Cutrofiano è un piccolo (9.000 abitanti) e grazioso paese nel centro delle Serre Salentine, nel cuore del tacco d’Italia a 27 km da Lecce, 20 da Gallipoli, 26 da Otranto e 50 da Capo di Leuca, ricco di storia e pieno di piacevoli sorprese, come quella di far parte dei Borghi Autentici d’Italia, il che già di per sé rappresenta una garanzia. Fa anche parte della cosiddetta “Grècia salentina”, quel territorio del Salento centrale formato da dodici comuni che in epoca altomedievale subirono una consistente migrazione di popolazioni greche in fuga dalla loro terra sotto la pressione dei turchi, i quali ancora oggi mantengono – almeno in parte – la loro lingua, la loro cucina ed alcune ataviche tradizioni. A proposito di turchi, la sua complessa storia registra anche una distruzione nel 1480 da parte delle forze islamiche, le stesse impegnate poche settimane dopo nel provocare il tragico assedio di Otranto.
Lo stemma del comune di Cutrofiano riporta, non casualmente, l’impennata di un cavaliere a cavallo: si potrebbe trattare anche in questo caso di un retaggio storico. Nel 1700 i duchi Filomarini, famiglia feudale che per alcuni secoli ha governato il territorio, istituirono su questo fertile terreno agricolo un allevamento di una speciale razza di cavalli, molto apprezzati nel regno di Napoli ed in Inghilterra, tanto che a metà del secolo successivo l’allevamento venne spostato a Napoli. E in quel momento in paese finì anche il feudalesimo. Ma il destino di questo centro era già contenuto nel nome: kufros, in antico dialetto greco, indica una pignatta di argilla usata per cucinare e, come ben vedremo, esiste un binomio inscindibile tra l’argilla e questo paese. Cutrofiano infatti rappresenta una delle 40 località italiane (e delle tre in Puglia, Grottaglie e Laterza) a potersi fregiare del titolo di Città della Ceramica, per la sua antica ed intensa produzione in ogni epoca di laterizi, terrecotte e ceramiche di vario tipo, ed ora anche di piastrelle. A parte le ceramiche preistoriche rinvenute in tutto il comprensorio, in centro esistono ancora i resti di una fornace di epoca romana ed una fornace a legna del XVIII sec. è rimasta attiva in via Roma fino al 1960.
Dal 1973 poi ospita, nei 10 giorni centrali d’agosto, un’importante Mostra mercato della ceramica artigianale, mentre dal 1985 l’antico Palazzo Ducale – già sede comunale – espone invece il Museo della ceramica, con pregiate raccolte di fischietti ed ocarine, manufatti in terracotta, ceramiche medievali e rinascimentali, terracotta invetriata, piatti, zuppiere, ciotole, boccali ed anfore, dalla preistoria ai giorni nostri. Per secoli i figuli, antiche figure di artigiani locali hanno lavorato le crete e l’argilla, utilizzando tecniche tradizionali. Alcuni manufatti storici hanno influenzato la cucina locale, determinando piatti autoctoni, come le pignatte pirofile per la cottura a fuoco dei pregiati legumi del posto, il polipo bollito nella pignatta ed i pezzetti alla pignatta, con carne di cavallo.
La produzione di ceramica, artigianale in passato ed ora anche industriale, si deve ad una abbondante presenza di depositi naturali di argilla, o creta, oltre a quelli di acqua e legname. L’argilla non è altro se non depositi sedimentati e compressi di fanghi allo sbocco di paleo-fiumi in antichi mari. Storicamente sappiamo tutti l’importante ruolo che svolse la scoperta della ceramica nella storia evolutiva e sociale dell’uomo, permettendo per la prima volta l’accumulo ed il trasporto di liquidi e di alimenti, oltre ad acconsentire con la cottura un’alimentazione diversa e più varia. Non a caso la ceramica viene considerata, assieme all’allevamento ed all’agricoltura, uno degli elementi alla base della cosiddetta rivoluzione neolitica, lo step più innovativo della storia umana.
Per ragioni geologiche, sulle quali ci soffermeremo più avanti, Cutrofiano annovera una delle maggiori densità di cave di argilla in assoluto, anche se sono in pochi a saperlo in quanto la maggior parte si sviluppa sotto terra, e soltanto qualcuna a cielo aperto; si parla, tra attive e dismesse, di non meno di 60 impianti. Sotto tutto il paese, ad una profondità media di 20 – 30 m (ma anche a soli 6 m), si sviluppa infatti un’ incredibile rete di gallerie a più piani lunghe anche parecchi chilometri, in parecchi casi da tempo abbandonate a se stesse, che spesso intersecano strade ed edifici di ogni tipo. Una convivenza, alla distanza, non certo auspicabile, ed i risultati non hanno tardato a manifestarsi in superficie, sotto forma di molteplici sinkholes, consistenti sprofondamenti del terreno per franamenti di cavità sottostanti che avvengono improvvisamente. E nel solo anno 2008 il comune ha dovuto spendere qualcosa come 4,5 milioni di euro per interventi urgenti di bonifica in tal senso. Un danno ambientale ed economico enorme, prodotto dall’insipienza dei pubblici amministratori del passato e da imprenditori rapaci senza scrupoli, i cui costi ricadono sulle generazioni presenti e future, una delle innumerevoli rapine ambientali con prezzo pagato dalla collettività.
Arriviamo appositamente da Milano per visitare il Parco ed il Museo malacologico dei fossili salentini, poco noti in loco ed in Italia ma parecchio famosi all’estero per la loro straordinaria abbondanza e varietà, nonché per l’incredibile stato di conservazione, sulla scorta di quella che, all’apparenza, sembra una bella favola ambientale da raccontare, purtroppo non con lieto fine. Appena fuori paese cerchiamo, con non poche difficoltà per la scarsità di indicazioni, la ex cava Lustrelle, dove su una superficie di 12 ettari ed una profondità di -18 m si trovano entrambi, una delle rare cave di argilla a cielo aperto. A riceverci il prof. Giuseppe Botrugno con il suo inseparabile cagnolino, ex presidente della Pro Loco locale, apprezzabile figura di insegnante e di medico al tempo stesso, appassionato di geologia e deus ex machina da sempre di questo sito.
Questa cava di argilla ha funzionato fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, quando venne dismessa per esaurimento del deposito produttivo. Abbandonata a sé stessa, divenne in fretta una discarica abusiva dove molti incivili buttavano i loro rifiuti di ogni genere, con rimpallo di responsabilità tra proprietà privata ed enti pubblici. Un film in Italia già visto, purtroppo, tante volte. Quando ormai il problema era cresciuto a dismisura , e nessuno poteva più ragionevolmente sperare in una soluzione positiva, se non altro per gli ingenti costi necessari, a fine secolo la nuova proprietà, la Colacem di Gubbio – forse perché spinta da una lottizzazione abitativa sui bordi – ha provveduto alla totale bonifica dell’area, a piantumare ottomila alberi, arrivando a creare i percorsi didattici del Parco turistico-scientifico dei fossili salentini, con annesso piccolo museo malacologico delle argille ospitato in una seicentesca casa colonica, due benemerite istituzioni che per quasi due decenni hanno dispensato ai loro visitatori un briciolo di conoscenza su un importante patrimonio naturalistico ed ambientale poco noto ai non specialisti.
Estremamente interessante si è infatti rivelata la stratigrafia geologica del Parco e della cava che, dall’alto verso il basso registra: in superficie un sottile strato di humus usato per l’agricoltura, sovrastante 2-3 m di sabbie grossolane dovute a sedimenti marini recenti (vecchi di 100 mila anni); questo è a contatto con un deposito di Argille Gialle dello spessore di 5 m, fanghi accumulati da paleo fiumi su bassi fondali marini circa un milioni di anni or sono, con scarsa presenza di fossili, a loro volta sormontanti per uno spessore di 10 m Argille Azzurre, di analoga origine ed anzianità, ma contenenti parecchi molluschi fossoli in ottimo stato di conservazione. Queste appoggiano su Calcareniti (arenarie sabbiose pressate e cementate con carbonato di calcio) di Gravina, per uno spessore di 15 m ed un’età di poco più di un milione di anni, contenente parecchi fossili, nonché su potenti banchi (60-65 m) di Calcarenite marnosa, detta anche tufo o pietra leccese, con cui sono stati costruiti gran parte dei tesori del barocco leccese e salentino, vecchi da 12 a 20 milioni di anni e con fossili scarsi. Sul fondo si trova un Basamento calcareo formatosi tra Giurassico e Cretaceo (tra 65 195 milioni di anni, all’epoca dei dinosauri), capaci di scendere fino a 4.500 m di profondità, dove prevalgono calcari o dolomie a seconda della prevalenza di carbonato di calcio o di magnesio, con una elevatissima presenza di fossili vecchi di decine e centinaia di milioni d’anni, con un’incredibile densità fino ad alcune migliaia per metro2 ed un’eccezionale stato di conservazione.
Quindi una straordinaria documentazione geologica di depositi sedimentari marini per un incredibile spessore di 4,5 km ed una anzianità di quasi 200 milioni di anni. I fossili sono costituiti essenzialmente da gasteropodi, bivalvi e scafopodi, molto importanti per la ricostruzione dei paleo-climi passati, e tra questi nel 2008 è stato anche identificato dal prof. Giuseppe Piccioli Resta, responsabile scientifico del sito, una nuova specie per la scienza, un mollusco poliplacoforo. Quella che potrebbe sembrare una bella favola didattico-ambientale, purtroppo deve registrare un termine – speriamo soltanto momentaneo – non proprio a lieto fine. Da alcuni anni infatti tutte le visite didattiche sono sospese – oppure permesse limitatamente e dovute alla cortesia personale del prof. Botrugno – in quanto l’amministrazione comunale non riesce a deliberare a che affidare la gestione delle attività turistiche e didattiche del Parco e del Museo, che nel frattempo se ne stanno chiusi ed inattivi. Un’ennesima dimostrazione dello scarso interesse nel Salento – epicentro di turismo edonistico e balneare – nei confronti di un immane patrimonio storico e naturalistico, nonché nei confronti del più redditizio turismo culturale.
Info: www.comunedicutrofiano.gov.it/ – prof. Giuseppe Botrugno, tel. 380 466 00 47 –botrugnogiuuseppe@libero.it – www.parcodeifossili.it – L’ex cava Lustrelle si trova in contrada Lustrelle lungo la strada statale Cutrofiano-Aradeo, vicino all’incrocio della strada per Sogliano Cavour.
Testo/Giulio Badini – Foto/Archivio Arnesano-Badini e Google Immagini