Diretto a Roma di ritorno da un press tour a Carovigno, tappa obbligata Brindisi. La giornata si prevede appagante, grazie agli esperti che ci guideranno in un viaggio diacronico tra le fasi evolutive della città. Appuntamento sotto la scalinata Virgiliana, accanto alla casa dove forse visse il poeta latino morto nel 19 a.C. a 51 anni, guida di Dante nella Divina commedia. Illustre cittadino di Brindisi, come prima di lui Marco Pacuvio (220-130 a.C.), poeta, scrittore di satire, tragediografo e pittore.
La raccolta archeologica Salvatore Faldetta
Lì accanto, sul lungomare Regina Margherita, c’è la Palazzina del Belvedere che ospita la ‘Collezione Archeologica Salvatore Faldetta’, una delle tante raccolte pugliesi, che grazie ai loro mecenati ci hanno lasciato un legame vivo con il passato. L’edificio è dei primi decenni del 900 e ad accogliere i giornalisti Anna Cinti, presidente associazione ‘Le Colonne-Arte antica e Contemporanea’ che dal 2017 l’ha in gestione. Con lei Francesco Romano e Daniela La Fauci, nostre preziose guide durante tutto il soggiorno salentino. Dalla terrazza la vista spazia sul porto interno e, di fronte, il Monumento al Marinaio d’Italia. Nei due piani del museo, i 363 i reperti raccolti negli anni da questo filantropo morto nel 2017 e donati al comune di Brindisi. Molto vasellame di provenienza pugliese, in varie forme e stili, dal Miceneo – come la Giara a staffa – a fine IV secolo d.C. a oggetti d’uso quotidiano, di fattura corinzia, attica a figure nere, di tipo ionico, italiota a figure rosse, a vernice nera, bruna e rossa. In stile Gnathia, policroma e acroma, geometrica, sub geometrica e a fasce. Ci sono piccoli oggetti come Amphoriskos, Aryballos e Alabastron, usati per mettere olio da massaggio o profumi. O il Lekythos e la Pisside con coperchio, usata anche per unguenti o portagioie. Contenitori per bere come gli Stamnos, Kylix, Kotyle o Skyphos e Oinochoe (brocca).
Vari tipi di Olla (pentola), Trozzelle (vasi funerari) e piccole anfore. Poi un vaso a forma troncoconica rovesciata detto Kalathos, usato come unità di misura per merci come il grano, detto dai Romani, Modio. Ci sono dei Crateri a campana in ceramica italiota a figure rosse. Non saranno come quello di Eufronio, trafugato da Cerveteri e dal 1972 al 2006 al Metropolitan Museum di New York fino al suo ritorno in Italia nel 2008, ma sono comunque molto belli. Diverse le lucerne ad olio decorate con simboli: di tipo apulo in vernice nera, o africano. Le guardo e ripenso che da bambino, negli anni 60 a Roma, dove abitavo vedevo i camion dei cantieri edili scaricare la terra e in mezzo c’erano lucerne così o anfore rotte. Oltre alle 24 opere in coroplastica, statuette, parti anatomiche e immagini votive colorate, ve ne sono 14 ceramica e sculture di ambito indiano. Tra i repertii, ve ne sono anche in ferro, argento e piombo; alabastro, ambra, vetro, pasta silicea smaltata e vitrea colorata. Molte Fibule (spille) in bronzo (ma anche d’argento), come pure la stadera (bilancia), statuine votive e un Rhyton, un “bicchiere” d’origine persiana lì chiamato Takuk, con testa d’animale o simboli fallici.
La storia di Brindisi attraversa due colonne
Le colonne e il cervo sono i simboli della città. Il nome messapico Brention, significava appunto “Città dalla testa di cervo”, per la forma delle insenature portuali. Le colonne in cima ai 52 gradini della scalinata, sono invece della Brundisium romana. Ne rimane solo una sulla sinistra, alta 18,74 metri con base di 4,44. Restaurata nel 1994, il capitello originale è esposto a Palazzo Granafei Nervegna e sopra c’è una copia. A destra, di quella crollata nel 1528, c’è solo la base. La leggenda vuole, che segnassero la fine della via Appia, la Regina Viarum, ma si ritiene che essendo in linea retta con l’imbocco del porto, siano stati riferimenti marittimi. Pur se vari ritrovamenti del Paleolitico superiore, ricordano popoli precedenti a Messapi e Romani, furono questi a fare di Brindisi la “Porta d’Oriente”. Alleato strategico di Roma nella Seconda Guerra Punica (219 a.C. e il 202 a.C.), fu al centro di scontri di potere durante la Guerra civile romana (49-45 a.C.), quando Caio Giulio Cesare fece bloccare le bocche del porto e assediò la città, per impedire la fuga di Pompeo.
Via Colonne è lastricata in pietra chiara come parte del centro storico. Qui c’era il tempio di Apollo e Diana, le cui pietre furono usate per il Duomo. Passando l’arco del campanile c’è l’omonima piazza. Già cuore della Brindisi messapica e di quella romana, è la più antica e bella della città. In mezzo la colonna della ‘Madonna Pellegrina’ (1954).
Il Duomo (XI-XII sec.) è la Cattedrale). In stile Romanico pugliese a tre navate senza transetto, ha subito molti restauri dal terremoto del 1743. A coronamento della facciata, ci sono le statue in pietra dei Santi Leucio, Teodoro di Amasea, Lorenzo da Brindisi e Giustino de Jacobis. Dentro, un organo a canne sopra l’entrata e un prezioso coro ligneo in noce, con intarsi che si rifanno alle cattedrali romaniche. È detto alla romana perché posto dietro l’altare maggiore.
Nel XVIII secolo la piazza era detta l’Atrio dell’Arcivescovado, perché sede dell’Arcidiocesi che oggi è il Museo diocesano e Biblioteca arcivescovile. Nonostante i lavori in corso, si vedono marmi e pietre della facciata barocca, in parte arrivate dalla Basilica di San Leucio, oggi nell’omonimo Parco archeologico a Canosa di Puglia. Sulla balconata spiccano le statue della Matematica, Oratoria, Etica, Teologia, Filosofia, Giurisprudenza, Poetica e Armonia. L’ vicino, la Loggia di Palazzo Balsamo (XIV secolo), sorretta da nove mensole ad arco in pietra, decorate con figure antropomorfe simboliche, riferibili alla mitologia medievale. Bella a livello artistico, nasconde di certo un messaggio, forse esoterico/numerologico.
La Brindisi dei cavalieri Templari
Molto si è scritto sui Templari e il Sacro Graal, ma il mistero aleggia ancora oggi su quest’ordine monastico-cavalleresco, nato durante le Crociate per difendere i pellegrini del Santo Sepolcro. In Puglia, specie nel tratto finale della via Francigena, ci sono molti riferimenti a loro e a Brindisi, principale porto d’imbarco per la Terrasanta, ci sarebbero state delle Domus dei cavalieri rossocrociati. Si crede che una di queste fosse nella chiesa di San Giorgio del Tempio dove, prima della stazione ferroviaria c’era il Bastione di S. Giorgio, santo protettore dei cavalieri cristiani. Anche in piazza Duomo c’è un antico portico detto appunto Dei Templari, che per la leggenda sarebbe stato in una loro Domus. Ma pare che l’edificio, oggi nel Museo Archeologico Provinciale Ribezzo (Mapri), in origine fosse un’abitazione nobiliare e un poi Ospedale civico. Una relazione ci potrebbe invece essere con gli Ospitalieri di S.Giovanni di Gerusalemme (i Gerosolimitani), molto presenti in città. Nel Mapri sono esposti tra l’altro, anche i “Bronzi di Punta del Serrone”, scoperti nel 1992 a 400 metri dalla riva. Circa 700 frammenti di statue, in parte riferibili a divinità greche e romane, databili tra il IV secolo a.C. e il IV d.C.
Nel cuore della città vecchia ci accompagna Antonella Grassi (Sett. Beni Monum.li Brindisi). La meta è il Tempio di San Giovanni al Sepolcro, piccolo ed emblematico edificio circolare, incorporato nell’arredo urbano, che fu ritenuto anche una sede templare. Ipotesi forse messa in relazione al nome e suffragata dalla breve distanza da via De’ Templari, ma senza riscontro oggettivo.
Nato tra il 1112 e il 1128 come Chiesa del Regno di Gerusalemme, grazie ai Canonici Regolari del Santo Sepolcro, il Tempio ha una struttura che sembrerebbe rifarsi alla Rotonda dell’Anastasis, nella Basilica del Santo Sepolcro in Terrasanta. Tra le otto colonne della rotonda interna con capitelli scolpiti con figure allegoriche del tempo, c’è una cripta come laggiù, ritenuta il sepolcro di Gesù. Ma sotto a questa c’è una domus romana del I secolo d.C., scoperta nel 1995.
Le colonnine laterali che sorreggono l’arco normanno all’entrata, poggiano su due leoni contrapposti. Animale presente nella cultura biblica e nell’araldica, il leone fu molto usato nella simbologia occidentale tra l’XI e il XII secolo. Sulle pareti di quello che dal 1884 fu il primo museo archeologico brindisino, affreschi di santi in stile bizantino compromessi dall’umidità, in gran parte databili XIII-XIV secolo. Meglio conservato quello di San Giorgio ammantato sul cavallo bianco, che uccide il drago con la lancia. Fosse questo, un esplicito riferimento ai Templari? Nel retro dell’edificio, un giardino fiorito e un orto con piante aromatiche e alberi, bonificato solo nel 2017. Accanto al pozzo, i resti di una povera casa contadina “a cannizzo”: visione dicotomica della società del tempo, rapportata agli edifici nobiliari lì vicino.
La Brindisi romana sotto il Nuovo Teatro Verdi
Teatro Verdi, del 1903, fu demolito nel 1960 per far posto alla “modernità”. Quello nuovo, inaugurato nel 2006, è agli “Schiavoni”, quartiere così detto per gli esuli d’oltre Adriatico, in fuga dai turchi nel XV secolo. Con una moderna struttura in cemento e acciaio, è uno dei maggiori del Sud. Il pavimento in vetro mostra l’area archeologica d’età imperiale di San Pietro degli Schiavoni, venuta alla luce nel 1964 durante i lavori. Ci sono i resti di un complesso termale realizzato in opus mixtum, con vasca e seduta del calidarium e quella semicircolare del frigidarium. Accanto un’insula con resti d’intonaci e pavimenti, in cocciopesto, mosaico e mattoni. C’è una domus pavimentata a losanghe in marmo e resti di un tratto fognario. Il tutto attraversato da nord a sud da una strada in basolato, con marciapiedi dove si affacciavano le botteghe. È il cardo e qui vicino, all’incrocio con il decumano massimo (da est a ovest), doveva essere anche il Foro.
Appena fuori il Verdi c’è l’Arco di pietra, forse parte dell’antica chiesa di S. Pietro. Di fronte via Duomo e Palazzo Granafei Nervegna (XVI sec.), edificio signorile che ha portato alla luce una domus romana, dal 1932 al 1976 ha ospitato la Corte d’Assise. Dal 2008, nell’ex aula delle udienze c’è la Sala della Colonna, dov’è esposto il capitello originale di quasi due metri, della colonna del porto.
Il quartiere Casale e il Monumento al Marinaio d’Italia
Si va in motobarca al quartiere Casale, la “nuova Brindisi” degli anni 30. Zona di giardini e delle prime ville borghesi, sta sulla sponda opposta del porto, con alle spalle l’aeroporto e di lato il villaggio dei pescatori. Ci si arriva con questo mezzo dell’Spt, che congiunge le due sponde del porto. Sosta d’obbligo, il Monumento nazionale al Marinaio d’Italia, un enorme timone di 53 metri in cemento armato e calcarenite, realizzato tra il 1932-33 per ricordare i marinai morti nella Grande Guerra e poi quelli della Seconda Guerra Mondiale. Dentro la cripta, bandiere, modellini, lastre di marmo nero coi nomi degli uomini morti per il Paese, ancore e cimeli. Come la campana della corazzata Benedetto Brin, affondata qui davanti nel 1915.Una scala elicoidale porta in cima, da cui puoi vedere a 360 gradi Brindisi e, pure se è mancato il tempo per visitare le fortificazioni, da lassù si vedono i quattro bastioni rimasti e i due castelli: Aragonese (XVI sec.), all’entrata del porto esterno, e quello Svevo voluto da Federico II (XIII sec.), a ridosso del rione Le Sciabiche, con affaccio sul “seno interno di ponente”, dove sono le navi militari.
Brindisi capitale d’Italia
Aspettando l’orario di partenza per Roma, dopo il pranzo al Ristorante Betty, completo questa visita breve, ma carica di significati storici, culturali ed etnografici, entrando nel Grande Albergo Internazionale sul Lungomare Regina Margherita. Nato come Brindisi Hotel nel 1869, tra i viaggiatori illustri ebbe anche il Mahatma Ghandi e il compianto presidente della Repubblica Sandro Pertini. Dentro, mobili, arredi, affreschi e stucchi d’epoca, ne ricordano la maestosità. Il pensiero va alle migliaia di passeggeri che dal 1870 al 1914 viaggiarono sulla “Valigia delle Indie”, provenienti da Londra. Prima di partire in piroscafo per Bombay, il soggiorno e alla partenza, dalla grande balconata sopra l’entrata, i loro bagagli venivano portati sulla nave ormeggiata di fronte, attraverso una passerella.
Dopo l’Armistizio dell’8 settembre e la fuga da Roma, oltre ai reali soggiornarono all’Internazionale i membri del Governo provvisorio e la sala dei bagagli, poi chiamata ‘Reale’, fu la sede della Capitale d’Italia per cinque mesi.
Info: Associazione le Colonne-Collezione Archeologica Faldetta,
Monumento Nazionale al Marinaio d’Italia
Testo e foto/Maurizio Ceccaioni