“Mi sono costruito sui Colli Euganei una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti”. Così scriveva nel gennaio del 1371 Francesco Petrarca in una lettera. Ci troviamo ad Arquà Petrarca, uno dei più bei borghi storici d’Italia e sito Unesco, a pochi chilometri da Padova. Qui, fra i colli conici così somiglianti a piccoli vulcani, tra vicoli ordinati, case in pietra viva, alberi di giuggiole e tralci di vite, il poeta aretino, ormai anziano e malato, trascorse gli ultimi cinque anni della sua esistenza. Petrarca vi arrivò nel 1369, accogliendo l’invito del signore di Padova, Francesco I da Carrara, che gli donò un terreno in un villaggio tranquillo, circondato da colline tappezzate di vigneti. Qui le giornate scorrevano in compagnia del figlio e della moglie, della nipotina Eletta e della gatta. Un rifugio capace di regalare pace al poeta, il quale in questi anni alternò le cure dell’orto all’attività letteraria, trascrisse il “Canzoniere” e lavorò al “De Viribus Illustribus”, fino alla morte, che lo sorprese alla vigilia del suo compleanno, secondo la leggenda durante la lettura di Virgilio.
Negli anni tanti letterati fecero tappa ad Arquà, borgo celebrato da Alfieri a D’Annunzio, da Lord Byron a Foscolo, quest’ultimo assiduo frequentatore di questi colli. Suggestioni che attorno alla casa museo dedicata al poeta ed al suo paesaggio hanno portato anche alla nascita di un parco molto speciale, il “Parco letterario Francesco Petrarca e dei Colli Euganei”. La casa, nonostante i vistosi rifacimenti nel tempo, vale una visita: tra gli oggetti appartenuti al poeta, una sedia, un cassettone, oltre agli affreschi cinquecenteschi che raffigurano le metamorfosi di Petrarca e dell’amata Laura, un video introduttivo e pannelli esplicativi in ogni stanza, nonché il famoso ritratto icona col cappuccio rosso custodito nella sala di Venere. Fuori dalla casa, un borgo tutto da scoprire, dominato dalla piazza di fronte alla parrocchiale di Santa Maria Assunta. In questa piazza campeggia la grande tomba, oggetto di varie manomissioni e trafugamenti: persino il cranio del poeta fu rubato e sostituito con un altro. La chiesa di fronte, che accolse spesso Petrarca in preghiera, risale invece all’XI secolo.
Turismo letterario, quello che già nei secoli passati portò letterati e semplici appassionati a rendere omaggio all’autore del Canzoniere, ma non solo. Questo paesaggio, occupato 30 milioni di anni fa dal mare Adriatico, in realtà risulta speciale anche per molto altro. La natura particolare di questa terra, una morfologia legata ad una serie di eruzioni vulcaniche sottomarine, ed il clima mite sui pendii a sud dei colli, ne ha fatto una zona di buon vino, buona tavola, rifugi termali e scorci suggestivi offerti dalla natura. Un ambiente un po’ estremo, perfettamente simboleggiato nel marchio – metà sole e metà Medusa -mutuato da Le Corbousier, che caratterizza la cantina Vignalta.
“La cosa fondamentale è saper scegliere dove piantare le vigne”, spiega il patron Lucio Gomiero, 66 anni, architetto, il quale oggi vive tra i Colli e San Diego in California, dove ha esportato il radicchio rosso, realizzando la più grande coltivazione al mondo con 1.500 ettari l’anno, e dove ha imparato molto. La sua è stata infatti la prima azienda ad ottenere i Tre Bicchieri della guida Vini d’Italia del Gambero Rosso, con il Cabernet ’90 , premio poi riconquistato con vari altri vini. Soprattutto con il Gemola, rosso famoso ormai anche all’estero. Premiatissimo anche il moscato fior d’arancio passito Alpianae, medaglia d’oro quale miglior moscato al mondo al concorso enologico “Muscats du monde” a Frontignan La Peyrade in Francia.
Il titolare e fondatore ebbe un grande intuito insieme all’allora socio Franco Zanovello, mancato di recente: convertire i Colli Euganei in zona di produzione di vini di altissima qualità. Ed è riuscito in questa impresa. Vignalta, una produzione di qualità di 240mila bottiglie l’anno, oggi infatti rappresenta una delle stelle del firmamento nazionale del vino.“I Colli Euganei rappresentano un territorio frammentato in centinaia di minuscoli isolotti collinari, caratterizzati ognuno da una propria ben definita identità pedologica, floristica e vitivinicola”, spiega Gomiero. E così dal terreno vulcanico è nato il Gemola, che prende il nome da un omonimo colle dominato da un monastero, mentre l’Arquà è il vino prodotto dalle uve di un terreno calcareo bianco, sedimentario. Il Sirio invece deve la sua denominazione al nome dialettale di un’uva. Tutto il versante sud dei colli Euganei è zona eletta per i grandi vini rossi. Molto affermate le aziende Il Filo’ delle Vigne, Conte Emo Capodilista, Il Mottolo , Ca’Orologio, Terra Felice e Borin vini e vigne.
Ma ad Arquà Petrarca e dintorni non si beve soltanto. “La cucina dei Colli euganei è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, in termini di stile, composizione del piatto, leggerezza e soprattutto recupero delle ricette della tradizione in chiave più innovativa. Valorizzando anche i Vini Doc e Docg dei Colli Euganei e l’olio extravergine d’oliva Dop dei Colli Euganei, di cui Arquà Petrarca costituisce il polo produttivo più importante”, spiega l’ex presidente dei Ristorantori Padovani (sì, con la N) Giorgio Borin, il quale ora ha passato il testimone alla figlia Francesca alla guida del sodalizio. Giorgio, titolare del ristorante “La Montanella”, proprio sul colle che domina il borgo, è stato anche l’ideatore della memorabile cena nella piazza del poeta, con centinaia di commensali ed allestimenti onirici. Da lui e dalla moglie Biancarosa, la chef del locale, sono partite tante iniziative per la valorizzazione della cucina padovana: dalle grandi cene evento, al recupero della gallina padovana, alla cucina “light” da 900 calorie, alla “cucina per la mente”. La Montanella forma un crocevia di cultura gastronomica che parte dalle tradizioni: come raccogliere le erbette selvatiche a primavera, fare le marmellate d’estate, l’olio in autunno ed i salami di casa prima di Natale.
“La mia preoccupazione era quella di far capire ai padovani che c’è una cucina di tradizione – racconta Borin, ristoratore con studi da perito agrario – Allora mi sono messo a studiare”. Riferimenti che affondano le radici nel Trecento con Michele Savonarola e nel Quattrocento col Maestro Martino. Risalgono invece al Due-Trecento un libro per cuoco di origine veneziana e tre libri di scuola tedesca. Da questi studi è uscita la ricetta del papero alla frutta, piatto forte della casa. Ma Arquà Petrarca risulta anche la città delle giuggiole, un frutto a cui il borgo dedica due fine settimana di ottobre. Famosi il Brodo di Giuggiole e il dolce Giuggiolone (prodotto proprio dalla Montanella). E da due anni il borgo ospita la manifestazione “Calici di Stelle”, in grado di fare il tutto esaurito. Nella parte alta del borgo si può mangiare al Valpomaro, posizione panoramica ed ottima pizza gourmet, mentre nella vicina Baone, famosa per i suoi piselli, c’è l‘osteria Venier in piazza, con insegna in ferro battuto e cucina casalinga proposta dalla famiglia Raffagnato (è nella guida Osterie d’Italia).
Info: https://www.arquapetrarca.com – proloco@arquapetrarca.com – https://wwweugeneamente.it/pro-loco-ufficio-turistico-arqua-petrarca/ –
Testo/Monica Guzzi – Foto/Monica Guzzi, Chiara Grossi e Google Immagini