Agli inizi degli anni 80 del 1900, conclusa la guerra civile per l’indipendenza, l’Algeria balzò alla ribalta come culla del novello turismo sahariano, a cui gli italiani fornirono un contributo fondamentale. Con appena un’ora e mezzo di volo da Roma, e ad un costo di circa un milione di lire per 8 – 10 giorni, si poteva scoprire un altro mondo: la costa meridionale dell’Africa, con una delle capitali più intriganti del Magreb, i profumi ed i colori esotici, un islam colto e tollerante (si potevano bere alcolici, retaggio francese), gli opulenti insediamenti romani perfettamente conservati senza sovrastrutture, i mille aspetti e le infinite malie del deserto più esteso del mondo, con le carovane di dromedari, il fascino dei Tuareg – gli uomini blu dal volto nascosto -, le discese infinite di dune e i castelli di roccia modellati dall’erosione, pitture e incisioni rupestri preistoriche a formare un immane museo all’aria aperta, i silenzi ed i vuoti totali, le notti romantiche a sorseggiare il the davanti al falò e sotto una magica volta stellata.
Emozioni e sensazioni assolute, totalizzanti, che soltanto chi le ha vissute può capire. E nacquero alcune generazioni di sahariani, turisti particolari colti, sensibili e curiosi, perché il deserto non ammette le mezze misure: o lo si detesta (troppo caldo e freddo, polvere, sete, lunghi percorsi in fuoripista, mancanza di igiene e di privacy, dormire per terra e mangiare quel che c’è), o lo si ama completamente e per sempre. Poi, agli inizi degli anni 90, una guerra civile intestina – complicata da terrorismo religioso e ideologico internazionale – e mai risolta completamente, ha chiuso al turismo le frontiere dell’Algeria (e di altre nazioni magrebine), impedendo la nascita di nuove generazioni di sahariani e costringendo gli appassionati di deserti a rivolgersi altrove.
Oggi non si capisce ancora bene come sia la situazione reale dal punto di vista della sicurezza : la Farnesina sconsiglia caldamente ogni tipo di viaggio (esclusa la capitale), ma alcuni operatori organizzano gruppi, qualcuno solo a Nord, altri anche a Sud nella regione di Dijanet (ma non in quella di Tamanrasset); e poi quello che vale oggi, può non valere domani. Insomma situazione decisamente fluida e variabile, un vero caos. Per chiarire le idee anche ai nostri lettori, abbiamo chiesto al nostro affidabile collaboratore Renato Malaman, giornalista esperto di turismo e viaggiatore di lungo corso anche nel Magreb, di documentarci con obiettività sulla sicurezza interna al momento, sulla scorta di un suo recentissimo tour nel paese. (gb)
L’Algeria oggi rappresenta un buco nero nella mappa del Mediterraneo. Un luogo “non luogo”, capace di respinge e allo stesso tempo attirare. Che mette paura, per le evidenti ripercussioni psicologiche causate da recenti fatti di cronaca (sequestri, uccisione di ostaggi), ma al contempo genera curiosità per effetto della storia straordinaria che ha alle spalle, e per le bellezze assolute offerte agli occhi dei suoi visitatori. L’Algeria, nazione più grande dell’Africa, è oggi tanti paesi in uno, dove viaggiare risulta indubbiamente complicato (i turisti, per la loro incolumità, vengono costantemente scortati – seppur in modo discreto – da un’unità della Polizia, che fa staffetta a ogni confine di provincia), ma dove si possono trovare così tanti spunti di interesse che della “blindatura” ci si dimentica presto. Anche perché i poliziotti al seguito sanno come rendersi gradevoli e rivelarsi alla lunga maestri di ospitalità.
Di una cosa ci si accorge subito sbarcando ad Algeri dopo un’ora e mezza di volo da Roma: che la presenza coloniale della Francia, durata ben 132 anni – dal 1830 al 1962 – ha lasciato segni permanenti nell’architettura urbana, nelle abitudini, nella vulgata e in un certo senso anche nei modi di vivere. Partiamo proprio dalla guerra di Indipendenza (1954-62), una ferita aperta e mai rimarginata. Otto anni di sangue, capaci di lasciare tracce anche nella coscienza dei francesi, per il comportamento poco onorevole tenuto dalle proprie truppe e dai propri governanti nel tentativo, rivelatosi poi inutile, di reprimere l’anelito di libertà espresso dal popolo algerino. Quegli anni spiegano l’origine di tante tensioni che ancora oggi rendono l’Algeria un paese irrequieto, incerto nel cammino verso una democrazia vera. Diciamo tutto questo in premessa per ribadire però come questo paese sia uno dei più belli del Mediterraneo, e in ogni caso merita di essere visitato. Anche chiudendo un occhio sui tanti controlli – per lo più preventivi – a cui si viene sottoposti strada facendo. Tutto sommato utili a garantire la propria sicurezza.
L’Algeria è stata per secoli il granaio di Roma. Nell’età imperiale vi sono sorte città che tuttora lasciano a bocca aperta per la loro bellezza, e la ricchezza dei reperti ritrovati. Città di estensioni ragguardevoli, con tanto di archi, anfiteatri e terme. L’itinerario classico parte da Costantina, sorprendente per gli eleganti palazzi e i ponti sospesi su una spettacolare fenditura naturale, un vero canyon urbano. L’antipasto di questa romanità solenne d’Algeria lo offre Tiddis , sulle pareti di una montagna, dove risulta ancora riconoscibile persino un bordello dell’epoca. A Setif sono conservati invece alcuni dei mosaici più grandi e più belli mai realizzati nelle regioni dell’Impero, primo fra tutti quello dedicato al Trionfo di Bacco. Nella vicina Djemila, la romana Curculum fondata dall’imperatore Nerva in un gradevole contesto bucolico tra le colline, svettano l’arco di trionfo, l’anfiteatro, le terme e il foro. Ma il sito più clamoroso per fascino e maestosità risulta essere Timgad, gioiello archelogico inserito in un contesto naturale di grande bellezza con colline e monti a far da scenario. Una città romana perfettamente conservata con il suo castrum, le mura con le quattro porte, il foro con i templi, le terme, le fontane… Insomma, una piccola Roma in terra africana.
Proseguendo verso sud i colpi di scena non mancano. Vedi lo spettacolare canyon dell’Abiod, una gola dove la Resistenza algerina tese molti agguati ai francesi. Il canyon offre la vista del villaggio abbandonato di Ghoufi, le cui abitazioni risultano scavate nella roccia. Dopo aver attraversato una zona di biancheggianti saline si raggiunge l’oasi di El Oued, antica capitale del Souf con le sue case bianche e le rose del deserto. Quindi Touggourt, con le singolari tombe dei re e un’oasi con oltre un milione di palme. Nella vicina Tamacine si trova una famosa moschea. Sempre a Touggourt, nella cui piazza del mercato c’è un monumento che ricorda la prima traversata transahariana: quella realizzata nel 1922 da André Citroen con un mezzo a ruote e cingoli.
Meta agognata di questo itinerario verso il centro dell’Algeria è Ghandaia, la biancoceleste capitale della Pentapoli del M’zab, Patrimonio dell’Umanità Unesco la cui oasi sopravvive grazie a un ingegnoso sistema di distribuzione dell’acqua con 270.000 pozzi profondi 60 metri, dai quali viene sollevata acqua 24 ore al giorno con l’opera di muli, asini e cammelli. La Pentapoli, abitata da fiere popolazioni berbere sottoposte ad un pressante processo di arabizzazione (ecco il motivo di tante tensioni in quest’area), si presenta come un piccolo mondo di tradizioni antiche, dove le donne sono avvolte da un telo bianco che lascia scoperto solo un occhio. La visita di Melika, Beni Isguem, Bou Noura e El Atteuf (famosa quest’ultima perché il grande architetto Le Corbuisier vi trasse fonte di ispirazioni per i suoi rivoluzionari principi dell’architettura, rispettosi della natura e delle esigenze abitative) offrono suggestioni uniche, che da sole valgono il viaggio. Le città della Pentapoli hanno oltre mille anni e furono fondate dagli Ibaditi, un ramo dell’Islam moderato.
Infine Algeri, la città bianca per il colore predominante dei suoi edifici, la leggendaria Algeri con la sua baia considerata la più bella del Mediterraneo, e la sua misteriosa casbah dove si combattè la famosa battaglia di Algeri, capace di portare all’indipendenza del paese e che il regista Gillo Pontecorvo raccontò in un memorabile film del 1966. Algeri oggi conserva ancora parte del suo fascino francese, soprattutto nella parte bassa sul lungomare, dove risiedevano i colonialisti. Il monumento dedicato all’indipendenza ospita un museo che va assolutamente visitato per capire di più della storia recente di questo paese straordinario di 40 milioni di abitanti, ancora in cerca di un suo equilibrio politico.
I viaggiatori più arditi, poi, non manchino l’escursione nel profondo sud, ovvero nel deserto dell’Hoggar e del Tassili, dove si trovano i paesaggi più emozionanti del Sahara. L’Algeria, va ribadito, rappresenta un paese che non può mancare nel taccuino dei ricordi di ogni viaggiatore avventuroso ed esperto. Troppo importante e fondamentale per capire quel variegato mosaico che è l’Africa mediterranea.
Info: www.viaggiaresicuri.it
Testo Renato Malaman – Foto Giulio Badini