Arriva nel pieno della stagione estiva, quando gran parte degli italiani sono già spaparanzati sotto l’ombrellone a godersi le ferie, l’annuale rapporto di Legambiente sullo stato delle coste marine italiane. Un quadro non certo edificante, espressione di tutti gli egoismi nazionali, che ancora una volta non ci fa fare bella figura all’estero, né tanto meno con quegli stranieri decisi a venire trascorrere le loro vacanze nel nostro paese. In Italia, su uno sviluppo costiero complessivo di circa 8.000 km – isole e penisole comprese – soltanto il 42 % offre spiagge sabbiose, quindi adatte alla balneazione. Su questo territorio si concentrano qualcosa come 52.619 stabilimenti balneari, fissi, permanenti o semimobili, per una superficie complessiva di ben 19,2 milioni di metri cubi di arenile occupato. Ecco perché, spesso percorrendo anche decine di chilometri di coste, si ha sempre l’impressione di avere un muro continuo di cemento davanti, ed il mare si fa pure fatica a vederlo. Non parliamo poi di farci un bagno.
Il 60 % delle nostre spiagge risulta pertanto occupato da stabilimenti balneari permanenti, e si fa davvero fatica a trovare una spiaggia libera – libera per modo di dire, perché occupata da bagnanti, ombrelloni, asciugamani, barche e barchette, quando non anche da rifiuti – quando invece dovrebbe essere esattamente il contrario. E poi fateci caso: nove volte su dieci le spiagge libere sono relegate in zone marginali, lontane, di difficile accesso, vicino alle foci di fiumi-cloache, a scarichi industriali o fognari, dove le acque sono inquinate, mentre gli arenili migliori sono sempre quelli a pagamento. E poi non facciamoci trarre in inganno dalla statistica, a volte fallace, come quando io mangio un pollo e tu nessuno, e per la statistica ne abbiamo mangiato in teoria uno ciascuno. Infatti in parecchie località la media nazionale del 60 % di spiagge privatizzate raggiunge punte da record:, come in Romagna o in Liguria le spiagge libere rappresentano rispettivamente il 23 % e il 14 %, oppure Rimini e Santa Margherita Ligure dove arrivano appena al 10 %. A Forte dei Marmi in Versilia su 5 km di arenile si affollano un centinaio di stabilimenti in concessione, e nessuna spiaggia libera. In Italia la percentuale di spiagge interdette alla balneazione per inquinamento raggiunge in media il 10 %, ma in Calabria sale al 22,8 e in Campania al 25,8 %.
E il mare libero, diritto inalienabile di ogni cittadino ? Barzellette dei nostri politici, buone solo sulla carta per tenere tranquillo il popolo bue. Provate ad entrare in qualsiasi bagno, da Ventimiglia a Trieste, senza essere cliente pagante, e vedrete come verrete accolti, anche soltanto per sedervi sul bagnasciuga o per fare un bagno. In Italia, a differenza di ogni altro paese europeo, funziona al riguardo la concessione, una figura giuridica ormai snaturata nel tempo, divenuta una sorta di bene privato trasformata in strumento clientelare trasmettibile per eredità. In pratica un privato chiede in concessione un tratto di spiaggia, che in pratica diventa suo per tempi biblici, dove può farci più o meno ciò che vuole e chiunque per entrare deve pagare. Le concessioni sono regionali, ogni regione al riguardo vanta una normativa differente – cinque regioni non ce l’hanno proprio – divenute ormai strumento elettorale di scambio di voto (io ti do la concessione e tu mi voti), anche perché in genere non prevedono sanzioni di alcun genere. Almeno ci guadagnassero le casse pubbliche. Trattandosi di uno strumento clientelare, vengono cedute dai boss locali per due lire: nel 2016 hanno prodotto appena 103 milioni di euro, pur generando secondo Nomisma un giro di affari complessivo stimabile in 15 miliardi, soldi che qualcuno si è messo in tasca.
All’estero, assai più sensibili di noi ai diritti collettivi ed alle libertà individuali, una simile situazione risulterebbe assolutamente intollerabile, ad a livello europeo oggetto di forti critiche (fino a tanto che si manterranno tali). La Francia, per esempio, assicura spiagge libere per l’80 % e le concessioni, piuttosto brevi ed assai onerose, non possono mantenere strutture fisse in essere per oltre sei mesi. In Croazia sono vietate le costruzioni di qualsiasi tipo entro un chilometro dal bagnasciuga e non si può edificare nelle isole disabitate. In Europa, al riguardo vige la Direttiva Bolkestein sulla concorrenza e sul libero mercato, valida (in teoria) per tutti i cittadini del continente, approvata nell’ormai lontano 2006 e recepita dall’Italia nel 2010, la quale proibirebbe situazioni del genere. Il guaio è che tale direttiva nel nostro paese non è mai entrata in vigore, ed ogni ministro del turismo – compreso l’attuale – si prodiga per rinviarne l’applicazione al giorno del mai, per non inimicarsi una potente lobby di votanti, i quali finirebbero per perdere una gallina dalle uova d’oro. Ma prima o poi tutto ciò ci costerà una grave infrazione economica da parte dell’Europa, ormai stanca di essere presa per i fondelli dai soliti furbastri, numi tutelari non disinteressati di bagnini parassiti.
Come sappiamo tutti, non è che l’accesso agli stabilimenti balneari avvenga gratis: nell’estate 2019 il costo medio per persona è ammontato a 26 euro. Ma, anche qui, attenzione alle statistiche ingannevoli: in alcuni casi si raggiungono cifre limite, oserei dire vergognose. A Marina di Pietrasanta in Versilia si è arrivato alla soglia di mille euro al giorno per famiglia di quattro persone, a Venezia ed a Porto Cervo rispettivamente a 410 e 400 euro, a Lerici 300, a Forte dei Marmi 290. Buon bagno a tutti.
Legambiente, autore dell’annuale rapporto-dossier “Le spiagge sono di tutti”, è una delle maggiori associazioni ambientaliste presenti in Italia, attiva da 40 anni, con 18 sedi regionali ed un migliaio di gruppi locali, nonché 115 mila soci. Si occupa di ogni tipo di problematiche relative al territorio.
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Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini