Dal 15 al 24 settembre 2017 edizione speciale del ‘Cous cous fest’, la manifestazione enogastronomica settembrina che prese il via nel 1997 a San Vito Lo Capo, grazie all’agenzia di comunicazione palermitana Feedback, la quale l’ha ideato e prodotto in partnership con l’amministrazione comunale del paese trapanese. Nata come strumento d’integrazione culturale tra i popoli, l’annuale kermesse culinaria vedrà per la terza volta in gara noti chef e cuochi nel Campionato Italiano di Bia CousCous, in programma nel primo fine settimana. Ma il cuore della manifestazione sarà dal 22 al 24 settembre, con i dieci i paesi pronti a sfidarsi con le loro ricette nel Campionato del Mondo di Cous Cous, che vedrà all’opera Chef internazionali in rappresentanza di Angola, Costa d’Avorio, Francia, Israele, Italia, Marocco, Palestina, Stati Uniti e Tunisia.
Sarà la chef Elsa Viana, importante ambasciatrice della cucina angolana nel mondo, a tenere alto il nome dell’Angola, mentre la chef Abibata Konate, più nota come Mamma Africa per il suo impegno a favore degli immigrati e delle popolazioni del Burkina Faso, rappresenterà la Costa d’Avorio. La Francia gareggerà con la coppia di chef Mohammed (Momo) e Selma Herbi del ristorante Le Grain de Folie a Bailleul, nel cuore della campagna fiamminga francese al confine con il Belgio. Lo chef italo palestinese Shady Hasbun, del ristorante “Le rotte ghiotte” di Arezzo, farà da collante tra culture gastronomiche e socio-politiche diverse, rappresentando coi suoi piatti Israele, Marocco e Palestina. Maremme Cisse, chef del ristorante Ginger People&Food, nel cuore di Agrigento, porterà i colori del Senegal, mentre per la Tunisia saranno in gara gli chef Bilel Ouechtati e Aymen Boughanmi. In campo per gli Stati Uniti un cosmopolita per vocazione: il noto chef Marc Murphy, titolare dei Benchmark Restaurants di New York, celebrità televisiva in diversi show culinari e giudice nella trasmissione Chopped della rete Food Network. Il nostro paese sarà invece difeso dallo chef locale Peppe Alongi, del ristorante La Cambusa di San Vito lo Capo.
A giudicarli due giurie: una tecnica, costituita da giornalisti italiani ed internazionali, presieduta da Joe Bastianich, partner e fondatore di Eataly Usa ma più conosciuto come uno dei giudici di Masterchef Italia; una popolare, formata da normali visitatori della manifestazione. Come sempre non mancheranno i cooking show, dove si potranno degustare i cuscus preparati da Sonia Peronaci, cuoca, scrittrice, presentatrice e blogger fondatrice del sito gastronomico ‘Giallo Zafferano’; Claudio Sadler, chef “due stelle Michelin”, Filippo La Mantia, che si definisce «oste e cuoco»; Sergio Barzetti, “maestro di cucina” nella trasmissione Rai la Prova del cuoco, che ama definirsi un «cuciniere esperto». Con loro Giorgio Barchesi, in arte Giorgione, titolare del ristorante Giorgione Alla Via di Mezzo a Montefalco (Pg) e volto noto di ‘Giorgione – Orto e cucina’, in onda su il Gambero Rosso Channel.
Ma Cous cous fest significa anche fare degustazioni per strada, a prezzi per tutte le tasche. Come nelle Case del cuscus, tradizionali punti di degustazione dove si potranno assaggiare oltre 40 ricette a base di sapori mediterranei in salsa afro-mediorientale di questo piatto, sia nelle sue varianti tradizionali che attraverso le ricette da tutto il mondo. Oltre ad una versione del cuscus senza glutine, si potranno degustare altri piatti della cucina trapanese, come le ‘frascatole’, dette il cuscus povero, le ‘busiate’, maccheroni fatti attorcigliando la pasta su un ferro da calza, il ‘taboule’ (o tabulé), tipica pietanza a base di cuscus, verdure varie e pesce/crostacei che si consuma a freddo. Se i più piccoli potranno apprendere i rudimenti della cucina con la nota food blogger Chiara Maci, nell’Expo village non ci sarà che da sbizzarrirsi nello scegliere oggetti d’artigianato e prodotti d’eccellenza del territorio da acquistare. Non mancherà l’intrattenimento musicale, con dieci concerti e spettacoli serali dove si alterneranno sul palco Jarabe De Palo, Levante, Nino Frassica & Los Plaggers band, Mario Venuti, Niccolò Fabi, Fabrizio Moro, Samuel, Francesco Gabbani, Joe Bastianich Project, dee-jay Fargetta e Paolo Migone. Saranno dieci giorni di degustazioni, amicizia, scambi culturali e allegria, per chi sarà presente alla XX° edizione del Cous Cous fest, con il valore aggiunto della natura di uno dei posti più belli d’Italia. Perché per questo piccolo comune della provincia di Trapani con meno di 5 mila abitanti, questa festa di musica, gusto, pace e integrazione, rappresenta ormai la punta di diamante di una stagione turistica che negli ultimi anni ha visto una continua crescita delle presenze, italiane e straniere, arrivando a toccare oltre 135 mila soggiorni nel 2016.
Premiato ancora una volta per il suo mare con le ‘cinque vele’ della campagna Goletta Verde di Legambiente, San Vito Lo Capo rimane uno dei luoghi incantati della costa siciliana occidentale. Ma se da una parte ad attrarre i turisti da tutto il mondo contribuisce il fascino di questo posto magico, accanto alla riserva naturale dello Zingaro, con un mare cristallino dalle sfumature blu e turchese, a invogliare la scelta del luogo è anche la clemenza del tempo. Perché qui, rispetto a molte altre importanti località turistiche italiane, la “stagione vacanziera” dura ben oltre gli otto mesi l’anno e non c’è da meravigliarsi nel vedere un continuo flusso turistico anche nei mesi autunnali o invernali. Un dato confermato dal confronto 2016/2015, che ha rilevato un +126% di turisti stranieri a gennaio, +155% a febbraio e +256% a novembre. Gli italiani invece, seppure interessati a gennaio (+130%) e novembre (+37%), per godersi un periodo di riposo in tranquillità per riprendersi dallo stress della vita quotidiana, hanno puntato principalmente sul mese di marzo (+405%).
Situato sull’omonimo promontorio, rinnomato per i suoi tre chilometri di spiaggia dalla sabbia dorata considerata tra le più belle d’Italia, San Vito Lo Capo si trova a circa 90 km dall’aeroporto di Palermo e a 60 da quello di Trapani. Raggiungibile sia in taxi, che con bus di linea o servizio transfer, si presenta come un paese ricco di storia, connubio di culture, religioni e civiltà diverse che si sono contaminate vicendevolmente nei secoli. L’edizione di quest’anno sarà patrocinata dal World Food Programme Italia, la più grande organizzazione umanitaria impegnata nella lotta alla fame nel mondo e finanziata al 100% su base volontaria. Filippo La Mantia preparerà un “cuscus solidale”, il cui ricavato sarà devoluto ai bambini più bisognosi nel mondo. Per info e programma: http://www.couscousfest.it/
Cuscus alla trapanese, un piatto per tutte le stagioni
Nel nostro quotidiano viaggio nell’enogastronomia, sono poche le persone che non hanno mai assaggiato il cuscus, tipico piatto berbero originario dell’Africa mediterranea, che con le conquiste arabe dal VII al X secolo e i flussi migratori più recenti, fu esportato anche in altri posti come Spagna, Francia e Belgio. In Italia il cuscus si usa in particolare nella Sardegna sudoccidentale con il nome di kaskà (si pronuncia cashcà), ma è nel trapanese che il ‘cùscusu’, come si chiama qui in dialetto, è diventato quasi un oggetto di culto. Piatto tipico della cucina locale, viene inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali siciliani riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come la Cassata siciliana o la Bottarga.
Durante un viaggio in Tunisia nel 2004, ebbi la fortuna di conoscere importanti chef come Fhati Snoussi, Rafik Tlatli, Ramzi Ellafy, Nabiha Djaiet e di assaggiare i loro piatti, spesso molto diversificati nella composizione e nella sostanza. Però sicuramente diversi dal cuscus alla trapanese, mangiato a Marsala con un amico di lì. Perché, come mi hanno spiegato, a differenza di quello magrebino questo viene fatto con un brodo filtrato di zuppa di pesce misto, preparato in una la cassaruola detta ‘ghiotta’. Per gli ingredienti, se la tradizione lo vuole a base di semola grossolana di grano duro cotti a vapore, oggi c’è anche l’usanza di prepararlo con cereali diversi, come orzo, miglio, sorgo, riso o mais. Il procedimento però non cambia e la preparazione richiede molta pazienza e abilità manuale. Si comincia con la cosiddetta “incocciatura” nella ‘mafaradda’, un contenitore in terracotta smaltata bassa e larga, dove si mescola la semola aggiungendo lentamente poca acqua e un pizzico di sale, fino ad amalgamarla. Poi, con leggeri movimenti rotatori delle dita, si formano piccolissime palline di semola. Dopo la setacciatura, per togliere la farina residua e selezionare i grumi di giuste dimensioni, si lascia ad asciugare al sole. Messo di nuovo nella mafaradda per essere condito con cipolla grattuggiata, olio, sale e pepe, viene poi versato nella ‘pignata’ o ‘couscoussiera’, un contenitore di terracotta smaltata simile a uno scolapasta, dopo che il fondo bucherellato è stato foderato con fettine di cipolla o foglie di alloro. Questa va poi inserita in una pentola di dimensioni simili, riempita per metà di acqua a cui si aggiungeranno delle gocce d’olio che regolerà il flusso di vapore.
Passo successivo, per impedire la fuoriuscita esterna del vapore, sigillare la giunzione tra i due contenitori con la ‘cuddura’, un impasto molle fatta di acqua e farina. Questo fluirà solo nella ‘pignata’, ma è importante fare dei buchi nel cuscus per facilitarne la cottura. Quando l’acqua arriva a bollire, si abbassa la fiamma e si copre la cuscussiera. Deve cuocere a per circa due ore, mescolandolo ogni 1/150 minuti circa, rifacendo sempre i buchi. Una volta cotto, il cuscus si versa in altro recipiente in terracotta smaltata a forma di tronco di cono, detto ‘lemmo’. Un oggetto simile a quei grossi contenitori smaltati bianchi e verdi, che si usano ancora per esporre le olive in vendita nei negozi o nei banchi dei mercati rionali. In alternativa, si può usare anche la mafaradda o un altro contenitore utile allo scopo. Una volta condito con parte del brodo della zuppa di pesce filtrato, si lascia riposare coperto per circa un‘ora e mezza. Prima si essere servito, il piatto va completato con l’aggiunta di pesce spinato e adornato a piacimento, un po’ come la valenziana ‘Paella de marisco’, con gamberi, calamari, astice, frutti di mare, fettine di pesce spada o tonno. Sul tutto, una spolverata di prezzemolo e qualche fettina di limone per completare i sapori. Assieme al piatto di portata si deve mettere in tavola anche il resto del brodo di pesce filtrato, che verrà utilizzato a piacimento dai commensali.
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Cus Cus Fest