Le Galàpagos costituiscono un luogo straordinario della natura, unico e senza paragoni possibili, per la presenza di animali e piante che non si trovano altrove. Ma risulta ancora più importante il fatto che, per una serie combinata di fattori positivi, questo arcipelago formato da oltre un centinaio di isole tra grandi e piccole, per una superficie totale pari ad un terzo della Sardegna, in pieno oceano Pacifico a mille km dalla costa ecuadoregna, ha rappresentato un laboratorio naturale unico nel suo genere, dove le specie hanno potuto evolversi soltanto in relazione con l’ambiente, senza alcuna interferenza umana. Queste isole vulcaniche piatte o montuose, che presentano lagune, fumarole, crateri attivi, crateri collassati e tunnel di lava, si sono formate in un lasso di tempo compreso tra 5 milioni di anni fa ed oggi, tanto che le più recenti eruzioni ne stanno ancora formando. L’arcipelago viene toccato da due differenti correnti marine, una calda e l’altra fredda, che vi determinano un clima e un habitat del tutto particolari, decisamente diversi da tutte le altre aree equatoriali. Infatti accanto ad iguana, serpenti, tartarughe e fenicotteri, tipici di clima caldi, troviamo pinguini e balene.
La vita vi giunse, sicuramente non senza difficoltà e diluita nel tempo ed è questa la prima cosa a sorprendere visitatori e studiosi, attraverso le correnti marine, il vento e gli uccelli, trovando un ambiente vergine da colonizzare. Ma ogni specie si trovò anche a dover competere per il cibo con specie analoghe e per poter sopravvivere dovette subìre una serie di mutazioni morfologiche, fisiologiche e comportamentali, pena l’estinzione, capace di dare vita a nuove specie peculiari che non esistono altrove. Fu proprio osservando questi animali che nel 1835 il naturalista inglese Charles Darwin elaborò la sua famosa teoria evoluzionistica sulla selezione naturale, o della sopravvivenza del meglio dotato, valida anche per l’uomo, esposta nel 1859 nella famosa opera L’origine delle specie.
Nelle diverse isole si possono incontrare animali curiosi come le longeve tartarughe giganti, enormi erbivori terrestri, le tartarughe verdi marine, la mostruosa e socievole iguana marina, l’unica a vivere in mare, e la colorata e mansueta consorella terrestre, il giocherellone e possente leone marino, l’otaria endemica, la vivace lucertola della lava, tre inoffensivi serpenti, sei gechi, sette balene, tre delfini, 58 specie diverse di uccelli (28 endemiche) tra cui il pinguino, i fringuelli dai becchi differenti, il cormorano che non vola, e poi sule, albatri, fregate, pellicani e fenicotteri rosa, l’airone nano e 307 specie di pesci (50 endemiche) e 750 di piante (ben 250 endemiche), compresi diversi cactus nani e giganti, orchidee e mangrovie. Nei periodi delle migrazioni si può assistere anche allo spettacolo di balene e capodogli che affollano le acque circostanti. Uno zoo unico e inimitabile. Le Galàpagos, che erano già note agli Incas (e viene spontaneo chiedersi come facessero a spingersi così lontano dalla costa, andata e ritorno), vennero scoperte per caso nel 1535 dal vescovo di Panama, che vi fu trascinato con il suo veliero dalle forti correnti marine. Cominciarono ad essere frequentate dall’uomo soltanto nel 1600, quando divennero un covo di pirati, bucanieri e naviganti di ogni risma, e nel secolo successivo quando divennero base di rifornimento per le navi di passaggio. Fu in questo periodo che alcune specie, sottoposte ad una caccia assurda, rischiarono l’estinzione.
Tutti erano attratti dal fatto che le galapagos, le tartarughe giganti capaci di portare un uomo sul carapace ed alle quali si deve il nome dell’arcipelago, potevano sopravvivere anche un anno senza cibo né acqua nella stiva di una nave, prima di essere ammazzate e mangiate. Le tartarughe sono sopravvissute quando ormai erano sull’orlo della scomparsa, così come le foche: un tempo erano 100 mila, oggi dieci volte di meno. Non meglio stava andando per iguane, sule, cormorani, poiane e quant’altro, minacciate dalle pressione demografica e dall’alterazione dell’habitat esercitati dagli abitanti e dai loro animali domestici. Solo nel 1959 fu creato il Parco nazionale e la Stazione scientifica Darwin; 20 anni dopo l’Unesco le riconobbe come Patrimonio dell’Umanità e soltanto nel 1998 la protezione è stata estesa anche alla fauna marina.
Nessuno può negare come l’arcipelago incantato costituisca, per sue peculiarità, al tempo stesso uno dei luoghi naturalistici più interessanti ed attraenti sul pianeta, ma anche uno dei più fragili, dove l’apporto dei turisti – indispensabile per sostenere le spese di ricerca e tutela – crea non pochi problemi. Nel solo 2017 si sono registrati ben 242 mila visitatori, troppi per un equilibrio ecologico tanto precario. Nel tentativo di tutelare maggiormente l’habitat, le autorità ecuadoregne hanno emanato nuove regole, in vigore dal prossimo 1 novembre 2018. Per accedere all’arcipelago, oltre al biglietto aereo di andata-ritorno, ad una prenotazione turistica confermata (o il alternativa una lettera di invito da parte di uno dei rari residenti), da tale data occorrerà essere muniti anche di un’assicurazione sanitaria privata e personale, stipulata con una compagnia riconosciuta., la quale in caso di malattia del turista provveda subito ad evacuarlo con elicottero sanitario verso la terraferma. In ogni caso il soggiorno non potrà mai durare più di 60 giorni; in compenso non occorre visto.
Curioso il fatto che in un arcipelago tanto studiato, un paio di anni fa vi sia stata scoperta una nuova specie di tartaruga gigante, la quindicesima in assoluto. Si tratta per l’esattezza di Chelonoidis donfaustoi, presente con 250 esemplari nella parte est dell’isola di Santa Cruz, mentre altre 2.000 che occupano la parte ovest appartengono alla specie Chelonoidis porteri. Le tartarughe giganti, capaci di pesare fino a 225 kg,, sono vegetariane e si nutrono con erba, foglie, cactus e frutta; incredibilmente posso sopravvivere anche per un anno senza cibo ed acqua.
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Testo/Giulio Badini – Foto/Google Immagini