. Il luogo ideale dove realizzare il cotonificio ideato da Cristoforo, discendente da una famiglia di imprenditori tessili, grazie ad alcuni requisiti preziosi: un territorio naturale dove costruire senza vincoli, la presenza dell’acqua, principale forza propulsiva del sistema industriale di allora, e l’abbondante manodopera a disposizione.
Comincia così un’epopea che ha fatto del villaggio un modello per la storia industriale e filantropica di casa nostra, dove il “padrone” si occupa anche del benessere e della vita di quelle che oggi verrebbero chiamate le sue “risorse umane”, ma dove l’esistenza nasce e finisce lì, rigidamente scandita dalle necessità e dai ritmi della fabbrica. Costruito il canale, in pochi mesi viene eretta una centrale a turbina, costruito il reparto per la filatura, dotandolo di cinquemila fusi, costruiti gli alloggi per gli operai, con la mensa, l’asilo, la bottega. E il 25 luglio 1878 la fabbrica comincia a filare ed a torcere: solo in un secondo momento, di vero boom, arriverà la tessitura.Il villaggio e la fabbrica crescono in modo rapido. Lo ricorda al visitatore tutto quello che è stato realizzato. L’immagine più conosciuta risulta l’ingresso al cotonificio con la sua alta ciminiera, le palazzine dirigenziali e il cancello in ferro battuto realizzato da un artista del tempo, Alessandro Mazzucotelli, autore anche dell cancello della Cappella espiatoria sul luogo in cui nel 1900 fu ucciso Umberto I, a Monza, sotto i colpi di revolver dell’anarchico Gaetano Bresci. E poi i capannoni coi tetti all’inglese, caratterizzati da eleganti decorazioni in cotto e mattoni.
Basta percorrere la via principale per godersi la suggestiva infilata di capannoni a shed. E ancora le file di case operaie, coi muri giallo ocra ed i giardini ordinati. Fu Silvio Crespi, figlio del fondatore, ad introdurre queste abitazioni secondo l’esempio visto nei suoi viaggi in Inghilterra. E sopra tutto la villa padronale dei signori Crespi, simile ad un castello dal quale il padrone vegliava sui suoi abitanti operai. La chiesa ed il castello si trovano sullo stesso asse: con il portone della chiesa spalancato è possibile ancora oggi vedere l’altare dalla cima della torre. La scuola, la chiesa, la villa castello, il teatro, i bagni pubblici ed il cimitero crebbero soprattutto col figlio Silvio, direttore del cotonificio dal 1889. Fu lui a chiamare un gruppo di ingegneri ed architetti di qualità per migliorare il villaggio ed a portare macchine d’avanguardia in azienda.
La chiesa di scuola bramantesca risulta la copia di quella di Busto Arsizio, da cui arrivava la famiglia Crespi, mentre la scuola serviva a formare le future maestranze, insegnando a leggere, scrivere ed far di conto. C’era poi il dopolavoro, un punto di incontro per gli operai al termine delle fatiche della fabbrica, con attività culturali, sportive ed educative. Infine, al termine della via principale che costeggia la fabbrica, il cimitero, dove spicca un’imponente piramide a gradoni, monumento funebre della famiglia Crespi, che domina le lapidi più semplici dei dipendenti. Un villaggio modello, dove potevano vivere solo le famiglie dei dipendenti, dalla culla alla morte, mentre alle donne sole era dedicato un dormitorio dove venivano svolte anche attività come il ricamo. Crespi fu anche un villaggio all’epoca modernissimo, visitato anche dalla regina Margherita, la quale aveva la sua residenza estiva nella Villa Reale di Monza. Infatti fu il primo paese in Italia a dotarsi di illuminazione pubblica con il sistema moderno Edison, mentre i Crespi portarono alla loro villa anche una linea telefonica privata, in grado di collegarli a Milano. La vita al villaggio era scandita in maniera rigida e ruotava attorno alla fabbrica, mentre i figli dei dipendenti andavano a scuola, dove tutto era fornito dalla ditta: libri, penne, grembiuli, perfino la refezione.
Un viaggio in bianco e nero nella storia dei primi quarant’anni di vita di questo agglomerato. Alla fine degli anni Trenta l’esperienza della famiglia Crespi si concluse, complici cambiamenti politici e di mercato e di investimenti imprudenti: subentrarono banche ed altri gestori, finché nel 1995 venne dichiarato Patrimonio dell’Umanità. Appare facile visitare questo paesino ancora intatto ed organizzato lungo una via principale da soli, ma chi vuole approfondirne la storia può aderire alle visite guidate organizzate nei fine settimana a partire dall’Infopoint del villaggio (e mail: info@crespidaddaunesco.org).
Un viaggio a Crespi costituisce anche l’occasione per guardarsi attorno, passeggiare sulle sponde dell’Adda, conoscere diverse testimonianze di archeologia industriale come le centrali idroelettriche, come la Taccani, nata nel 1906 a Trezzo, a pochi chilometri di distanza, proprio su impulso di Cristoforo Crespi, assetato di energia per il suo villaggio manifatturiero. La centrale vive in perfetta fusione con l’Adda, di cui sfrutta con uno sbarramento la curva naturale, e con il vicino castello visconteo. Paesaggi leonardeschi, quelli naturalistici dell’Adda, sfondo ipotizzato per opere famose come la Vergine delle Rocce, cui fanno da contraltare quelli, nati cinque secoli più tardi, della prima rivoluzione industriale, con il ponte in ferro che univa Capriate e Trezzo, dove correvano le rotaie della linea ferroviaria Monza-Trezzo-Bergamo, rimasta in servizio fino a metà del secolo scorso. Il treno, chiamato Gamba de lègn a causa del suo arrancare, ad un certo punto con una locomotiva a carbone si staccava dalla linea scendendo al cotonificio, per trasportare cotone grezzo da trasformare. L’ultima corsa è datata 1958.
Info: www.villaggiocrespi.it – info@villaggiocrespi.it – tel. 02 90 98 71 91 –
Testo/Monica Guzzi – Foto/Fondazione Crespi