Di passaggio per Londra per incontrare mia figlia, non potevo perdermi il Brexit Day, con i festeggiamenti a Parliament Square, tra Westminster e il Big Ben. A 500 metri da lì, a Downing Street, sulla facciata della residenza del premier, si proiettava l’immagine fantasmagorica del quadrante del Big Ben, con lo sfondo dei colori della Union Jack. Nonostante fosse venerdì, quello non era certamente un tipico friday night londinese, sebbene le caratteristiche ci fossero tutte: la pioggia fastidiosa, tanta gente in strada con lattine di birra in mano. Ma dal numero dei poliziotti presenti, anche a cavallo, gli slogan gridati, i vessilli, le magliette, gagliardetti, cappellini, spillette e palloncini inneggianti alla brexit, questo non era proprio un venerdì come gli altri. Ma principalmente perché da quei corpi bagnati e dalle facce sorridenti, trasudava anche tanto nazionalismo. Quello che in molti casi, si manifestava tra sghignazzi ed urla di giubilo, mentre bruciavano le bandiere azzurre ed oro dell’Ue, tra il fumo dei fuochi d’artificio.
Gente in maggioranza con un’età media di circa 60 anni, accompagnata anche da figli e nipoti, i quali probabilmente un domani non li ringrazieranno per quel voto. Variegata rappresentanza di un popolo euroscettico, che forse da domani sogna di ritornare al grande “impero” capace di dominare mari e commerci per secoli. Quel «Popolo sovrano» che lo scorso 12 dicembre ha ridato fiducia al primo ministro Boris Johnson, il quale da sindaco di Londra in corsa per la leadership conservatrice, aveva basato la campagna referendaria del 23 giugno 2016, anche giocando su palesi bugie, avendo a fianco in questo il leader del ‘Ukip’ Nigel Farage. Mentre alle 23 del 31 gennaio 2020 (ora di Greenwich), i sostenitori della brexit esplodevano in un boato per loro liberatorio, con cori da stadio, abbracci e sventolii di bandiere, con la fine del conto alla rovescia si ammainavano dagli edifici pubblici di tutta l’Isola le bandiere blu con le stelle oro dell’Unione Europea, e prima dell’atteso “splendido isolamento”, saltavano tappi di spumante e champagne, prodotti nei vituperati Paesi Ue.
Dall’altra parte, in silenzio, tra lacrime e rimpianti, gruppi di sostenitori del remain. Forse, per non aver creduto abbastanza nella partecipazione al voto in quel referendum, nato per giochi di potere all’interno del Partito Conservatore, dell’allora primo ministro David Cameron. A scandire però i rintocchi che arrivavano falsati dal vento, non è stato l’orologio più antico del mondo, imbrigliato nelle impalcature per i lavori di restauro iniziati a fine 2017 e che dovrebbero finire nel 2021, ma un nastro diffuso con gli altoparlanti. Mentre mia figlia immortalava il folklore di quegli “irredentisti euroscettici” arrivati un po’ da tutto il Paese, un brexiter le chiede una foto e, avendo saputo che eravamo italiani, ha detto: «I like Matteo Salvini». Poco distanti un gruppo di persone dell’Est Europa festeggiava, auspicando un simile futuro per i loro Paesi: abbiamo provato veramente tanta rabbia, a pensare che proprio dalle loro parti vada gran parte dei fondi dell’Unione Europea.
Coperta dal rumoreggiare della piazza, a tratti arrivava anche la voce di Nigel Farage, l’attuale leader del Brexit Party’, l’uomo considerato a Bruxelles “La serpe in seno” o “L‘enfant terrible” della politica europea. Era per lui il momento di massima gloria, dopo quel discorso d’addio all’Ue quando disse: «Noi amiamo l’Europa, ma odiamo l’Unione Europea». Per poi uscire dall’aula coi suoi parlamentari e le loro Union Jack che avevano sventolato ironicamente. Ma non prima di essere salutati dalla presidente, con un «Goodbye!». Anche per loro varrà la “legge del contrappasso”, quando non vedranno più sul conto bancario l’ottimo stipendio che l’odiata Unione gli aveva garantito in tutti questi anni a Bruxelles.
Ma se questa Brexit è stata la «Liberazione da una tirannia», loro stessi vi avevano chiesto di aderire. A partire da quando si chiamava Comunità Economica Europea (Cee), nel 1961, e poi nel 1973, con la riconferma nel 1975 dopo un referendum passato con oltre il 62%. Nel 1992 il Trattato di Maastricht e la nascita dell’Unione Europea e poi l’epilogo dei nostri giorni. Ma l’adesione a questa Europa è stata sempre troppo stretta ai sudditi di Sua Maestà Britannica, osteggiata nelle varie fasi di crescita, l’ostracismo alla moneta unica e la riluttanza alle leggi comunitarie. Godendo invece di tanti privilegi, a cominciare dal 1984, quando Margaret Thatcher riuscì a riprendersi i contributi che avrebbero dovuto pagare come tutti i Paesi, per sovvenzionare l’agricoltura europea.
Questa uscita peserà molto sulle nostre esportazioni e il turismo, ma peggio potrebbe andare ai cittadini britannici, perché se almeno a parole la “brexit” è cosa fatta, le bugie hanno le gambe corte e quelle diffuse nella campagna referendaria, prima o poi presenteranno il conto ai cittadini. L’epilogo della storia è avvenuto sulle bianche scogliere di Dover, luogo storico e icona dell’Isola britannica. Perché mentre a Londra si festeggiava ancora in pub e strade, poco prima di quell’«Alba di una nuova era» annunciata da Boris Johnson, veniva proiettato sui 110 metri di roccia calcarea a picco sul mare, un toccante messaggio al Paese da parte di veterani britannici della II Guerra Mondiale.
Oggi rinomata attrazione turistica, a Denver arrivarono le migliaia di soldati reduci dallo sbarco disastroso di Dunkerque, in cui furono presi in un cul de sac dai tedeschi. Ricordando le loro storie, le facce dei veterani proiettate su queste pareti, hanno parlato di amarezza e delusione per sé stessi ed il futuro dei loro discendenti, per le scelte fatte uscendo da quella loro Europa. In chiusura, l’immagine della bandiera Ue, con le stelle d’oro in campo azzurro che scomparivano una alla volta, lasciandone una sola e la scritta: «Questa è la nostra stella. Prenditi cura di noi».
Come era e come sarà dopo
Dopo due anni di incontri bilaterali, parafrasando un film di Lina Wertmüller, possiamo dire che per la Brexit, “Tutto è a posto e niente è in ordine”. Per adesso vige un periodo di transizione, che durerà almeno fino al 31 dicembre 2020, per capire cosa accadrà dopo quella data, ma fino al 30 giugno 2021 non cambierà nulla sui diritti dei cittadini Ue che lavorano e vivono in Gran Bretagna, o che vi si recano per i viaggi turistici. Sono almeno 400 mila gli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire), i quali ufficialmente studiano o lavorano in Uk. Sarebbero però fino a 700 mila con quelli non ancora registrati, che avranno tempo fino al 31 dicembre per regolarizzare la loro posizione. L’iscrizione è gratuita, si fa online dal sito del Consolato Generale d’Italia a Londra e, se completa, sarà valida dalla data di presentazione della domanda.
Cosa succede nel periodo di transizione
Nel frattempo che il governo di Boris Johnson e i rappresentanti Ue sono impegnati per fare accordi supplementari in materia di circolazione delle persone, diritti, commercio, affari e viaggi, nel periodo di transizione saranno valide le attuali regole, ma potrebbe cambiare tutto dal 1 ° gennaio 2021. Per questo gli 1,2 milioni di cittadini britannici presenti nei Paesi Ue. e gli oltre 3,5 milioni di cittadini comunitari che vivono e lavorano in Gran Bretagna (e le loro famiglie), si devono preparare per tempo alle nuove regole, se intendono continuare a vivere, lavorare, viaggiare e fare affari nel Regno Unito e nell’Ue. Da quella data, con il nuovo “regime d’immigrazione”, sia i cittadini europei che quelli di Sua Maestà Britannica diventeranno reciprocamente “extracomunitari”. Quindi per noi nel Regno Unito non varranno più le nostre tessere sanitarie, ed in caso di viaggi di più giorni o trasferimenti dopo fine 2020, l’Ue consiglia di sottoscrivere un’assicurazione extra di viaggio privata.
Per ora nessun problema per la guida in territorio inglese, seppure ci sia qualche accenno a una futura Licenza internazionale. Adesso è come prima: patente internazionale, veicolo assicurato e ‘carta verde’. Ma non è improbabile che un domani si possa arrivare a licenze di guida diversificate, in base ad accordi bilaterali tra Uk e i singoli Paesi. Per i possessori di ‘carte Sim’ italiane (a meno di diversi accordi), si pagherà di nuovo il roaming, come non c’è nessuna certezza per le decine di migliaia di studenti europei che stanno frequentando le università britanniche. Dal prossimo anno accademico invece potrebbero essere equiparati agli studenti di paesi terzi, come cinesi e statunitensi, con la conseguenza che tasse e rette universitarie potrebbero essere anche triplicate. Il passaporto biometrico sarà l’unico documento valido e i turisti dovranno fare il visto elettronico con procedura online almeno 3 giorni prima della partenza. Sarà tipo l’Esta (Electronic System for Travel Authorization) Usa, ma per ora non è dato sapere se e quanto costerà farlo.
La permanenza in Uk varrà al massimo 3 mesi e per periodi superiori sarà necessario un permesso di lavoro con regolare contratto, rinnovabile.
Cosa fare per rimanere nel Regno Unito se sei un cittadino dell’Ue
Spesso non è facile districarsi tra le tante notizie che in questi giorni hanno saturato gli spazi della comunicazione. Per chi pensa un domani di trasferirsi nel Regno Unito per lavoro, non sarà più come ora e sarà veramente difficile andare a Londra a fare il cameriere per approfondire la lingua. Però non ci dovrebbero essere limitazioni per alte professionalità o guadagnare almeno 30 mila euro l’anno con contratto regolare. In ogni caso, per continuare a vivere nel Regno Unito dopo il 30 giugno 2021, occorre il settled status o presentare una richiesta di ‘pre Settle Status’, valida per un periodo di tempo limitato, ma rinnovabile. Quest’ultimo potrà diventare settled status una volta maturato il quinquennio di permanenza continua. Per le domande si avrà tempo da marzo 2019 al 30 giugno 2021, ma la data è prorogabile se l’interessato dimostra che sta raggiungendo la famiglia. Con il primo si godranno tutti i diritti e agevolazioni dei cittadini britannici; nel secondo caso, si potrà stare sul territorio inglese come residente regolare, ma senza sconti su nulla, compreso l’accesso gratuito al sistema sanitario pubblico, il National Health Service (Nhs).
Come richiedere lo status di residente nel Regno Unito dopo la Brexit
Per capire qual è il tuo status, approfitta del periodo di regime transitorio per regolarizzare la tua posizione. Sul sito governativo www.gov.uk/staying-uk-eu-citizen/y, si possono trovare risposte ai tanti dubbi e, in base alle risposte date a un breve questionario, verrà consigliato cosa fare per rimanere in Uk/Ue. In generale, uno dei principali requisiti per richiedere lo status di residente è dimostrare di aver vissuto nel Regno Unito ininterrottamente per 5 anni, o di aver iniziato a vivere in Uk prima del 31 dicembre 2020. Attualmente sono oltre 1,8 milioni i cittadini europei già registrati, di cui oltre 150 mila italiani. Finora sono state soddisfatte circa l’80% delle richieste di residenza presentate da cittadini Ue, ma non è chiaro che fine faranno dopo il 31 dicembre 2020 gli esclusi.
Per info: Consolato Generale d’Italia a Londra (conslondra.esteri.it/consolato_londra/it/)
Testo/Maurizio Ceccaioni – Foto/Chiara Ceccaioni