Di questi tempi potrebbe sembrare cosa strana parlare di viaggi e incontri con persone. Ma l’articolo è stato scritto ben prima che l’Italia fosse messa in “quarantena”. Ho aspettato tanto a pubblicarlo, perché – come a tanti italiani – questa reclusione forzata per la pandemia da coronavirus, mi aveva fatto abbassare le braccia. Ma invece è importante, proprio in questo periodo, ricordare che dopo la notte viene sempre il giorno e che ritorneremo ad essere probabilmente, molto meglio di quelli di prima.
Per un cittadino romano, la “Linea Gotica” che separa idealmente il centro sud dal nord Italia, è in qualche maniera uno spartiacque: talvolta culturale, ma molto più spesso meteorologico. Mi trovo a una ventina di chilometri da Ravenna e vado a Cervia per visitare il celeberrimo Musa, quel museo del sale che ha tanto da raccontare sulla storia di quei luoghi. La giornata è velata da una fitta foschia che fa filtrare un pallido sole. Tutt’attorno il paesaggio, piatto ed evanescente, mi accompagna lungo la via Romea. Sulla sinistra, in lontananza, compaiono le saline: specchi d’acqua appannati dalla nebbia che sale, tanto da sembrare a prima vista, come le risaie del vercellese o della lomellina. Un’area umida di oltre 800 ettari della Bassa Padana, che occupa circa il 30% del territorio di questo comune. Dal 1979 fa parte della ‘Riserva naturale Salina di Cervia per il ripopolamento animale, e dal 1988 è diventata la stazione sud del Parco regionale del Delta del Po.
Le saline di Cervia
Anche se spesso si crede che le saline siano tutte molto simili, quelle di Cervia sono diverse da quelle di Trapani, Marsala, Molentargius o Margherita di Savoia. Si trovano a poco meno di 2 km dall’Adriatico, ma ai tempi dei romani erano molto più vicine al mare, quasi in corrispondenza alla Ss n.16. Ma se c’è una caratteristica che le rende diverse, a parte la qualità del sale, è che sono le più a nord del Paese e le acque sono fredde in gran parte dell’anno. Lo scambio tra le saline e il mare avviene grazie a un canale di 16 km che attraversa la città, iniziando dal porto. Qualche incertezza nella loro datazione, ma se fino a ieri si riteneva potessero risalire al X secolo d.C., dopo i risultati della prima campagna di scavi del progetto ‘Cervia Vecchia-Ficocle’, è cambiato l’orientamento. Si è trattato di una piccola ma importante campagna di ricerca a cui, oltre al Comune di Cervia, Musa e ‘Civiltà Salinara’, hanno collaborato esperti dell’Università di Bologna e Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.
Dagli scavi di Ficocle, l’antica Cervia, è emersa l’ipotesi che le origini potrebbero essere addirittura greche. Tra le migliaia di reperti recuperati, sono state trovate anfore, mosaici, oggetti comuni, ancore di navi e molto altro ancora, rimasti in mostra nel Musa fino allo scorso mese di febbraio, quando ancora i musei non erano off limits. Merce preziosa e in molti casi indicatore della ricchezza di una città, il sale è stato anche chiamato per questo l’oro bianco. Fu usato come merce di scambio nei baratti e, con il termine ‘salario’, fu definita la parte in natura della retribuzione dei soldati romani e dei funzionari pubblici. Sale e soldi, un connubio che utilizzarono vilmente tanti secoli dopo, gli occupanti nazi-fascisti, per pagare spie e delatori che denunciavano partigiani, ebrei ed antifascisti, come ricorda un appeso in bella mostra nel Museo.
La fine della produzione artigianale delle saline
Con il passaggio ai Monopli di Stato nel 1959, le saline persero la vocazione artigianale per passare alla produzione industriale meccanizzata, detta “alla francese”, con un’unica raccolta annuale. Al posto delle 149 “salinette” originarie, furono realizzate 50 grosse vasche di evaporazione e raccolta, portando la produzione alle oltre 200 tonnellate di “sale dolce” a stagione. Sì, avete capito bene: perché anche se può sembrare un controsenso, per diversi motivi il sale di Cervia è detto “dolce”. Non perché non sia cloruro di sodio, bensì per la temperatura delle acque, che gli permette di abbattere la quantità dei cosiddetti “sali amari”, come cloruro di magnesio, o i solfati di calcio, magnesio o potassio. Sale “dolce” e dal colore leggermente rosato, dovuto alla presenza nelle acque delle vasche, di un’alga rossa, la Dunaliella salina. Un’alga benefica, ricca di betacarotene e licopene, molto usata anche nella cosmesi.
L’antica Salina Camillone, una storia che rivive grazie ai vecchi salinari
Cervia è detta la città del sale, e se le saline sono l’identità di queste terre, la Salina Camillone ne è oggi la memoria storica. È una delle vecchie “salinette”, la n. 89. Le sue 10 vasche sono quanto rimane dei tempi andati, quando il lavoro era fatto solo dall’uomo, con l’uso di antichi attrezzi in legno come il ghévar (gavaro), una sorta di rastrello di legno senza denti, usato per smuovere, livellare e raccogliere il sale nei bacini. Oppure il forabus (forabuchi), un bastone ricurvo e appuntito ad una estremità, usato per forare gli argini per far defluire l’acqua tra i vari bacini. Ma pure il cariòl (carriolo), che come dice il nome, serviva per trasportare il sale dai bacini all’aia, per farlo asciugare. Tutti strumenti in mostra nelle sale del Musa assieme a molti altri utensili. Nella Salina Camillone si possono raccogliere dai 500 ai 2mila quintali di questo sale prezioso a stagione, il quale per le sue caratteristiche, è un presidio Slow Food dal 2004. Come la salina, anche il Museo del Sale, è gestita dai volontari del ‘Gruppo culturale Civiltà Salinara’; vecchi salinari raccolti in un’associazione nata nel 1990 da un’idea di Agostino Finchi, soprannominato e’ Murin, salinaro e cultore della storia di Cervia, morto nel 1999.
Agostino mise i piedi in salina a sei anni, col padre e la madre. Era il 1913 e lì ha passato gran parte della sua vita. A lui si deve anche la fondazione del Museo del Sale (a lui intitolato), come sua è anche l’idea delle visite didattiche guidate alla salina. In tempi normali, da giugno a settembre, il giovedì e la domenica alle 17 arrivano da tutto il mondo migliaia di visitatori ogni anno. Il ciclo di produzione va da inizio aprile a fine agosto, ma il periodo migliore per la visita è tra luglio e agosto, quando rivive il procedimento dell’estrazione artigianale del sale, secondo il cosiddetto “metodo cervese”. Un metodo antico tramandato di padre in figlio, che vede i “cavatori” raccogliere a rotazione ogni 5 giorni, il sale che affiora per lasciarlo ad asciugare un mese, prima di essere trasportarlo in magazzino durante l’armessa de sel (la rimessa del sale). Questo avveniva circa ai primi di ottobre e il sale veniva trasportato sulle ‘burchielle’ trainate lungo gli argini del canale.
A tal proposito, per chi fosse interessato, durante la XXIV edizione di ‘ Sapore di Sale’ dal 3 al 6 settembre 2020 (semmai fosse confermata), presso l’area dei Magazzini del Sale si potrà assistere all’antica tradizione del trasporto del sale, con incontri culturali, mostre, mercati, degustazioni e spettacoli.
Il Museo del sale di Cervia
Se è la storia del nostro passato a gettare le basi del nostro futuro, quale posto migliore di un museo come il ‘Musa’, per capire quanto abbia inciso la cultura del sale sulla gente di questi luoghi. Gente come Annalisa Canali, direttrice/curatrice del museo, che mi aspetta all’ingresso dell’ex magazzino lungo il canale. Un pezzo di storia come un po’ tutto lì attorno. Come i lunghi edifici in mattoni lungo la Darsena o la Torre di San Michele. Manufatti realizzati attorno al 1691 quando fu papa Innocenzo XI, come ricorda lo stemma marmoreo esposto nel museo e che in origine si trovava sulla facciata del magazzino.
Appena entrati non si può fare a meno di notare i sacchetti di sale e la piccola stipa a fianco del bancone, dietro al quale c’è Oscar Turroni, salinaro in pensione e presidente dell’Associazione Civiltà salinara di Cervia, che tra l’altro gestisce anche le prenotazioni per le visite in salina e al museo.
Custode e guardiano del loro patrimonio culturale, il Musa conserva oggetti di uso comune ai salinari, macchine e apparecchiature, la riproduzione di ambienti di lavoro, il plastico dell’area dei magazzini, o la garitta con il finanziere che controllava le operazioni di pesa, stando attento che la “corbella” (circa 20 kg di sale), fosse ben piena. Ci sono documenti, targhe dei Monopoli di Stato, foto storiche sul lavoro e la vita dei salinari, ma principalmente il sale. Lo trovi anche in forma d’opera d’arte come il piccolo Presepe esposto, o nelle vetrine in bella mostra, assieme a quello noto di altri luoghi del mondo, come quello rosa dell’Himalaya.
Ma a dominare la scena nella terza delle tre sale, una burchiella cervese, imbarcazione in lamiera d’acciaio con il fondo piatto, per il trasporto del sale. Quella esposta nel Musa ha due prue, perché nei canali non c’era spazio per invertire la rotta. Lunga oltre 12 m e larga 2, con altezza 1,12 m (0,73 a pieno carico), poteva trasportare circa 10 tonnellate e a bordo c’era sempre un finanziere per controllare le operazioni di carico e scarico.
Tra i materiali esposti, recuperati negli scavi di Ficocle nell’area della chiesa della Madonna del Pino, un’anfora da trasporto di tipo “Africano” databile tra il V e VI secolo. Aperta trasversalmente sulla pancia, aveva contenuto i resti di un bambino. Si tratta di una cosiddetta “Tomba in anfora” e in età tardoantica ci fu un classico riutilizzo di questi contenitori.
Lungo il canale, oltre ai pensionati intenti a pescare piccole alici, ci sono ottimi localini per mangiare a prezzi contenuti. Come il ristorante La Pantofla, presso Il Circolo Pescatori di Cervia, accanto al mercato del pesce ora in ristrutturazione, o La Cambusa, poco più avanti verso il mare. Quando sarà possibile, ci ritorneremo volentieri.
Info: www.musa.comunecervia.it; www.salinadicervia.it; www.cerviasaporedisale.it
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Maurizio Ceccaioni – Archivio Musa