Bruno Cazzin, cuoco padovano che da vent’anni vive a Yerevan, ci aiuta a scoprire questa terra antica e ricca di bellezze: dai monasteri costruiti in luoghi di grande suggestione, ai caravanserragli sulla Via della Seta, alle atmosfere alpine del lago Sevan. Un paese che ha voglia di futuro dopo la tragedia del genocidio. Doveva restarci soltanto 15 giorni, risiede là da quasi vent’anni! Storia d’altri tempi e decisamente singolare quella di Bruno Cazzin, cuoco padovano nativo di Vigonza che oggi vive a Yerevan, capitale dell’Armenia. Una storia che sa di sfida, capace di far pensare a certe migrazioni verso l’ignoto che caratterizzarono altre epoche (si pensi ai veneti finiti in Sud America o in Australia). Quando Cazzin, su invito di un amico, raggiunse l’Armenia, il paese aveva da pochi anni ottenuto l’indipendenza da Mosca (prima fra le 15 repubbliche ex sovietiche) ed era reduce dalla sanguinosa guerra del Nagorno Karabakh contro l’Azerbaijan.
Era un paese in ginocchio, che ancora cercava nuovi punti di riferimento nello scacchiere geopolitico dell’area. Impresa non facile in Caucaso, regione da sempre percorsa da tensioni sotterranee. Su cui ancora pesano certi spostamenti coatti di popolazioni da una regione all’altra imposti da Stalin, all’insegna del “Divide et impera”. Bruno Cazzin in quel clima difficile aprì il ristorante “Ai leoni” in Tumanyan Street, una delle vie simbolo della capitale e del nuovo corso armeno, su cui oggi si affacciano locali e negozi importanti. “Ai leoni”, grazie alla passione e alla professionalità di Cazzin, oggi è l’unico vero ristorante italiano di Yerevan, dove la cucina e la cantina sfoggiano prodotti di qualità “made in Italy”.
Perché abbiamo scelto Cazzin come Cicerone per raccontare l’Armenia? Semplice: il suo ristorante è una sorta di ambasciata-ombra del nostro paese, dove passano molti personaggi importanti della società armena attuale. Dal Karakhin II, il Catholicos (ovvero il “papa”) della chiesa armena, la prima chiesa cristiana al mondo fondata nel 302 d.C., 12 anni prima dell’Editto di Costantino e quindi della Chiesa di Roma, al console onorario d’Italia Antonio Montalto, che andò in Armenia nel 1988 per aiutare il paese a superare la fase critica del devastante terremoto che colpì il paese quell’anno. Quel Montalto che nel frattempo ha favorito la costruzione di tre ospedali e di numerose altre strutture di pubblica utilità. Si deve a lui anche la presenza delle didascalie in italiano nei pannelli turistici posti davanti ai maggiori monumenti del paese. Non solo: il ristorante di Cazzin è meta di imprenditori, uomini di cultura, turisti italiani, tutti sicuri di poter trovare da lui informazioni utili, consigli e, naturalmente, un buon pasto all’italiana. “L’Armenia in questi vent’anni ha fatto passi da gigante” osserva Cazzin “il paese gode dell’amicizia, e delle fonti energetiche, della Russia, ma ha buone relazioni anche con l’Europa, gli Stati Uniti e persino con l’Iran. Lo stile di vita degli armeni oggi guarda molto all’Occidente. Con la Turchia e l’Azerbaijian invece i rapporti sono congelati: pesano molto le vicende del passato. Dico solo che la Turchia un secolo fa si è presa due terzi dell’Armenia storica e non ha mai riconosciuto il genocidio del 1915”.
Già, il genocidio degli armeni, costato circa 1.800.000 vite umane. Una della pagine di storia del XX secolo più vergognose, perpetrato dal movimento dei Giovani Turchi per strappare terre e beni di quel popolo. Si pensi che lo stesso Monte Ararat, quello dell’Arca di Noè, montagna simbolo della nazione armena, oggi è in territorio turco. L’Armenia odierna è un paese con tanta voglia di futuro e con moltissimo da far vedere a chi decide di visitarla. Per l’ingresso basta il passaporto, non serve più il visto. Si può noleggiare un’auto e andare dove si vuole. La capitale Yerevan è una città molto dinamica, con uno standard di vita elevato rispetto al resto del paese. Il centro storico si presenta monumentale. Tra i palazzi più belli spicca il Teatro dell’Opera, la cui programmazione è sempre di alto livello. Di recente è stato aperto un museo dedicato a Charles Aznavour, il cui nome è in realtà Chahnouhr Varinag Aznavourian. Il cantautore, attore e diplomatico vive in Francia, ma è senza dubbio oggi l’armeno più famoso al mondo. Non a caso è stato chiamato lui ad aprire nel 2015 l’anno del centenario al memoriale del Genocidio di Yerevan. “Le ferite del genocidio sono stimmate nel cuore di ogni armeno. Tutti ci stiamo battendo per una memoria condivisa in modo da rendere finalmente giustizia alle vittime di quel crimine collettivo” dice la scrittrice Antonia Arslan, padovana di famiglia armena, nota per il suo libro La Masseria delle Allodole da cui i fratelli Taviani trassero ispirazione per l’omonimo film “L’Armenia turistica di oggi è soprattutto terra di grandi monasteri e di paesaggi di solenne bellezza, dove vive un popolo antico e di antica cultura, fiero della propria identità. Coltivata anche dai figli della diaspora”.
Già, i monasteri dell’Armenia, uno più bello dell’altro. Nidi d’aquila costruiti in pietra su luoghi arditissimi. Alcuni vanno nominati: Khor Virap con lo sfondo dell’Ararat; Ghegard, scavato nella nuda roccia; Novarank, incastonato fra spogli picchi in un ambiente roccioso; Tatev, raggiungibile con la funivia più lunga al mondo, costruita da un’azienda svizzera e lunga quasi 7 chilometri. Alcuni si specchiano sulle acque del grande Lago Sevan. L’Armenia si trova lungo la Via della Seta, di cui conserva imponenti caravanserragli in pietra. C’è pure un’area a 2400 metri di altezza che assomiglia a Stonehenge e cela antichi segreti astronomici. Da vedere il complesso religioso di Echmiadzin, il “vaticano” armeno. Oggi risulta visitabile anche il Nagorno Karabakh, regione abitata da armeni che Stalin assegnò all’Azerbaijan e che si è svincolata da Baku solo attraverso una sporca guerra combattuta dal 1991 al’ 94, costata 30.000 morti e un milione di profughi. Oggi lo status quo della regione è in bilico, in attesa dell’esito di un negoziato internazionale aperto anni fa. Nel frattempo però gli armeni della diaspora (ben nove milioni, contro i tre viventi oggi nel paese) hanno inviato molti aiuti, così da trasformare la regione in una sorta di Svizzera del Caucaso, dove tutto è nuovo e pulito. Un armeno americano ha finanziato la costruzione della strada di Lacin che collega il Nagorno Karabakh (ora si chiama Artsakh) con l’Armenia. Per l’ingresso le formalità sono minime.
Insomma, l’Armenia va conosciuta. Un viaggio in questo angolo di Occidente incastonato in Asia riserverà molte sorprese. Bruno Cazzin lo testimonia con la sua decisione di rimanerci a vivere. “Qui si vive bene” assicura “anche gli armeni sono bravi e devo dire che gli italiani sono gli ospiti più coccolati. Vi aspetto. Anzi, l’Armenia vi aspetta, con le sue straordinarie bellezze, i suoi grandi vini, la sua gente cordiale e ospitale”. Un’ottima guida per scoprire l’Armenia è stata realizzata da una giovane giornalista veneziana, Nadia Pasqual. Si intitola “Armenia e Nagorno Karabakh – Monasteri e montagne sulla Via della Seta” ed è edita da Polaris (360 pagine – 27 euro).
Antonia Arslan: “Il genocidio di un secolo fa, una ferita aperta”
“Le ferite del genocidio sono stimmate nel cuore di ogni armeno. Tutti ci stiamo battendo per una memoria condivisa in moda da rendere finalmente giustizia alle vittime di quel crimine collettivo”. L’auspicio viene espresso dalla scrittrice Antonia Arslan, padovana di famiglia armena, nota per il suo libro “La Masseria delle Allodole”, opera del 2004, vincitrice dei premi Campiello e Stresa, tradotta in più lingue. La stessa da cui i fratelli Taviani trassero ispirazione per l’omonimo film, che pure contribuì ad alzare il velo sulla tragedia del genocidio, costato la vita a 1.800.00 persone. “L’aspetto più grave di questa vicenda per tanti anni dimenticata dalla storia” aggiunge Antonia Arslan “è che la Turchia non ha mai riconosciuto le proprie colpe e continua a farlo. In Italia qualche anno fa in seno al Partito Democratico, senza conoscere la storia, a una corrente del partito venne dato il nome di “Giovani Turchi”. Quando facemmo presente chi erano stati un secolo fa i Giovani Turchi, ovvero gli ideatori del genocidio, il Pd con grande imbarazzo ci porse le sue scuse…”. Due parole sull’Armenia di oggi: “E’ un paese da conoscere: terra di grandi monasteri e di paesaggi di solenne bellezza, dove vive un popolo antico e di antica cultura, fiero della propria identità. Di cui ci sentiamo custodi anche noi figli della diaspora”.
Testo/Foto di Renato Malaman