Agosto, afa, desiderio di quell’aria fresca primaverile che sembra ormai solo un ricordo di gioventù. Sono diretto verso quel sudest d’Italia, che più sudest non si può: il Salento. Quello che fin da bambini, quando la geografia si studiava veramente a scuola, ci veniva rappresentato come il “tacco dello stivale”, che poi sarebbe la nostra penisola. Non si tratta di una vacanza, ma talvolta questo lavoro può farla apparire tale. L’invito è per un press tour nella zona delle Serre (o Murge) Salentine, a cominciare da Corigliano d’Otranto, alla scoperta delle bellezze paesaggistiche, artistiche ed enogastronomiche di un’area del Paese, spesso conosciuta più per le coste che per il suo patrimonio culturale e creativo.
Roma-Lecce on the train, tra valigie in terra e pale eoliche
Può sembrare un’ovvietà, ma alla fine nella vita ci si adatta a tutto. Però ci vuole tempo per metabolizzare, se vuoi arrivare da Roma a Lecce con un treno ad “alta velocità”, evitando le quasi 9 ore dell’Intercity. Cerchi on line e la soluzione risulta una sola: il Frecciargento. Un treno che per gli standard meridionali potrebbe sembrare anche avveniristico, ma per chi è abituato a viaggiare nel centro-nord del paese, lascia leggermente perplessi. Faccio un paragone: Frecciarossa Roma-Milano, circa 500 km, durata 3 h; Frecciargento Roma-Lecce, 80 km di più, durata 5h e 30’. Ma i costi sono circa gli stessi, benché viaggiare in ‘Prima classe’ sul secondo, equivarrebbe a una ‘Standard’ del primo, se si escludessero i “benefit”: bibita, snack, giornale. Ma c’è un altro problemino in più: i bagagli più ingombranti lasciati lungo il corridoio, perché lo spazio si presenta veramente esiguo, sia in alto che negli scomparti a inizio vagone. E questo, a discapito della sicurezza, per chi si trovasse a passare, sballottato qui e là dai sobbalzi del treno.
Vedi fuori dal finestrino scorrere in sequenza i paesi del basso Lazio, e il verdeggiare degli Appennini lascia la scena ad una miriade di case sparse fino al mare: siamo nella provincia di Caserta. Dopo Benevento, il Tavoliere delle Puglie si perde all’orizzonte, coi suoi campi di grano ormai raccolto, serre ordinate ed ampie distese di pale eoliche prevalenti nettamente sui rari alberi. Ma il treno va e s’incontrano i primi grandi uliveti pugliesi non ancora colpiti dalla xylella, il batterio capace di portare la peste degli ulivi, e che ricorda molto quella umana, che qui fece strage nel XVII secolo. In lontananza il mare Adriatico come linea di confine tra il cielo azzurro, le cave di pietra bianca ed i campi arati. Poi Barletta, Bari e Brindisi. Infine Lecce, che ci accoglie con la stazione affollata di turisti con improponibili completini mare/città e giganteschi trolley.
Un caffè alla leccese come benvenuto nella città del barocco
Ad attendermi fuori della stazione centrale, nel caldo soffocante dell’ora di pranzo, Monica, che con Lidia e Francesco sono un tour operator che promette «esperienze non convenzionali». Sono coinvolti in prima persona nei tre press tour ‘Luci a Sud Est’, organizzati dal ‘Distretto Produttivo Puglia Creativa’, nell’ambito del Progetto Atlas (Adriatic cultural tourism laboratories). Il Distretto è una sorta di laboratorio progettuale, dove confluiscono le esperienze di molta dell’intellighenzia creativa, che forma il tessuto sociale, culturale e imprenditoriale pugliese. Ha iniziato il suo percorso nel 2011 e oggi ha messo a sistema circa 150 operatori, con interessi che spaziano dal teatro ai beni culturali; cinema, design e innovazione sociale; associazioni imprenditoriali e sindacali con rappresentanza nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel); Università, Enti locali e associazioni pubbliche e private. Nell’occasione è stato lanciato il nuovo brand #VisitPugliaCreativa, con un ambizioso obiettivo: far diventare la creatività un attrattore turistico, e tracciare delle linee guida per realizzare pacchetti turistici innovativi. Ma ritorniamo a noi e, per riprenderci dal viaggio, apprezziamo l’ottimo caffè alla leccese offerto da Davide, il nostro autista, seduti al chioschetto lì davanti, all’ombra degli alberi di viale Quarta. La preparazione ha una sua sacralità e deve seguire queste regole: un bicchiere capiente con grandi cubetti di ghiaccio; successiva aggiunta di caffè espresso e latte di mandorla. Mescolato il tutto, si beve con la cannuccia.
La città barocca ed i misteri del Castello di Lecce
Lecce, città romana, bizantina, normanna e poi aragonese, ha molto da mostrare al visitatore. Come le famose chiese barocche del XVII secolo, tra cui spiccano la Cattedrale di Santa Maria Assunta (il Duomo) e la Basilica di Santa Croce, con il grande rosone centrale in stile romanico sulla facciata principale. Piazza Sant’Oronzo, nel cuore della città, appare dominata dalla colonna di circa 29 metri, con in cima la statua del santo patrono di Lecce, subentrato a Santa Irene dopo la pestilenza del 1656. Alle spalle i resti parziali dell’anfiteatro romano (II sec. d.C.), che con il teatro situato poco distante rappresentano i simboli principali della presenza augustea. Ma, tra quel “molto” da mostrare, c’è principalmente una delle maggiori strutture fortificate della Puglia: il Castello Carlo V.
L’accesso è dalla ‘Porta Reale’, su viale XXV luglio, oggi a livello strada ma un tempo dotata di ponte levatoio, poi eliminato col riempimento del fossato dopo il 1870, con la nascita della ‘Caserma Castello’ ed il trasferimento degli uffici del Distretto Militare. Costruito come un po’ tutto qui in ‘Pietra Leccese’ – roccia bianca formata da sedimenti sabbiosi marini, tipica del Salento – appare solidale alla cinta muraria lato est. La forma è di un quadrilatero scaleno ed agli angoli i quattro bastioni di Santa Croce, Santissima Trinità, San Martino e San Giacomo. Tutto attorno vi era un ampio fossato. L’originale struttura difensiva realizzata dai normanni (XIII secolo) era meno possente ed ha subito diversi interventi architettonici nei secoli fino allo stato attuale. Ma fu sotto il regno di Spagna, con Carlo V d’Asburgo (1516-1556), che tra il 1539 ed il 1546 furono fatti cambiamenti epocali, grazie al progetto dell’Ingegnere generale del Regno, il salentino Gian Giacomo dell’Acaya.
Una fortezza per i rinnovati scenari di guerra
Il nuovo progetto difensivo della città, prevedeva una struttura di maggiori dimensioni, per resistere a cannoni e bombarde, armi da fuoco che avevano sostituito catapulte e trabucchi durante gli assedi. Così fu inglobata buona parte dell’originario nucleo medievale, messo in luce negli anni scorsi dagli scavi archeologici dei ricercatori dell’Università del Salento, ma non la cosiddetta ‘Torre Magistra’ (o Mastio), nell’angolo nordorientale della Piazza d’Armi, e la ‘Torre Mozza’, in quello sudorientale. Tutto attorno alla città, la cinta muraria con le iniziali quattro porte d’accesso: Porta Napoli a nordovest; Porta Rudiae a sudovest; Porta San Biagio a sudest (che oggi si specchia col Monumento ai caduti in piazzale d’Italia) e Porta San Martino, orientata verso il mare a est, demolita nel 1826 per consentire l’espansione della città.
Le segrete del castello ai piedi della Torre Mozza
Appena superato lo scalone nobiliare, sulla destra del cortile principale c’è una porticina alla base della Torre Mozza, da cui si accede in un ambiente umido e semibuio: sono le prigioni. Scavate su un banco di roccia, danno vagamente al visitatore il senso di quello che dovrebbero aver vissuto i loro “ospiti”, molti dei quali sicuramente di alto lignaggio, a vedere i graffiti coi numerosi stemmi nobiliari scolpiti con improbabili attrezzi, sulla tenera arenaria. Incisioni con rappresentazioni sacre, scritte, animali, navi, nomi, date, croci, torri. Segni distintivi di gente messa in catene per i più diversi motivi ma, da quanto è dato capire, anche nobili ed oppositori politici di avverse fazioni. Graffiti illustrati dalla guida fisica e da quella virtuale, grazie a un programma realizzato dall’Università del Salento e dalla Soprintendenza leccese, con immagini tridimensionali e iPad con auricolare, in grado di accompagnano il visitatore nell’interpretazione dei segni nel tempo. Paradossalmente, per quella che si ama definire la ‘Legge del contrappasso’, finì in questo luogo anche Gian Giacomo dell’Acaya, colpevole di aver fatto da garante ad una persona insolvente. Perse tutti i suoi beni e venne richiuso nelle segrete del castello di Lecce, da lui stesso fatto edificare, dove morì nello stesso anno il 6 dicembre 1570.
I grandi sotterranei del castello
Se dal cortile si accede allo scalone portante al piano nobile, poco più avanti ce né uno in pietra molto più lungo che porta nei sotterranei, realizzati dov’era il fossato medievale. In fondo, sul lato sinistro del piccolo corridoio, all’interno di un’apertura irregolare c’è un grosso vano ovale scavato nella roccia, utilizzato come magazzino per i viveri durante gli assedi. Molto simile a quello che vidi nel Castello Grifeo di Partanna, in Sicilia. Si accede al centro del sotterraneo sud, che collega i bastioni di San Giacomo (a sinistra) e della Trinità (a destra). Quello lato est, che collegava i bastioni di San Giacomo e San Martino, risulta invece parzialmente visitabile, perché in gran parte ancora ostruita dai materiali di riempimento accumulati nei secoli. I tre abbeveratoi in pietra addossati ad un muro ricordano che nel XVII secolo i sotterranei furono utilizzati come stalle, ma durante la Seconda Guerra Mondiale divennero anche rifugio antiaereo, le cui tracce sono tutt’ora ben visibili con i fili elettrici lungo le pareti, “cucine economiche” smaltate, pentole, bombole d’ossigeno ed un lettino del presidio militare, coperti dalla polvere del tempo. Ma anche frammenti di oggetti in pietra e terracotta, ritrovati durante il restauro.
Gli echi sotto “San Giacomo”
Alla base del bastione di San Giacomo si vedono le grandi feritoie in alto, usate per sparare coi cannoni, e più piccole, in basso verso il fossato, per colpire gli assedianti coi moschetti, arma da fuoco che sostituì l’archibugio. Qui sotto però c’è anche un fenomeno curioso. Ponendosi agli angoli interni del bastione e parlando uno alla volta, solo all’opposto si sente l’eco. Pare che questo servisse ad amplificare gli ordini durante la battaglia, tra nuvole di fumo e spari. Altra curiosità: mettendosi al centro del pavimento in corrispondenza della presa d’aria in alto, parlando si sente nelle orecchie un effetto “cuffia stereo”, veramente sorprendente per la definizione acustica.
Inquietanti presenze
Questi sotterranei avrebbero molte storie da raccontare e, mentre gli altri uscivano, mi sono soffermato a studiare meglio gli ambienti per scattare delle foto, ignaro della leggenda popolare conosciuta in seguito. Perché se tutti i castelli hanno spesso presenze inquietanti, questo non fa eccezione, dato che qui pare si aggiri il fantasma di un bambino, morto in circostanze drammatiche all’inizio degli anni 50 del secolo scorso. Forse figlio di qualche militare del Distretto in visita e, probabilmente incuriosito dal rumore dell’acqua proveniente una botola aperta con accesso diretto al fiume Idume passante proprio lì sotto, si era sporto con la testa cadendoci dentro. Nonostante il pronto intervento dei militi, il corpo non fu mai ritrovato, ma più di qualcuno – tra custodi e vigilanti – alla mezzanotte pare abbia sentito riecheggiare le sue urla, chiamando i genitori.
Una grande struttura, con tanti usi diversi nei secoli
Sono tanti i cambi di destinazione d’uso subiti dal castello di Lecce. Se all’inizio fu una fortezza, dal 1690 divenne sede del Tribunale della Regia Udienza (corrispondente all’attuale Corte d’appello). Fu anche nucleo abitativo con annesso teatro nel salone, caserma e sede del 5° Distretto Militare tra il 1870 e il 1979. Ma, come già ricordato, anche rifugio antiaereo, peraltro mai utilizzato perché i bombardamenti avvennero su Otranto. Dopo anni di declino, la rinascita e la recente apertura al pubblico, con il trasferimento dell’Assessorato alla Cultura del comune di Lecce e l’apertura del Museo della Cartapesta, di cui tratteremo in seguito.
Info: L’entrata al castello è gratuita, ma per le visite guidate, con prenotazione obbligatoria (min. 10 persone), il costo è di 4 € a persona, ridotto a 2 € fino a 12 anni. Orari: lun-ven 9-21; sab-dom-festivi 9,30-21; lug-ago fino alle 23. Per info: castellocarlov@gmail.com; Tel: 0832 24 65 17; www.castellocarlov.it;
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Maurizio Ceccaioni e Google Immagini