Caporetto non è certamente un nome che gode di buona fama in Italia. Veniva citato con rammarico nei racconti rievocativi dei nostri nonni sulla Grande Guerra, lo si usa nel gergo figurato per indicare un totale fallimento o una sonora sconfitta, compare nei libri di scuola per ricordare una delle pagine più nere nella storia d’Italia, tanto che avrebbe anche potuto cambiare radicalmente le sorti del nostro paese, vanificando l’intero Risorgimento. Il nome di Caporetto ci riporta al 24 ottobre 1917, nel pieno della 1° guerra mondiale quando, dopo un facile successo iniziale che ci portò a conquistare, tra l’altro, un tratto di territorio sloveno nella vallata dell’Isonzo (il versante destro, allora facente parte dell’impero austro-ungarico) e 29 mesi di stallo nelle gelide trincee sulle alte vette delle Alpi Giulie, con un fronte di 90 km assai impervi che andava dal monte Rombon al Carso di Gorizia e Trieste sull’Adriatico, gli eserciti asburgico e tedesco scatenarono una massiccia offensiva che colse del tutto impreparate le truppe italiane, travolgendo ogni nostra difesa e spalancando al nemico la porta per la conquista della Pianura Padana e la vittoria nel conflitto, evento a cui riuscimmo a rimediare solo con l’eroica controffensiva del Piave, quella operata dai famosi ragazzi del 99 (che avevano cioè solo 18 anni), arruolati all’ultimo momento e senza addestramento. Tragici avvenimenti magistralmente descritti da Ernest Hemingway, che vi rimase anche ferito, nel suo celebre libro “Addio alle armi” e che ancora oggi i testi militari definiscono come la più grande battaglia combattuta in montagna e la più cruenta in assoluto nella storia di tutte le guerre. Vi presero infatti parte ben 615 mila soldati e a noi italiani costò, tra militari e civili morti, feriti o prigionieri, qualcosa come 400 mila persone, senza considerare gli ingenti danni civili e il materiale bellico perduto. Fu la prima volta che in un conflitto venivano usati gas venefici e tra i giovani ufficiali dell’esercito tedesco figurava un certo Erwin Rommel, che sarebbe diventato famoso nel secondo conflitto mondiale con l’appellativo di “Volpe del deserto”.
Ovvio che, con simili premesse, Caporetto non possa godere tra di noi di buona fama, tanto che molti non sanno neppure dove si trova. Le bizzarre e imprevedibili vicende della geopolitica hanno fatto si che oggi questa località non si trovi nemmeno più in Italia, bensì in Slovenia (anche se ad appena 18 km da Cividale del Friuli e a 9 dal confine italo-sloveno), lungo la bellissima alta vallata del fiume Isonzo (il cui nome in sloveno è Soca), e che non si chiami neanche più Caporetto ma Kobarid, come è giusto che sia trattandosi di terra slovena, anche se per noi rimarrà sempre Caporetto. Se in questa regione delle Alpi Giulie con il tempo sono cambiate tante cose, le testimonianze materiali di quei tragici avvenimenti costellano ancora numerose montagne e vallate, tanto che qualcuno ha pensato bene di raccoglierle e di riunirle, non per riaprire vecchie ferite sopite ma affinchè potessero servire da monito per le future generazioni, perché dolori, sofferenze e morte hanno albergato in uguale misura in entrambi gli schieramenti.
Così nelle 18 sale di un bell’edificio settecentesco di Kobarid è sorto nel 1990 il Museo del Fronte dell’Isonzo (www.kobariski-muzej-si), già premiato nel 1993 dal Consiglio d’Europa come museo dell’anno, che attraverso immagini fotografiche dell’epoca, cartine, plastici, ricostruzioni ambientali, armi, oggetti, divise e cimeli di ogni genere, nonché un audiovisivo multilingue, documenta le tristi vicende di quei giorni ormai lontani di un secolo fa. Commovente anche la ricostruzione di un precario alloggio militare, dove un giovane alpino scrive l’ultima lettera ai genitori. Altre due sale rievocano la storia di Caporetto, dalla preistoria ad oggi. Se passate da quelle parti – ma la valle isontina merita una visita apposita – non perdetevi la visita di questo istruttivo museo, capace di spiegare con obiettività meglio di tanti libri di storia come andarono le cose, nonché al vicino sacrario contenente le spoglie di 7 mila soldati italiani. Forse qualche nome potrà suonarvi familiare, e rappresenta comunque un pezzo importante della nostra storia recente. In tutta la valle esistono numerose piccole raccolte private di reperti bellici, nonché una fitta rete di sentieri che toccano con visite guidate o meno antiche fortificazioni, bunker e trincee. Caporetto vanta un’altra curiosa peculiarità: pur trattandosi di un luogo montano, ospita i migliori ristoranti di pesce della Slovenia (www.kobarid.si).
L’Isonzo, con la sua morfologia torrentizia assai accentuata e le acque di un colore incredibile verde smeraldo in uno straordinario contesto alpestre, è uno dei fiumi più belli non soltanto della Slovenia, ma anche dell’Europa centrale, divenuto negli ultimi decenni sede di un gran numero di attività sportive adrenaliniche. Lungo 96 km, nasce nella suggestiva valle Trenta all’interno del Parco nazionale del Triglav/Tricorno, l’unico parco nazionale sloveno che compare anche sulla bandiera nazionale, sulle ultime propaggini delle Api Giulie, e sfocia nell’alto Adriatico italiano dopo una serie notevole di canyon, forre, gorghi, cascate e rapide. Altri paesi rilevanti, oltre a Caporetto, sono Santa Lucia/Most na Soci con il suo lago artificiale, Tolmino con un bel castello e una rilevante forra, e poi la montuosa Plezzo/Bovec, considerata un epicentro degli sport d’avventura.
Oltre alla pesca all’autoctona trota marmorata e al temolo, le acque del fiume costituiscono infatti una palestra ideale per la pratica di rafting, canoa, kayak, torrentismo e hydrospeed, mentre sulle sovrastanti pendici del monte Kanin/Canin, area carsica d’alta quota dove si aprono le maggiori voragini europee, a 2.300 m si stendono 30 km di piste da sci di discesa e 15 da fondo, oltre alla pratica di mountain bike, arrampicata, trekking e parapendio. Da non perdere una visita alla cascata del Boka (106 m, la più alta della Slovenia) e al museo e al giardino botanico alpino in Val Trenta.
Testi/foto Giulio Badini