Gli studiosi e gli appassionati di arte rupestre preistorica hanno avuto la gradita sorpresa di trovare come strenna sotto l’albero di Natale 2017 un dono assai prezioso e imprescindibile, vale a dire un ponderoso e al momento completo compendio sull’arte rupestre presente sulle pareti di arenaria, nelle grotte e nei ripari sotto roccia del massiccio montuoso dell’Ennedi, nel nord-est del Ciad, Sahara centro-orientale. Come è noto, nel suo lungo percorso di civilizzazione, prima dell’acquisizione in epoca protostorica della scrittura – della quale è stata premessa e anticipazione – l’uomo ha sentito l’impellente necessità di testimoniare la propria presenza lasciando dei disegni incisi con scalpelli e bulini di pietra, oppure dipinti con colori naturali su pareti di roccia. E’ quello che noi oggi definiamo l’arte rupestre preistorica – presente in ogni continente e in epoche diverse – fino ad evolversi poi in scrittura vera e propria con le prime civiltà. Sono immagini di fauna selvatica e di animali domestici, elementi ambientali, figure umane singole o in gruppo, simboli astratti come spirali, figure geometriche o impronte di mani di dubbia interpretazione, con cui i nostri lontani predecessori hanno voluto tramandarci una visione quasi fotografica della loro esistenza quotidiana, sia materiale che immaginifica. Elementi fondamentali, assieme ai resti archeologici, per tentare di conoscere le modalità di vita e di evoluzione del pensiero e del comportamento umano in tempi assai lontani, per i quali non possediamo altri tipi di testimonianze.
Pur possedendo alcuni denominatori comuni, l’antica arte rupestre presenta caratteristiche peculiari da luogo a luogo e da epoca ad epoca, essendo prodotta da popolazioni con culture diverse in tempi e in luoghi diversi, in contesti ambientali e con economie differenti. Per ragioni geografiche ed ecologiche, uno dei luoghi più ricchi di simili manifestazioni è costituito dal Sahara, il deserto grande quanto l’intera Europa esteso ad occupare tutto il settore settentrionale del continente africano, dall’Atlantico fino al Mar Rosso. Osservando oggi quest’ambiente iperarido, dove non piove quasi mai, caratterizzato da spogli rilievi montuosi, immense pianure sassose e sterminati campi di dune, risulta piuttosto difficile anche soltanto immaginare come, appena 10 mila anni or sono, questo ambiente fosse decisamente piovoso e verde, pieno di fiumi, laghi e vegetazione tipica delle odierne savane alberate dell’Africa equatoriale, abitato da una ricca fauna selvatica oggetto di caccia da parte dell’uomo. Queste favorevoli condizioni climatiche ed ambientali produssero poco dopo uno dei più determinanti balzi sulla strada della più recente evoluzione umana, la cosiddetta “rivoluzione neolitica”, dove l’essere umano da cacciatore e raccoglitore passivo arrivò a scoprire la versatilità della ceramica, l’addomesticamento della fauna e delle piante selvatiche, diventando allevatore prima e coltivatore poi, artefice cioè della propria economia e del proprio sostentamento. Gli stessi presupposti che troviamo alla base anche della nostra civiltà. Poi un’ennesima trasformazione climatica, avvenuta all’incirca 5.000 anni fa, ha di nuovo trasformato il Sahara verde nell’arido e spopolato deserto attuale.
Il Ciad, caratterizzato a sud-ovest da piane sabbiose ed a nord-est da imponenti massicci montuosi, occupa la porzione meridionale e centro-orientale del Sahara, al confine con il Sahel. L’Ennedi costituisce il rilievo montuoso più a sud-est di tutto il Sahara, ragione per cui presenta una pluviometria nettamente superiore a tutto il resto del grande deserto, rappresentando la prima barriera posta all’arrivo degli alisei di sud-ovest carichi di umidità. Questa relativa abbondanza idrica ne fa un piccolo eden sahariano, con numerose guelte ricche d’acqua, la presenza di una vegetazione quasi tropicale come ficus ed ibiscus tipica di altre latitudini, nonché una fauna peculiare composta da babbuini, gazzelle, procavie e fennec. Grazie all’azione combinata nel tempo di acqua e vento, questo rilievo si presenta come un massiccio tassiliano di arenaria a forma triangolare, piatto alla sommità, esteso per 40 mila kmq (quanto la Svizzera), fortemente eroso a formare un’incredibile e fantasmagorico labirinto di profondi canyon, gole, falesie precipiti, pinnacoli e guglie, castelli merlettati ed archi, in un vero tripudio di erosione. Alla spettacolare e grandiosa gola di Archei, con la relativa guelta, si abbeverano ogni giorno migliaia di cammelli, in una scena biblica estremamente suggestiva, mentre poco lontano si riscalda incredibilmente al sole l’ultima colonia residua di coccodrilli sahariani (Crocodylus suchus), veri fossili viventi e ultimo retaggio di quel lontano Sahara verde.
Le pareti di questo tormentato massiccio si presentano letteralmente disseminate da migliaia e migliaia di pitture, le più antiche vecchie di 8.000 anni or sono, attestanti un’intensa e prolungata frequentazione in epoca preistorica, con non poche sovrapposizioni di immagini più recenti su disegni più antichi e alcune antiche immagini invisibili ad occhio ma avvistabili con la moderna tecnologia DStretch, le quali rivelano un’evoluzione stilistica nel tempo. L’arte dell’Ennedi si caratterizza, rispetto a quella di altre aree sahariane, per una netta prevalenza di pitture bicrome bianche e rosse, in qualche caso addirittura monocromatiche, e quindi assenza di policromia, con immagini realistiche di uomini e di animali addomesticati ritratti in scene di vita quotidiana, con ampio corollario di oggetti come recipienti, probabili armi, granai, recinti, ecc., segni di un’economia mista agropastorale ma con prevalenza della seconda; non mancano inoltre soggetti fantastici con creature antropomorfe, figure mitiche irreali, spirali e labirinti di enigmatica interpretazione.
Spiccano come peculiarità figure umane viste di fronte, le cosiddette “sentinelle” con scudi e lance e, soprattutto, suggestive immagini di cavalli e di cammelli montati da cavalieri lanciati al galoppo volante, dotati di uno spiccato senso di movimento. Dal punto di vista cronologico si tratta di manifestazioni più tarde rispetto ad altre zone (la classica fase iniziale naturalistica della grande fauna selvatica di epoca mesolitica, nonché quella successiva delle teste rotonde risultano contenute ai minimi termini), spaziando dal tardo neolitico bovidiano fino alla comparsa del cavallo e del cammello, già in epoca storica, il che attesta un attardamento temporale e culturale. Con molta probabilità, per le sue più favorevoli condizioni climatiche, la vita delle popolazioni pastorali sahariane proseguì nell’Ennedi anche quando il ritorno all’aridità spopolò il Sahara centrale, costringendo gli abitanti a migrare altrove con le loro mandrie. Nell’insieme un’arte che rivela una notevole creatività e varietà di soggetti, anche con caratteri unici peculiari senza equivalenti, come nel caso della scena di caccia al leopardo, a formare uno dei maggiori complessi sahariani, un ennesimo suggestivo museo all’aria aperta.
Gli autori di questo ponderoso volume – anzi due, considerando che esiste una versione in inglese ed una in francese – Roberta Simonis, Adriana Ravenna e Pier Paolo Rossi – sono profondi conoscitori dell’arte sahariana preistorica in genere, nonché esploratori e scopritori di quella ciadiana in particolare. Su tutti aleggia però un nome mancante, quello di Sergio Scarpa (marito di Adriana Ravenna), uno dei maggiori sahariani italiani, studioso di arte rupestre e tra i pionieri delle esplorazioni nell’Ennedi e nel Tibesti ciadiani, prematuramente scomparso. A Sergio, compagno di innumerevoli spedizioni nel maggiore deserto del mondo (comprese due impegnativi primi attraversamenti dell’inesplorato Erg di Mourzuq in Libia), io e mia moglie – unitamente ad un paio di generazioni di viaggiatori italiani – dobbiamo la scoperta dello straordinario interesse e della magia del Sahara, percorso in comodità e in sicurezza in lungo e in largo dalla Mauritania all’Egitto. Dobbiamo alla sua lungimiranza la nascita di un turismo sahariano, con i viaggi-spedizione prima e gli alberghi e i campi tendati fissi poi, da Kel 12 a Dar Sahara. E’ un po’ anche merito suo se l’Unesco nel 2016 ha riconosciuto l’arte parietale dell’Ennedi come patrimonio dell’umanità.
Ennedi, pierres historiées. 1993-2017: Art rupestre dans le massif de l’Ennedi (Tchad)
Ennedi, tales of stone. 1993-2017: Rock art in the Ennedi massif
Roberta Simonis, Adriana Ravenna, Pier Paolo Rossi, All’Insegna del Giglio, 2017, 288 pp., € 70,00.
I singoli volumi possono essere acquistati presso i negozi Mondadori Store (www.mondaroristore.it/) e La Feltrinelli (www.lafetrinelli.it/), oppure on line presso Libreria Universitaria (www.libreriauniversitaria.it/), Unilibro (www.unilibro.it/), Libroco (www.libroco.it/), Amazon (www.amazon.it/) o, ancor meglio, presso l’editore (https://www.insegnadelgiglio.it/catalogo/prodotti-recenti/)
Testo Giulio Badini – Foto Google Immagini