Tutti conoscono, almeno per sentito dire o per averli visti su qualche rivista o documentario in tv, i celebri disegni presenti nel deserto di Nazca, Perù meridionale a 400 km dalla capitale Lima, vecchi di duemila anni. Sono disegni tracciati con piccoli segni poco profondi nel suolo del deserto tra le cittadine di Nazca e Palpa che ritraggono disegni di animali, vegetali, persone, figure astratte di consistenti dimensioni, ma anche linee e figure geometriche, tracciate dall’antica popolazione india dei Nazca tra il 300 a.C. e il 500 d.C., quindi ben prima della scoperta dell’America da parte di Colombo, per un insieme di oltre 800 disegni e più di 13 mila linee lunghe decine e centinaia di metri e addirittura chilometri. Date le loro rilevanti dimensioni, i disegni non risultano intelleggibili stando a livello del terreno: furono infatti scoperti soltanto nel 1927 osservando la piana di sabbia e sassi dall’alto delle colline circostanti, e poi sorvolandoli con gli aerei (che ancora oggi rappresentano il modo migliore di avvistamento). Si tratta di un monumento storico e archeologico assolutamente strabiliante, unico al mondo, riconosciuto dall’Unesco nel 2004 come patrimonio dell’umanità, incredibilmente conservatosi intatto per due millenni, di cui ignoriamo a tutt’oggi le ragioni e le modalità di costruzione.
Da fine gennaio 2018 i visitatori – e questa località ha sempre rappresentato una delle buone ragioni per visitare il Perù meridionale – non potranno più ammirare una paio di disegni, irrimediabilmente distrutti dalle ruote di un camion gigantesco, non per errore ma per una precisa volontà di un autista disonesto e delinquente. Le cose sono andate più o meno così. L’altopiano dei geoglifi, esteso su una superficie di ben 450 kmq, risulta attraversato dalla Carretera Panamericana, strada intercontinentale di grande traffico e da dove i turisti ammirano le figure salendo su appositi tralicci di avvistamento. Ovviamente un’un’infinità di cartelli segnala ovunque il divieto assoluto di uscire dal nastro asfaltato, anche a piedi, per non alterare in alcun modo o distruggere le preziose immagini. L’autista disonesto di un grosso bestione a dieci coppie di ruote, tal Janez Jesus Flores Vigo peruviano di 40 anni, per evitare di dover pagare alcuni spiccioli di pedaggio al casello autostradale, ha pensato bene di tagliare per il deserto, sottraendo per sempre all’umanità alcuni glifi. Domanda: quale potrebbe essere, secondo voi, la giusta pena a cui condannare questo individuo spregevole, che ha agito in perfetta consapevolezza e malafede e per il quale non può essere invocata neppure l’attenuante dell’ignoranza ? Ci auguriamo che la magistratura peruviana lo punisca in modo esemplare, oserei dire spietato: sappiamo tutti come il danno fatto risulti irreparabile, a prescindere dalla pena inferta al colpevole, ma che almeno una condanna severa serva a dissuadere eventuali ulteriori emuli.
Al di la dei disegni, sappiamo ben poco della civiltà dei Nazca, se non che il loro massimo splendore avvenne nei secoli attorno all’epoca cristiana, per scomparire nel VI° sec.; ci hanno lasciato una ceramica policroma di ottima fattura, con disegni di uomini mutilati, il che fa pensare a sacrifici umani. I glifi furono ottenuti scavando per una profondità di pochi centimetri il suolo di sabbia e sassi, reso di un color grigio dall’ossidazione dei minerali contenuti sul suolo superficiale, fino a far affiorare la sabbia sottostante di colore più giallo e vivace in quanto non ossidata. Nazca risulta uno dei deserti più aridi del pianeta: non piove praticamente mai e non tira neppure vento, come succede spesso nei deserti; le condizioni ideali per una loro lunga conservazione nel tempo. Le figure ritraggono persone, vegetali e animali locali (lucertole, pappagalli, ragni, colibrì, condor, alligatori e perfino una balena), disegni astratti, figure geometriche come spirali, trapezi, triangoli, ecc. e un gran numero di linee. I disegni, con dimensioni varianti tra i 30 e i 300 m (una lucertola ne misura 180), risultano tecnicamente perfetti e ben proporzionati, con lunghissime linee perfettamente rette formate da una sola riga che non si incrocia mai con se stessa.
Si suppone che le figure siano state prima disegnate in scala ridotta, poi ingrandite sul terreno con l’aiuto di un reticolato di corde, ma questo non spiega come gli autori abbiano potuto tracciare i disegni senza lasciare alcuna traccia del loro calpestio. Quello su cui non esistono dubbi è che avevano un’elevata conoscenza della geometria, fin dall’epoca arcaica. Altra cosa non spiegata, la ragione della loro presenza: centri rituali, percorsi cerimoniali, calendari astronomici, piante di riserve idriche sotterranee sono soltanto alcune delle contradditorie interpretazioni fornite dai diversi studiosi, nessuna della quale davvero convincente. Siamo di fronte ad uno dei maggiori enigmi, tra i tanti insoluti fornitici dalla storia, almeno per il momento. L’unica cosa certa, secondo gli specialisti, è che prima sarebbero state tracciate le figure, quindi più antiche, e solo successivamente i disegni geometrici, a loro volta più recenti. E poi il fatto che siano avvistabili soltanto stando in alto, cielo compreso, ha spinto qualcuno a tirare in ballo anche gli extraterrestri. Ci mancavano soltanto loro.
Le linee di Nazca erano già state alla ribalta per ragioni di danneggiamento, allora in maniera sicuramente meno grave di quella attuale, nel dicembre del 2014, quando però – sorprendentemente – gli autori furono un gruppo di militanti dell’associazione ecologistica Greenpeace (o usurpatori spacciatisi per tali). Per posare uno striscione con su scritto “Time for change ! The future is renewable” calpestarono in maniera evidente il deserto vicino ad una delle figure più famose e consistenti, quella del colibrì. Di questi ecologisti – o presunti tali – della domenica ne facciamo volentieri a meno.
Info: sono parecchi i tour operator italiani che, nei loro viaggi in Perù, prevedono la visita delle linee di Nazca, da osservatori a terra oppure con apposito sorvolo aereo.
Promoperu, www.globaltourist.it – pr@globaltourist.it – tel. 011 45 46 557.
Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini