3 agosto 1858, Africa sub-sahariana, un uomo giunge ormai sfinito sulla cima di una collina, si siede su una roccia e si lascia prendere dallo sconforto. Pensa a tutte le fatiche, le privazioni, le responsabilità di quella spedizione, ed è talmente disperato da non accorgersi subito di quell’enorme specchio d’acqua in lontananza. Gran parte dei suoi aiutanti africani è morta di stenti, fame e sete, mentre molti altri hanno disertato. Quell’uomo ancora non lo sa, ma è appena entrato nella storia delle esplorazioni.
Quando finalmente nota quel lago in lontananza, forse tra le lacrime, si rialza e osserva meglio. Poche parole scambiate con i suoi aiutanti e subito la situazione cambia, ora sembrano felici, rinati, ridono e si complimentano a vicenda, sembra che finalmente abbiano trovato quel che stavano cercando da mesi, anni. Dopo essersi riposati scendono dalla collina per dirigersi verso quella distesa d’acqua.
L’uomo si chiama John Hanning Speke, e il lago che ha davanti, anche se non ne è ancora sicuro, è quello che gli africani da sempre chiamano “Mare di Urukewe”. Ma Speke gli cambierà nome, chiamandolo Lago Vittoria. Ha appena scoperto le leggendarie sorgenti del Nilo.
Ma facciamo un passo indietro di quasi quarant’anni, spostandoci molto più a nord, in Inghilterra, dove inizia questa storia, partendo da un altro grande esploratore.
Gli inizi dell’avventura
A Torquay, nella contea inglese del Devon, la sera del 19 marzo 1821 nasce Richard Francis Burton, primogenito di una classica coppia inglese di inizi ‘800, il tenente colonnello Joseph Netterville Burton e la ricca ereditiera Martha Baker. La coppia avrà altri due figli di lì a breve, Maria Katherine Elizabeth Burton ed Edward Joseph Netterville Burton. A causa del lavoro di Joseph, la coppia viaggia molto, soprattutto in Francia e in Italia, quindi i loro figli vengono educati da insegnanti privati. Richard, in particolare, già da bambino mostra un’intelligenza fuori dal comune e un certo talento per le lingue, imparando in fretta gli idiomi dei paesi attraversati insieme ai genitori. Crescendo, inizia a dimostrare anche un carattere sanguigno, irritabile, talvolta violento, che molti biografi attribuiscono all’infanzia passata con alcuni zingari (da adolescente avrà anche una storia d’amore con una ragazza d’etnia Rom). Nonostante la sua forte insofferenza alle regole della società, nel novembre del 1842 riesce a entrare al Trinity college di Oxford, dove tra l’altro studia l’arabo da autodidatta e si dedica alla scherma e alla falconeria, ottenendo anche un’ottima media negli studi.
Ma la vita accademica è poco adatta a lui. La sua intelligenza, superiore alla media, lo mette spesso in contrasto con professori e studenti, e viene infine espulso per aver sfidato a duello un compagno di studi (alcune fonti dicono per aver assistito a una corsa di cavalli, cosa vietata dalle regole del college) che lo avrebbe preso in giro per i suoi baffoni. Una volta espulso, dietro consiglio degli ex compagni di università si arruola nell’esercito al seguito della Compagnia inglese delle indie orientali, sperando così di partecipare alla guerra afghana, ma questa finisce prima che il suo addestramento sia completo. Richard la prende con filosofia, poiché Il suo scopo non è la carriera militare (figuriamoci se uno come lui si adatta alle regole dell’Esercito), ma approfittarne per girare il mondo e imparare lingue e usanze orientali.
Viene quindi mandato in India al comando del generale Charles James Napier. In poco tempo perfeziona il suo arabo e impara anche il marathi, il gujarati e il persiano. La sua padronanza delle lingue e delle usanze locali è tale che il suo insegnante indù gli permette, caso unico per un occidentale, di indossare ufficialmente il Janeo, il filo di cotone portato dai brahmini. Approfitta di questi anni sotto l’Esercito per sfogare il suo carattere irritabile, dimostrando un’abilità guerriera, un coraggio e una ferocia impressionanti. Al punto che, se da una parte molti suoi commilitoni lo chiamano affettuosamente “Negro bianco” a causa della sua passione per l’oriente, altri gli assegnano il poco elegante soprannome di “Ruffian Dick”.
Ma Richard ignora le critiche e continua ad accumulare quelle conoscenze che gli saranno molto utili più avanti. Impara una lingua dietro l’altra, arrivando persino ad allevare una piccola colonia di scimmie con lo scopo di imparare il loro sistema di comunicazione in versi. Passano così sette anni, un periodo che lui stesso liquiderà come “Tempo perso”. Inizia ad annoiarsi, quel mondo gli va stretto e il motivo lo capisce presto. Vuole l’avventura, quella vera.
Primi viaggi e la Mecca
Nel 1844 Richard viene scelto per far parte di una spedizione scientifica in Pakistan, dove si adatta talmente bene agli usi e costumi locali, favorito anche dalla sua carnagione scura e dai baffi, da venire spesso scambiato per un nativo. Intraprende delle personali ricerche sulla prostituzione locale, che all’epoca provocano una certa impressione, e passa le sue giornate a vivere in mezzo alla gente comune, camuffandosi da musulmano e acquisendo una forte familiarità con gli ambienti meno agiati, al punto da essere ammesso, come racconterà lui stesso anni dopo, nell’ordine dei sufi Qadiri. Incoraggiato da tutti questi risultati e dalle sue capacità, Richard inizia a progettare la sua prima, vera impresa: camuffarsi tra la popolazione locale e intraprendere un pellegrinaggio alla Mecca senza destare sospetti. La cosa è piuttosto rischiosa per un occidentale, in quanto non è permesso a un non musulmano entrare nell’area sacra, ma l’esploratore studia ogni dettaglio, arrivando persino a circoncidersi. Per giustificare i suoi lievi difetti della pronuncia dell’arabo decide di parsi passare per un pashtun aghano. Il viaggio viene finanziato dalla Royal Geographical Society e Richard ottiene anche un congedo dall’esercito della compagnia indie. Arriva al Cairo a giugno del 1853 in pieno ramadan, accompagnato da uno schiavo di nome Nur. L’avventura ha anche scopi di ricerca, quindi Burton porta con sé una custodia per il Corano dove nasconde una bussola, un orologio, del denaro, un coltello, fogli e matite per gli appunti.
La zona è teatro di guerra e l’esploratore può visitare solo La Mecca e Medina, comunque un ottimo risultato per l’epoca, poiché sono zone quasi del tutto sconosciute per un non musulmano. Ma non si accontenta e alla fine, nonostante i divieti e i rischi, riesce ad arrivare fino alla Ka’ba, il luogo dove è custodita la Pietra sacra, partecipa al rito della Lapidazione del Diavolo sul Monte Ararat e visita il pozzo di Zamzam.
Il pellegrinaggio è la sua prima vera impresa che lo rende famoso, anche se non è il primo occidentale a riuscirci. Il primo a farlo fu infatti Ludovico De Varthema nel 1503, e il secondo Johann Ludwig Burckhardt nel 1815 ma il viaggio di Burton è molto meglio documentato. Realizza anche molti disegni delle zone attraversate e racconterà tutto nel libro “Il pellegrinaggio a Medina e alla Mecca”, che incontrerà molti successi e varie edizioni. La fama derivata da questa avventura, le capacità, le conoscenze accumulate sul campo e i contatti con la Royal Geographical Society permettono finalmente a Burton di dedicarsi al suo progetto più ambizioso, quello che veramente lo farà entrare nella storia.
L’antefatto in Somalia
Già nel corso dei sette anni passati in India Burton aveva ascoltato molti racconti di viaggiatori arabi che narravano di numerosi laghi nel centro dell’Africa. Dispone quindi di abbastanza informazioni e capacità per tentare lui stesso l’impresa di esplorare e documentare quelle zone. Gli mancano solo due cose: uno sponsor e un compagno. Per il primo bisogna aspettare ancora un paio di anni, mentre per il secondo manca poco, come vedremo. L’entroterra della Somalia è ancora praticamente sconosciuto e zona di predoni, l’Inghilterra è interessata quindi a proteggere il commercio intorno al Mar Rosso e Burton ne approfitta per farsi mandare in quei territori. La spedizione dura da ottobre 1854 fino a febbraio 1855, con la maggior parte del tempo passato nel porto di Zeila ad aspettare che la rotta venga dichiarata sicura. Questa volta l’esploratore non è solo, insieme a lui ci sono due ufficiali, William Stroyan e G.E.Herne, e soprattutto c’è un certo John Hanning Speke. Nonostante disponga di una compagnia qualificata, Burton decide di compiere da solo l’esplorazione della capitale Harrar, la parte più pericolosa del viaggio. Scompare così nel deserto per 4 mesi. Arriva ad Harrar, primo europeo in assoluto, parla col Re e si ferma una decina di giorni (in verità è prigioniero, anche se ben trattato) rischiando la vita, poi fugge di nuovo nel deserto, evitando i continui attacchi dei somali.
Arriva finalmente a Berbera il 31 gennaio 1855.
Ci riprova, questa volta insieme a Speke e ai due ufficiali, ma mentre sono accampati vengono attaccati da circa 200 guerrieri somali Waranle. Stroyan rimane ucciso, Speke viene fatto prigioniero, riesce a fuggire quasi subito ma viene ferito in modo grave dai giavellotti lanciati dietro di lui. Guarirà, ma l’incidente gli lascerà addosso una noiosa oftalmia. Burton, ferito da un giavellotto, è costretto a correre per un lungo tratto con la lancia ancora conficcata nella mascella. Scriverà poi di queste avventure in uno dei suoi libri più riusciti e famosi, “Primi passi nell’Africa orientale”. Il fallimento della spedizione viene accolto male dagli sponsor, al punto che per i successivi due anni viene avviata un’inchiesta per stabilire le responsabilità di Burton in questo disastro. Anche se non è colpa sua, ne riceve un duro colpo alla carriera. Ma ormai si è capito: è un uomo testardo, non si arrende mai, sa bene che l’impresa della sua vita è dietro l’angolo, e soprattutto ha finalmente incontrato un uomo come Speke.
Le montagne della luna
L’incidente in Somalia non ha tolto a Burton la curiosità di esplorare i laghi in centro Africa e di trovare le leggendarie sorgenti del Nilo. Sono secoli che numerosi esploratori tentano l’impresa. Già Tolomeo ipotizzò che il Nilo nascesse da un massiccio roccioso conosciuto come Le Montagne della Luna (oggi chiamate Ruwenzori) mentre Seneca, nel suo “Naturales Quaestiones” parlava di una spedizione organizzata intorno al 65 d.C. dall’imperatore romano Nerone. Solo nel 1770 James Bruce riuscì a localizzare le sorgenti del Nilo Azzurro, ma quelle del Nilo Bianco rimanevano ancora, in tutti i sensi, avvolte dalla leggenda e sono la più grande sfida geografica del tempo. L’Inghilterra, che in questo periodo non perde mai la possibilità di finanziare esplorazioni e ricerche scientifiche, si interessa all’impresa di Burton. La Royal Geographical Society finanzia quindi ufficialmente un “Esplorazione delle regioni e dei laghi allora completamente sconosciuti dell’Africa centrale”. La tracce da seguire sono due. Le memorie del missionario tedesco Johan Ludwig Krapf che, spinto da ardori evangelici, penetrò all’interno del continente africano fino ad avvistare il monte Kenya dove, vivendo con gli indigeni, imparò molte storie locali che narravano di un immenso lago. L’altra traccia a cui appoggiarsi è una rotta carovaniera che va da Zanzibar a Ujiji, inaugurata nel 1825 da un ex schiavo divenuto mercante d’avorio. Nel 1856 Burton torna quindi in Africa, a Zanzibar, di nuovo accompagnato da Speke. Dopo aver vissuto per un periodo nella casa del console britannico Atkins Hamerton, nel giugno dell’anno seguente i due esploratori partono finalmente con una carovana di 132 persone, guidata dal fido Said bin Salim.
Il viaggio si rivela subito difficile, tra la morte degli animali da soma, le diserzioni, i furti, i primi litigi tra Burton che intende proseguire ovest, e Speke che insiste invece per il nord. Ma il nemico peggiore è rappresentato dalle malattie africane. Burton si infetta una gamba, mentre Speke diventa temporaneamente cieco a causa dell’aggravarsi della sua oftalmia, poi si estrae uno scarafaggio da un orecchio e la ferita peggiora, rendendolo sordo da quella parte. Nonostante i numerosi problemi la tenacia di Burton, Speke e Salim prevale, e la spedizione procede abbastanza spedita. Finalmente arrivano al lago Tanganika il 13 febbraio del 1858, la strada intrapresa è quindi quella giusta. Ma la piaga sulla gamba di Burton peggiora sempre di più e la carovana, o quel che ne rimane, è costretta a fermarsi. Tra l’altro, a causa dei numerosi furti, mancano molte attrezzature scientifiche, quindi i due non possono effettuare i rilievi geografici con sufficiente precisione.
Speke, che nel frattempo ha recuperato la vista, insiste per andare avanti. Burton, ormai bloccato a letto, non può seguire il compagno, ma gli spiega bene la rotta da seguire. Per fortuna Speke decide di fare un po’ di testa sua, e trova infine il lago Vittoria il 3 agosto 1858. Era a nord, aveva ragione lui.
E qui torniamo all’inizio di questo racconto. Non disponendo delle attrezzature necessarie, Speke non è ancora sicuro di aver trovato le vere sorgenti del Nilo, sarà poi la storia a dargli ragione. Torna quindi da Burton che, come prevedibile, non gli crede, convinto com’è che le sorgenti siano invece a ovest. I due, tra una discussione e l’altra, tornano insieme a Zanzibar a inizio marzo del 1860, e da qui rientrano separatamente in Inghilterra.
Il primo ad arrivare è Speke. Si è infine convinto di aver trovato le vere sorgenti, e organizza una lunga serie di conferenze per illustrare la sua scoperta, inizia così una lunga polemica di invidie e gelosie reciproche, alimentata anche dalle società geografiche. Da parte sua Burton sosterrà sempre, senza presentarne mai le prove, che tra lui e il compagno ci fosse un accordo di non divulgazione finché non si fossero riuniti. La fama derivata dalla sua scoperta permette a Speke di tornare in africa nel 1863 insieme a James Augustus Grant e a Sidi Mubarak Bombay con lo scopo di esplorare meglio le zone del Lago Vittoria, poi conosciuto anche come Nyanza, e fare finalmente i rilievi necessari, ma per un certo tratto del Nilo l’esploratore si confonde sulla rotta da seguire. Un errore lieve, che però provocherà molti dubbi da parte di alcune persone, incluso Burton, sull’effettiva scoperta delle sorgenti del fiume.
La polemica, tra dubbi, conferme e smentite, danneggia la reputazione dei due esploratori. Alcuni sostengono che Speke si sentisse inferiore alla fama e al carisma di Burton, mentre altri affermarono che fu quest’ultimo a essere invidioso della tenacia del compagno e della possibilità che avesse davvero scoperto le sorgenti del Nilo. La verità è si compensavano a vicenda: Speke più coraggioso, gentile, pacato e atletico (aveva anche attraversato a piedi le montagne del Tibet) mentre Burton, focoso e talvolta violento, è molto più preparato intellettualmente e culturalmente.
Burton, che contro ogni evidenza rimarrà per sempre convinto che le sorgenti siano nel lago Tanganika, è ormai stanco di queste polemiche. Quella del Nilo è la sua ultima, vera avventura. Decide quindi di andarsene in America per un lungo viaggio ad aprile del 1860, un po’ per allontanarsi da quel clima di invidie, un po’ per vedere luoghi diversi e per studiare gli usi dei mormoni.
La polemica si interrompe da sola in modo tragico il 15 settembre del 1864, quando Speke muore per un colpo partito dal suo stesso fucile durante una battuta di caccia. Burton viene a saperlo il giorno dopo, mentre aspetta l’inizio del dibattito alla British Association For The Advancement Of Science, dove lui e l’ex compagno avrebbero dovuto discutere pubblicamente delle sorgenti del Nilo. Nonostante le iniziali apparenze e il fatto che Speke sembrava molto imbarazzato di dover affrontare Burton in dibattito, tutte le successive inchieste escluderanno ogni ipotesi di suicidio.
Il matrimonio
Burton, come abbiamo visto, ha smesso da qualche anno con le grandi esplorazioni. Ha sposato Isabel Arundell nel 22 gennaio 1861 e, grazie alla sua conoscenza vastissima delle lingue e delle tradizioni, ha iniziato un’ottima carriera di diplomatico, che nel corso degli anni lo porta in Guinea, Damasco, Brasile e infine nel 1872 a Trieste.
La moglie Isabel non è una donna qualsiasi. Figlia dell’onorevole James E. Arundell, conte di Wardour, e di Eliza Gerard, sorella di Robert T. Gerard, baronetto di Bryn, è una donna molto cattolica e di carattere, anche se vivrà sempre all’ombra della forte personalità di Burton. I due si sono incontrati la prima volta nel 1850, nel corso di una passeggiata sui bastioni del complesso Haute Ville, in Francia. In seguito a quell’incontro Isabel scriverà “Egli mi guardò come se mi stesse leggendo attraverso” e dirà anche alla sorella “Quell’uomo mi sposerà”. In verità c’è voluto molto tempo, prima che i due si unissero. La madre di Isabel all’inizio si oppone al matrimonio, sia perche Burton non è cattolico, sia perché non dispone di un entrata economica stabile. Ma anche qui l’uomo si dimostra tenace e nel 1856, tornando dalla guerra di Crimea, chiede a Isabel di sposarlo, accettando di celebrare in chiesa e di crescere i figli come cristiani. Ma la madre di lei ancora è contraria e infine, al ritorno da un suo viaggio in America, Burton dà un ultimatum a Isabel. Dopo il matrimonio, la suocera inizia a conoscere meglio quell’uomo intelligente, impulsivo, e ad apprezzarne le numerose qualità fino ad amarlo, come dirà la stessa Isabel, “Come uno dei suoi figli”.
Isabel, donna molto intelligente e attiva, diventa la più grande sostenitrice di Burton, assistendolo e incoraggiandolo nella stesura dei suoi lavori, inclusi i libri sui viaggi fatti insieme in Siria e Palestina. Eppure, come vedremo, sarà lei a dare fuoco alle opere più scabrose del marito alla sua morte. Nel frattempo, nel 1863, Burton trova anche il tempo di esplorare le coste dell’Africa occidentale e di fondare, insieme al dottor James Hunt, la Anthropological Society Of London con lo scopo, parole sue, di “Fornire ai viaggiatori un organo che salvasse le loro osservazioni dall’oscurità eterna del manoscritto e stampasse le loro curiose informazioni su questioni sociali e sessuali”. La vita di diplomatico, meno movimentata di quella di avventuriero, gli permette quindi di dedicarsi meglio alla scrittura. Burton non si pone mai scrupoli morali nei suoi lavori, al punto che la sua traduzione del Kama Sutra e delle Mille e una notte gli provoca varie accuse di pornografia. Poiché l’unico modo per evitare la censura è la circolazione privata tra membri di una società, per aggirare i divieti della Society For The Suppression Of Vice, sorti già nel 1857 con l’Obscene Publications Act, Burton e Forster Fitzgerald Arbuthnot fondano una sorta di club letterario, la Kama Shastra Society, con lo scopo di far circolare liberamente i libri dell’esploratore.
Gli ultimi anni
Burton è ormai arrivato all’apice della sua vita. Padroneggia qualcosa come 29 lingue, secondo molte fonti, e nel 1886 la regina Vittoria lo nomina Cavaliere dell’ordine di san Michele e san Giorgio. Ha già pubblicato numerosi libri, saggi, articoli e nella pace di Villa Economo a Trieste continua a dedicarsi alla traduzione di testi ancora sconosciuti in occidente. Muore infine di infarto il 20 ottobre 1890. La moglie Isabel chiama un sacerdote per l’estrema unzione, che sembra arrivare solo quando Burton è ormai deceduto. Nonostante il marito fosse ateo, la donna organizza un sontuoso funerale celebrato dal vescovo di Trieste e questo episodio, unito all’estrema unzione, le provoca qualche lite con gli amici dell’esploratore. Al termine dei funerali torna a Villa Economo e, nonostante Burton le abbia lasciato molte opere inedite allo scopo di garantirle una rendita economica, inizia a bruciare tutte le sue carte, gli appunti e i diari, incluso il manoscritto de “Il giardino profumato”. Teme forse che la scoperta degli interessi (esclusivamente scientifici) sulle pratiche sessuali più insolite delle tribù conosciute dal marito possano generare scandalo nella puritana società inglese.
Per la storia dell’etnografia è un disastro, come ammetteranno in seguito molti ricercatori, al punto che l’enciclopedia britannica, commentando il fatto nel 1997, dirà che “La perdita per la storia e l’antropologia fu monumentale, e per i biografi di Burton fu irreparabile”.
Isabel, ormai vedova, non esce quasi più da quella villa sul colle di San Vito, passa molto tempo a scrivere una biografia, che uscirà a luglio del 1893 con il titolo “Richard: The Life Of Captain Sir Richard Francis Burton” e torna infine in Inghilterra, dove muore il 22 marzo del 1896. Viene sepolta vicino al celebre marito a Londra, nel cimitero di Mortlake, in un bel mausoleo a forma di tenda araba disegnato da lei stessa.
Nonostante, come abbiamo visto, la scoperta finale delle sorgenti del Nilo sia da attribuire alla tenacia di John Hanning Speke, è la figura complessa e affascinante di Richard Francis Burton ad emergere di più in questa storia. La lista dei suoi ruoli è lunga, e ancora oggi rende difficile definirlo: esploratore, geografo, etnologo, linguista, soldato, scrittore, orientalista, abile spadaccino, diplomatico. Forse è lui stesso a descriversi meglio, quando dichiara “Io sono un solitario, un cerchio che in certi punti sfiora chi mi sta vicino,ma non corrisponde a nessuna parte, non si fonde da nessuna parte”.
BIBLIOGRAFIA PARZIALE
La bibliografia delle opere di Richard Francis Burton è immensa, considerando anche che una parte non è giunta fino a noi, e comprende una lunga lista di libri, articoli, traduzioni, saggi e pubblicazioni varie, tra cui:
“Abeokuta And The Camaroons Mountains” (1863)
“A Mission To Gelele, King Of Dahome” (1864)
“Two Trips To Gorilla Land And The Cataracts Of The Congo” (1876)
“Explorations Of The Highlands Of The Brasil” (1869)
“Letters From The Battle-Fields Of Paraguay” (1870)
“The Kama Sutra Of Vatsyayana” (1883)
“The Book Of The Thousands Nights And a Night” (1885)
“The Perfumed Garden Of The Shaykh Nefzawi (1886)
“The City Of The Saints” (1861)
“Vikram And The Vampire, Or Tales Of Hindu Devilrty” (1870)
“The Book Of The Sword” (incompleto e postumo, 1884)
“The Jew, The Gipsy And El Islam” (postumo, 1897)
“Zanzibar, City, Island And Coast” (1872)
Tra l’altro a san Marino, in California, nella biblioteca di Huntington sono conservate quasi cinquanta scatole di materiala manoscritto di Burton.
BIBLIOGRAFIA SU FRANCIS BURTON
Anche la lista dei libri dedicati a Burton è molto fornita, ne citiamo qui una minima parte:
“Richard: The Life Of Captain Sir Richard Francis Burton”, Isabel Arundel Burton, 1893
“A Rage To Live, A Biography Of Richard e Isabel Burton”, Mary S. Lowell (1998)
“Path Without Glory. Richard Francis Burton in Africa”, James L. Newman (2010)
“The Life Of Sir Richard Francis Burton”, Thomas Wright (2008)
“Sir Sir Richard F. Burton, Trieste e l’esplorazione: gli itinerari del mondo”, Modaffari, Zilli e Walton (2019)
Testo/Emiliano Federico Caruso – Immagini/Licenza Creative Commons – Foto d’apertura: Antica mappa dell’Africa