Un dilemma, ancora irrisolto, è quello di dare una definizione alle manifestazioni pittoriche o scultoree che ci ha lasciato la “cosiddetta” Preistoria. Ancora non si sa quando l’Uomo ha creato un’opera con l’intenzione di fare “Arte”. Certamente l’azione di realizzare un qualcosa che potesse esprimere uno stato d’animo o un particolare episodio della vita vissuta, in molti casi sfiora, come risultato, il concetto di Arte. Tra le attività umane ve ne sono alcune che operano come mezzo di comunicazione tra gli uomini: una di queste è certamente la pittura. Il periodo definito come Preistoria è comunemente databile all’incirca attorno ad un milione di anni e termina con l’avvento della scrittura quando, partendo da rappresentazioni antiche di tipo squisitamente naturalistico, si è arrivati a vere e proprie schematizzazioni che vanno nella direzione di una sintetizzazione dei concetti che quindi diventano semplici segni da cui… gli alfabeti. Tuttavia nella Preistoria si assiste anche (e direi specialmente) alla ricerca di una rappresentazione di tipo magico e apotropaico. Soltanto più tardi, in certi casi, l’autore sembra dedicarsi alla creazione di forme di tipo puramente decorativo, a partire dal Neolitico tardo. Il cervello dell’Uomo, ovunque lui sia nel mondo, è composto sempre dagli stessi collegamenti neuronici di base, ed è per questo che, in diverse parti, in continenti anche lontani, le riproduzioni simboliche sono pressoché identiche. Un caso tipico è la forma a spirale che compare ovunque. Ovviamente a queste si aggiungono anche elementi tipici dei singoli luoghi di appartenenza, come giraffe in Africa, guanachi in Sud America o mammut in Asia e in America Settentrionale. Fra i disegni che più rappresentano la volontà di esprimere il proprio “ego” è però quello della rappresentazione della mano.
Ancora oggi, pittori di Arte Moderna come l’artista Barbara Truzzi, quasi inconsapevolmente riproducono le loro mani, né più né meno come (forse per motivi propiziatori) avevano fatto 25.000 anni fa nostri progenitori nella Grotta di Pech Merle, nel cuore dei Pirenei. Anche nel Borneo Indonesiano, nella Grotta di Gua Garua, vi sono dipinte sei mani scoperte tra il 1977 e 1978. Ugualmente nel Sahara troviamo disegni/incisioni di mani ed anche di piedi (come nello Ouadi Djaret – Algeria). Questa tendenza a volersi rappresentare la si ritrova pure in America come nel Sud Ovest degli Stati Uniti, ad esempio nel Chaco Canyon. Infatti sulle pareti di arenaria vi è qualche mano dipinta o nella Newspaper Rock, nello Utah, con mani e piedi che raccontano antiche storie degli Anasazi. E ancora in California, nelle Church Creek Caves vicino a Monterey, sono disegnate una decina di mani utilizzando dei pigmenti ricavati non da rocce, bensì da microscopiche diatomee marine. Occorre, però, andare in Argentina, non lontano dalla Terra del Fuoco, per scoprire alcuni luoghi in cui sono state raffigurate centinaia di mani dipinte. Il sito più famoso è quello situato nel Canyon del Rio Pinturas, a 100 km dalla mitica Ruta 40, nella provincia di Santa Cruz, in piena Patagonia. Il luogo, estremamente isolato è, ancora oggi, intensamente suggestivo.
Cenni di geologia del sito. La gola del Rio Pinturas si è formata nel Pleistocene, verso la fine dell’ultimo glaciale e si è aperta la strada attraverso formazioni di ignimbriti che coprono un esteso plateau di 36.000 km2. e che poggiano su formazioni dell’Era Primaria (Paleozoico). Queste rocce eruttive (lapilli, ceneri, lave) sono il risultato di un’intensa attività vulcanica esplosiva del Periodo Giurassico provocata dallo smembramento del Supercontinente Gondwana, con la conseguente separazione dell’Africa dall’America del Sud. Il fiume, che evidentemente si è incuneato lungo un sistema di faglie di 150 km di lunghezza, si è scavato il letto fino a 250 metri di profondità. Nella parete rocciosa si aprono delle cavità, alte sul fiume. La maggiore e più importante è lunga 26 metri, alta 10 e larga 15 ed è a 88 metri dal fondo del corso d’acqua. Non è certo molto rilevante come caverna (impostata su una frattura verticale), ma attorno ad essa, nel lungo sottoroccia che conduce all’ingresso, le pareti per almeno 60 metri sono letteralmente ricoperte da rappresentazioni di mani e non solo. L’età delle pitture è stata datata a partire dai 10.000 anni b.p.
La scoperta del sito. Fu Padre Alberto Maria de Agostini che, per primo, esplorò questa zona nel 1941. Nel 1950 altri studi furono condotti dall’archeologo Milciades Vignati e poi ne seguirono molti altri (come Carlos J. Gradin ), ma solo nel 1964 venne effettuato uno studio completo del sito. Gli archeologi hanno fornito una datazione alle opere pittoriche analizzando i livelli delle stratificazioni antropiche riscontrate nella grotta. Infatti la popolazione che formò lo strato più antico, ricco di resti di focolari, dipinse sulle pareti della caverna immagini di guanachi usando colori ocra. Tali immagini sono state datate a circa 9.300 anni da oggi. Un secondo livello, creatosi su sedimenti portati dal vento, risale a 7.000 anni fa. Qui sulla parete si trovano mani dipinte di nero, realizzate da nuove popolazioni. Un terzo strato, datato poco meno di 2.000 anni da oggi, è associato a disegni astratti di colore rosso. L’intera sequenza cronologica è stata stabilita grazie all’analisi del C14, effettuata sui carboni dei focolari e sui resti dei pigmenti usati.
Analisi delle pitture rupestri. Esistono due sistemi per creare l’impronta di una mano: o soffiando il pigmento sulla mano stessa dopo averla appoggiata alla roccia, o intingendola di pigmento per poi premerla contro una superficie. Nel nostro caso la maggioranza delle mani è stata ottenuta appoggiandola alla roccia e soffiandoci sopra, con la bocca, il pigmento polverizzato (= disegno in negativo). Le mani, in prevalenza sinistre,. complessivamente sono 826. Nell’impasto del pigmento è presente del gesso in cristallini che ha fatto da fissativo, favorendo la durata nel tempo dell’opera. Soltanto 31 sono destre (forse disegnate da individui mancini ?) e la maggior parte sembrano di tipo femminile o di bambini. Una sola mano è rappresentata con 6 dita. Questa anomalia anatomica ha fatto pensare che potesse essere dipesa da accoppiamenti fra consanguinei avvenuti nell’ambito di una stessa famiglia. Le pitture più antiche furono realizzate da gruppi di cacciatori-raccoglitori e sono le più vecchie dell’Argentina. Le figure, del primo livello, rappresentano scene di caccia ai guanachi di colore rosso ocra. Le figure corrispondenti al secondo livello (7.000 – 3.300 b.p.) sono immagini statiche di guanachi e impronte negative di mani bianche. L’ultima fase, iniziata 1.300 anni fa, si caratterizza per disegni di animali e di uomini realizzati in stile schematico, con colore rosso intenso. Compaiono anche impronte di nandù o chocre (piccolo struzzo sudamericano). L’utilizzo di materiale ricavato da questo uccello, a parte la carne, sembra sia stato scelto per il grasso, l’urina ecc., da usarsi come legante nella preparazione dei pigmenti L’uovo in questo caso non veniva invece usato, come al contrario accadeva con quelle di struzzo tra i pittori del Sahara.
Le antiche popolazioni della Patagonia continentale. L’arrivo di popolazioni discese dal Nord America, di certo, erano già presenti 10.000 anni fa in Patagonia. Tra queste vi erano i Proto-Tehuelche (di cultura simile ai Mapuche ed agli Araucani). Più a Sud vi erano altre tribù che vivevano in Terra del Fuoco (Ona, ecc.). La loro religiosità si basava sulle memorie legate a vari miti e leggende, che erano patrimonio di sciamani, figure centrali delle tribù. Essi credevano in un essere superiore (Kénos), che era il creatore dell’Universo. Come tutte le popolazioni preistoriche erano molto legate alla Natura ed alle sue manifestazioni, spesso dagli effetti devastanti. La rappresentazione di guanachi aveva probabilmente una funzione propiziatrice, per dar loro la caccia. Al Castillo (Cile), in un lungo sottoroccia, vi sono numerose impronte di mani in negativo e disegni di guanachi, come alla Cueva de las Manos. Stesso stile e quindi stesse popolazioni.
Ancora mani dipinte in Argentina, l’Estancia la Maria. A 150 km da Puerto San Julian (dove Magellano trascorse l’inverno del 1520), in piena pampa si incontra il Rio La Maria che ha scavato un esteso canalone, lungo le cui pareti si aprono profondi sottoroccia con decine di pitture preistoriche di mani colorate. L’area interessata occupa almeno 22.000 ettari, su cui sono stati reperiti centinaia di manufatti in selce e di ossidiana di ottima fattura, come punte di freccia di diverse dimensioni. Le prime indagini furono condotte dall’equipe di Augusto Cardich (1961-1982), che evidenziarono almeno due settori: Maria Cajo e La Maria Quebrada. Nel 1992 l’area venne acquistata dal signor Behm, un allevatore. Questi, ben presto, iniziò a raccogliere i materiali preistorici che affioravano un po’ dappertutto e si mise a studiare quelle pitture, tanto da diventare un discreto archeologo autodidatta e, non senza fatica, riuscì ad ottenere che il sito venisse dichiarato “Luogo di importanza turistica”, ma non di importanza “culturale”! I Behm sono riusciti più volte ad evitare che le pitture venissero staccate da persone aventi come unico scopo quello di ottenere un profitto con una loro vendita all’estero.
Come nel caso della Cuevas de las Manos, le cavità si aprono in rocce di origine vulcanica (Ignimbriti), sottostanti a basalti terziari. Sono presenti anche depositi di rocce silicee, da cui quelle antiche popolazioni hanno ricavato numerosi strumenti per la caccia. Nei depositi sono state trovate numerose faune come mammiferi erbivori e carnivori, di cui molte specie sono oggi estinte. L’area ha rivelato la presenza di tredici insediamenti diversi, il cui studio ha mostrato l’utilizzo di vari minerali per la realizzazione di pigmenti, come ossidi di ferro, gesso, ecc. I colori venivano prodotti con l’utilizzo del fuoco, secondo le migliori tecniche dell’epoca. In molti casi è stata riscontrata la sovrapposizione su pitture precedenti. Gli studiosi hanno stabilito tre diversi tipi di produzioni stilistiche. Un primo tipo caratterizzato da impronte in negativo di mani di individui adulti e bambini, associate a immagini di guanachi in corsa. Un secondo a motivi astratti, con guanachi singoli, cerchi a spirale, mani in negativo di adulti e bambini in varie policromie. Un terzo gruppo costituito da motivi schematici, geometrici, mani di adulti e l’utilizzo di colorazioni chiare. Sono presenti anche mani realizzate in “positivo”.
La presenza dell’uomo in questo canalone si estende dal Pleistocene finale all’Olocene. A partire da circa 11.000 anni b.p. le popolazioni che si sono avvicendate in questa lontana regione della Patagonia argentina furono, secondo gli antropologi, i Nibelonce, i Tollence, i Casa Predense, i Pre-Tehuelche ed i Tehuelche. L’Estancia La Maria, rappresenta un luogo di grande importanza culturale e non solo per l’Argentina. Si auspica che possa essere presto inserita nell’elenco mondiale UNESCO. In questo caso il merito andrebbe, senz’altro, alla famiglia Behm, che tanto ha fatto e continua a fare per la salvaguardia e la conoscenza di questa affascinante area archeologica. Con la Cueva de Las Manos, questi due siti riuniscono insieme la maggiore concentrazione al mondo di raffigurazioni di una folla di mani che sembrano salutarci da un lontano passato e che testimoniano come l’Uomo antico fosse arrivato nelle Americhe fino alla “Fin del Mundo”.
Testo/foto di Giuseppe Rivalta