Una nuova meta dell’Africa occidentale bussa alle porte delle destinazioni turistiche. Si tratta della Costa d’Avorio, grande poco più dell’Italia con 23 milioni di abitanti, affacciata per oltre 500 km di belle spiagge deserte di candida sabbia e di suggestive lagune retrodunali sul golfo di Guinea, circondata da Liberia e Guinea ad ovest, Mali e Burkina Faso a nord, Ghana ad est. Un altopiano granitico che sale leggermente con dolci rilievi verso l’interno del continente, raggiungendo ad ovest la massima altitudine di 1.732 m; il sud alterna fitte foreste ombrofile a coltivazioni di cacao, caffè, olio di palma e frutta esotica, di cui è uno dei maggiori produttori ed esportatori al mondo, il centro presenta foresta mesofila che nel nord si trasforma in savana arborata. Anche il clima, in prevalenza subequatoriale caldo umido, alterna tre diverse fasce, fino al desertico secco del confine settentrionale.
Punto storico di transito per migrazioni in varie direzioni di tutte le popolazioni locali, riflette in un incredibile caleidoscopio etnico e linguistico la sua estrema eterogeneità. Vi abitano infatti ben 62 differenti clan tribali, parlanti altrettanti dialetti, raggruppati in cinque ceppi: Akan (42 %) al centro ed a sud-est, Mandingo e Mande (27 %) a nord-ovest, Voltaici (11 %) a nord-est, Kru (12 %) a sud-ovest, con tutte le possibili contaminazioni. Altra complicazione la religione, con prevalenza di cristiani a sud, di islamici a nord ed ampio spazio ai culti animisti. Ovviamente ognuno di questi gruppi ha una propria storia, una cultura, riti, abiti e modalità di vita differenti l’uno dall’altro, capaci di rappresentare la vera attrazione turistica, oltre ovviamente alle calde spiagge costiere. Di grande suggestione i riti iniziatici, con canti e danze a ritmi ossessivi che portano al trance; di notevole qualità l’artigianato, spesso vere opere d’arte, soprattutto statue e maschere di legno, presenti nei principali musei del mondo. Unico denominatore comune l’appartenenza e il rispetto delle ataviche e rigide regole del clan, superiori anche ai vincoli familiari, il culto per gli stregoni, gli amuleti, la superstizione e i tabù.
In realtà, più che una novità, si tratta di un ritorno, in quanto già mezzo secolo le sue incantevoli spiagge, con i villaggi di pescatori, le lagune e le foreste costiere richiamavano turisti, poi fatti fuggire da una serie di rovesci economici, da conflitti tribali, religiosi e politici, e da violenti scontri armati culminati all’inizio di questo secolo con una guerra civile tra due presidenti e due eserciti. Oggi, nel riconquistato clima di legalità e di democrazia imposto anche dagli organismi internazionali, si intravvede nel turismo una risorsa importante per riconquistare anche una stabilità economica. L’approccio con la storia inizia nel 1600, con l’arrivo sulle coste dei portoghesi per commerciare avorio e schiavi: andò così bene che in poco tempo sparirono gli elefanti. Quindi nel 1960 diventò colonia francese, una delle più prospere, con la capitale Abijan considerata una piccola Parigi africana. L’indipendenza portò dapprima ad un boom economico, tanto da far parlare di miracolo ivoriano citato come esempio, poi gli eterni mali africani affiorarono tutti e si arrivò a follie nazionalistiche e xenofobe, fino all’assurdo culto dell’”ivorianità”. Dal 1960 la popolazione è quadruplicata, e ciò crea non pochi problemi. Oggi rappresenta un mix di modernità, come si può riscontrare ad Abijan e sulla costa, e di tradizione plurisecolare in tutto l’interno, tra benessere e povertà, con gli elefanti svaniti come metafora delle sorti del paese. Un’ambivalenza a partire dalle capitali, ben due: l’elegante Abijan, che tutti conosciamo, epicentro economico e culturale, e poi Yamoussoukro, una cattedrale burocratica nel deserto voluta dall’ambizione smodata e megalomane del primo presidente, finchè non ha esaurito i soldi.
Un itinerario in Costa d’Avorio costituisce essenzialmente un percorso etnografico di notevole livello tra le molteplici etnie ed i loro stili peculiari di vita, e richiede almeno una dozzina di giorni. Si parte dalla bella Abijan, dove merita una visita il museo nazionale per il suo patrimonio artistico, e si prosegue verso l’interno con la capitale amministrativa Yamoussoukro, piena di immensi boulevard, dove l’unica cosa degna di attenzione è la Cattedrale, più grande di San Pietro a Roma, per arrivare attraverso piantagioni di cacao, caffè e alberi della gomma a Man, epicentro delle popolazioni We e Guerè, famosi costruttori di ponti di liane, dove effettuare un’escursione nella foresta per avvistare le scimmie sacre ed osservare una danza di maschere. A seguire le capanne rotonde del popolo Yakuba, affrescate dalle donne con pitture naif, per assistere ad altre danze iniziatiche, così come presso i Malinkè, antichi cacciatori e grandi guaritori, i pastori nomadi Peul con le loro mandrie di zebù, i Senoufo, a cui si debbono i maggiori capolavori dell’arte africana, i Baulè ghanesi dalla rigida gerarchia sociale, i Komian esperti di trance, ed infine gli Agni nelle foreste al confine con il Ghana, dove hanno dato origine ad una ferrea gerarchia.
L’operatore urbinate “Apatam Viaggi” (tel. 0722 32 94 88, www.apatam.it), specializzato in percorsi culturali di scoperta con accompagnatore qualificato in tutto il mondo, propone un itinerario di 12 giorni dedicato al contatto con le principali etnie dell’interno della Costa d’Avorio. Unica partenza di gruppo con voli di linea da Roma il 27 dicembre 2017, guide locali di lingua italiana e accompagnatore dall’Italia, pernottamenti in hotel a 2, 3 e 4 stelle con pensione completa, quota da 4.150 euro in doppia tutto compreso.
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