A guardarla sembra finta. Una piccola bambola di porcellana: carnagione chiara, capelli nerissimi raccolti, occhi scuri sottolineati dal pesante trucco, l’occhio rosso al centro della fronte, un ovale perfetto sopra un abito rosso che le scopre solo i piedini. La stanza è dipinta di rosso, il piccolo trono su cui siede dorato. Ti osserva solennemente mentre ti inginocchi a piedi scalzi davanti a lei, in attesa della sua benedizione. Solo in questo momento, quando solleva la piccola mano e ti fissa seriamente, con quello sguardo che ha imparato a riconoscere negli adulti, capisci che dietro il rito si nasconde una bambina.
Sei in Nepal e sei in ginocchio ai piedi di una kumari, una bambina considerata la dea vivente della religione induista, e quegli occhi scuri ti leggono dentro per un attimo. La più famosa di queste piccole dee vive a Kathmandu, ma nei palazzi sacri di questa valle all’altezza di 1300 metri raccolta ai piedi delle montagne più alte del mondo, a Patan e a Bhaktapur abitano altre dee bambine. Vederle costituisce un onore, essere ricevuti personalmente quasi un miracolo. Non si tratta di un culto ancestrale: in Nepal la venerazione per la dea vivente risale al diciassettesimo secolo. La parola kumari deriva dal sanscrito e significa vergine. Tale dev’essere infatti la dea, che resta adorata, servita e riverita all’interno del palazzo sacro fino all’arrivo del menarca. Basta infatti la comparsa di sangue, l’arrivo delle mestruazioni o una ferita, per fare cadere la dea al rango di essere umano come gli altri, ed uscire dal palazzo per entrare in un mondo che qui appare particolarmente difficile per chiunque.
Non basta però la purezza per diventare una dea: la bambina deve avere una trentina di caratteristiche fisiche puntualmente catalogate (tra cui pelle chiara, assenza di cicatrici, occhi e capelli scuri, lingua piccola, dentatura perfetta, seni piccoli e voce limpida) e soprattutto deve avere precisi doni di carattere, non deve essere capricciosa e non deve piangere. Non per nulla viene sottoposta ad un rito iniziatico che ne testa la tempra. Le bambine prescelte sulla base delle loro doti fisiche e morali devono infatti affrontare una notte terribile, dormendo in una stanza buia fra teste di animali morti e uomini mascherati da demoni, i quali cercano di spaventarle. La bambina che non si spaventa e non piange finisce per essere la prescelta. Viene quindi sottoposta ad un rito di purificazione, vestita di rosso e portata nel nuovo palazzo, dove smette di vivere da bambina e comincia a vivere da dea.
Il culto della kumari appare emblematico della vita di un paese nel quale persino la polvere delle macerie del terremoto devastante che nell’aprile del 2015 ne ha sfregiato, ma non cancellato la bellezza, si presenta intrisa di misticismo. Lo dimostrano i templi colorati degli induisti che convivono con i santuari buddisti, come quello di Swayambunath, del V secolo dopo Cristo, eretto su un colle abitato da scimmie, o come lo stupa di Boudhanat, patrimonio dell’Umanità, una cupola bianchissima alta 36 metri sulla cui cima gli occhi del Buddha dominano l’intera piazza. Nei dintorni di Kathmandu sono tanti i luoghi da visitare, da Bhaktapur, antica capitale su un’altura costeggiante le rive del fiume Hanumante, con il palazzo delle 55 finestre, la porta d’oro e la piazza Taumachi, con la pagoda Nytapole e due templi, fino alla piazza dei vasai. Il Nepal finisce per essere il paese delle pagode, i cui colori spiccano ovunque.
Silenzio invece davanti ai riti di cremazione che si susseguono senza soluzione di continuità al tempio di Pashupatinath, lungo il corso del fiume Bagmati, un altro monumento capace di portare al riconoscimento dell’Unesco per l’intera valle di Kathmandu. Nel più importante tempio induista del Nepal, il cui nucleo risale al VI secolo dopo Cristo, ogni giorno si svolgono cerimonie funebri. Gli induisti credono infatti che solo dopo un perfetto rito di cremazione l’anima dei loro defunti possa accedere alla reincarnazione. Prima di venire cremati, i corpi vengono portati sulle sponde del fiume, bagnati più volte e cosparsi di petali di fiori. Una cerimonia lenta e dolorosa, che termina sulla pira funeraria, accesa secondo la tradizione dal figlio maggiore per il padre e dal minore per la madre. Le pire vengono accese in luoghi diversi, a seconda dell’importanza della famiglia.
L’anima religiosa del Nepal non potrebbe però vivere senza la sua prorompente natura, scintille di bellezza tra macerie, povertà e colori. Chi visita questo paese non può fare a meno di avvicinarsi alla catena dell’Himalaya, con le sue cime oltre gli ottomila metri. Non sempre risulta possibile vederle dalla pianura. I mesi migliori per visitare il Nepal sono infatti ottobre e novembre, quando il monsone è finito, il cielo terso, le temperature sono miti e le montagne si vedono a perdita d’occhio. Ma vale la pena di fare un viaggio da queste parti da ottobre ad aprile, quando la stagione si presenta secca, evitando i monsoni.
Ma qui la natura non offre solo montagne. Imperdibile, ad esempio, la giungla che si fa largo nel Royal Chitwan National Park, a circa 800 metri sul livello del mare, un tempo riserva privata reale. In questa oasi protetta, un tempo teatro di feroci scempi che avevano portato alcune specie quasi all’estinzione, oggi vivono elefanti, ippopotami, cervi e antilopi, mentre coccodrilli e tartarughe sono protetti da uno specifico progetto di ripopolamento.
Info: Nepal Tourism Board, www.welcomenepal.com – ntbroma@yahoo.it – tel. 06 53 29 34 02 –
Viaggi dell’Elefante, www.viaggidellelefante.it – info@viaggidellelefante.it – tel. 06 60 51 30 00
Testo, Foto / Monica Guzzi