“Si vive solo due volte” è il titolo di uno splendido romanzo di Ian Fleming, l’inventore di James Bond, reso ancor più famoso dal film del 1967 interpretato da Sean Connery. Il titolo deriva dalla finta morte dell’agente 007, che gli permette di indagare indisturbato contro la famigerata Spectre. Il film in realtà si discosta notevolmente dal libro, l’ultimo romanzo pubblicato mentre l’autore era ancora in vita; in esso si spiega l’origine del titolo in maniera differente. È l’inizio di un haiku, una specie di poema giapponese in miniatura, che recita: “Si vive solo due volte. La prima quando si nasce, la seconda quando si guarda la morte in faccia.” Io ho quindi già vissuto due volte: la prima quando sono nato, e la seconda quando ho battuto una grave malattia, uscendone vivo. Poco tempo prima avevo però già vissuto, erroneamente, la stessa sensazione. Ho quindi già vissuto ben tre volte. Un catamarano in metallo, l’Hunter, mi aveva trasportato sotto una pioggia sferzante ed in balia di onde possenti in mezzo al canale fra due isole, in un oceano che di Pacifico aveva solo il nome. Mi trovavo su questa barca per effettuare la mia prima immersione durante il viaggio di nozze, e poco prima avevo salutato con un misto di titubanza e timore la mia novella sposa, mentre osservava dalla nostra casetta in riva al mare lo spettacolo della pioggia e di un mare colore metallo.
Ci trovavamo a Pacific Harbour, isola di Viti Levu, arcipelago delle Fiji e non sembrava vero un tempo simile. “Sei proprio sicuro che sia la stagione secca?” Eh, sì. Mi sono dimenticato però di informarti, amore, che da queste parti soffiano costantemente gli alisei di sud-est, i quali arrivano carichi di umidità dall’Antartide, e che – quando si scontrano con le montagne di quest’isola – scaricano acqua tutto l’anno. Non vedi come è verde la foresta pluviale ? Non sai che chiamano queste zone la “green side of the island” ? Poi cambieremo isola, ed andremo a nord, verso il bello. Adesso però siamo qui perché questo rappresenta un posto unico al mondo per un subacqueo. Vedrai le foto ed i filmati ! Ho prenotato le immersioni 8 mesi fa, trovando due giorni già esauriti, fai tu!
Nella realtà, la risposta invece fu: “Tranquilla, si tratta sicuramente una nuvola passeggera ! Oggi pomeriggio sole e mare, vedrai!” E così dicendo, mentre infondevo false speranze, sgattaiolai fuori dal bungalow carico della mia attrezzatura, lasciando il suo tepore ed una donna poco convinta. Adesso l’imbarcazione saliva e scendeva, sempre sotto la pioggia, e la mia espressione doveva essere quella che io osservavo dipinta sulle facce degli altri: piena di incertezza e timore, per il tempo e per la meta. Questa era costituita dallo Shark Corridor, il canale fra Viti Levu e la piccola isola di Beqa, dove il geniale svizzero Mike Neumann, che conoscerò fra poco, aveva creato una cosa unica al mondo. Originario di Ascona, lavorava in banca ed era appassionato di immersioni. Arrivato da queste parti, aveva avuto l’occasione di vedere tre squali, ma soprattutto le potenzialità del luogo.
Decise di rilevare il diving center locale, e fece un accordo con lo stato figiano e le comunità locali: in cambio dell’istituzione di un’area protetta per gli squali, nella quale lui avrebbe portato i subacquei (in seguito diventata il primo parco marino dell’arcipelago delle isole Fiji), e dell’impegno da parte dei locali a non effettuare pesca indiscriminata nella zona, lui avrebbe fatto pagare una tassa d’ingresso, i cui ricavi sarebbe stati devoluti ai villaggi al fine di costruire strutture comunitarie, scuole e fondi per fare studiare i ragazzi più meritevoli. L’accordo, stretto nel 2003, ha portato vantaggi per tutti: Mike ha ora un’impresa fiorente, due barche ed una quindicina di dipendenti figiani, tutti Marine Rangers dello Stato, prenotazioni fino ad un anno prima. Lo Stato vede un notevole afflusso di turismo, con tutte le opportunità conseguenti, in un’area che non ne aveva affatto, e con i villaggi che tendevano a diventare degli slum carichi solo di povertà. I locali si dichiarano entusiasti: hanno strutture nuove nei villaggi e molti ragazzi sono andati a studiare fino all’università, i migliori addirittura a quella di Sidney. Dotati di una simpatia senza limiti, ti fermano sempre quando cammini per strada per chiederti: “Di dove sei ? Italia ? È vicino al Canada, vero ? Sei qui per gli squali ? Li hai già visti ? Ti sono piaciuti ?”. E sono contentissimi perché hanno la moglie a lavorare in un hotel, o il nipote al Diving o magari fanno artigianato e grazie agli squali ed a Mike sono usciti da un vicolo cieco di povertà senza speranza.
Quando vai a vedere degli squali, questi vengono attirati facendo “shark feeding”, cioè dando loro da mangiare. Come si può definire etica la cosa ? A differenza di molti altri luoghi nel mondo, qui però gli squali vengono per “rubare” delle teste di tonno acquistate da una fabbrica di tonno in scatola, un prodotto di scarto della lavorazione: quindi senza uccidere nessun pesce. Gli animali sono così ritornati a vivere dove un tempo erano normalmente presenti, creando una specie di “simbiosi” con i ragazzi del diving, i BAD: Beqa Adventure Divers. Infine, e soprattutto, la località è diventata un centro di studi e ricerche importantissimo, famoso nelle università di tutto il mondo; durante la mia permanenza saranno presenti ad esempio i francesi di Tara Expeditions; d’altronde dove riuscire ad avvicinare in sicurezza degli squali altrimenti estremamente schivi e pericolosi ? Lo stretto di Beqa è così diventato un luogo eccezionale per poterli studiare, quasi unico al mondo.
Delle 500 specie di squali esistenti in natura, solo una decina sono realmente pericolose. Qui ne vivono stanziali otto specie diverse: Tigre, Leuca o Zambesi (i bullshark per le persone di lingua inglese), grigi, pinna bianca, pinna nera, nutrice ed anche, pur se meno frequenti, squali limone dell’Indo-Pacifico ed Albimarginatus. Di questi solo i primi due sono realmente pericolosi, mentre i grigi possono diventarlo se si sentono minacciati; gli altri è raro che possano attaccare l’uomo. Tigre e Leuca non amano stare insieme, ed i primi si fanno vivi solo durante il periodo invernale, quando i bullshark risalgono il fiume e se ne vanno dalla costa. Perché, tra le altre caratteristiche di questi magnifici animali, vi è anche quella di riuscire a modificare la salinità del sangue e di riuscire a vivere così anche in acque salmastre, o addirittura dolci. Infatti, mentre il Longimanus risulta lo squalo responsabile degli attacchi in mare aperto dove vive, ai danni per esempio dei naufraghi di tutte le guerre, il Leuca è quello che attacca i bagnanti ed i surfisti, scambiandoli per delle foche, nei mari tropicali di tutto il mondo. Ed a volte persino nei fiumi e nei laghi; alcuni esemplari vivono addirittura nel laghetto di un golf club australiano, giunti in seguito ad una inondazione. Le palline finite in acqua non le raccoglie proprio nessuno. Anche perché il film di Steven Spielberg “Lo Squalo” aveva come protagonista proprio questa specie ed era stato tratto da un romanzo di Peter Benchley, a sua volta derivante da una storia realmente accaduta nel New Jersey all’inizio del secolo scorso, e conclusasi con la cattura del terribile pesce che aveva gradito la carne umana.
Oggi io scenderò sott’acqua proprio per vedere questi bestioni: quasi tutte femmine che amano vivere in branco, lunghe circa 3 metri e mezzo, per 250 kg di peso. Dentro ad una gabbia ? No affatto, ma soltanto protetto – si fa per dire – da dei figiani senza paura armati del proprio coraggio, della conoscenza ancestrale di questi splendidi animali e di un bastone ricurvo di alluminio con cui spingere via gli esemplari più curiosi o intraprendenti, senza fare loro alcun male. “Li vedremo oggi, Mike ?” “Tranquillo, le mie ragazze non ti deluderanno.” Scendiamo così sotto la superficie color metallo fino a 30 metri di profondità, e veniamo messi in ginocchio sul fondale; davanti a noi tre guide si mettono intorno ad una cassa di alluminio, contenente le teste di tonno. Uno di loro sarà il “feeder”, l’esperto che darà il cibo agli squali, mentre gli altri due si metteranno a sinistra e dietro, a sua protezione. Altri cinque verranno posti dietro ai turisti, uno invece sopra a vigilare dall’alto, mentre Mike sarà sul fondale con la sua enorme telecamera subacquea.
Dopo poco dal blu arriva il primo squalo, e l’eccitazione di tutti noi sale a mille. Attraverso lo schermo della telecamera vedo l’immagine dell’animale che nuota verso di me. Sempre più vicino. Non mi è mai successo che uno squalo puntasse direttamente verso di me, ed in una frazione di secondo ogni razionalità scompare, subentra solo la paura ancestrale dell’uomo primitivo, che combatteva per non essere mangiato. Quando mi rendo conto che continua a venirmi incontro, sento una mano stringermi forte la bocca dello stomaco ed una voce sempre più forte mi urla nelle orecchie: viaviavia, mentre gli occhi vitrei sembrano fissarmi e dirmi: famefamefame ed il tempo prende una durata irreale e si dilata a dismisura, e, niente da fare, provi davvero la paura. Quando arriva ad un metro di distanza, non capisci più nulla, e la tentazione di fuggire appare fortissima. Poi il bestione si sposta di poco, mi dà una pinnata al braccio, e se ne va. A quel punto, un po’ più sereno, penso: sono una delle poche persone al mondo che può dire di essere stato toccato da un Leuca ed essere ancora vivo per raccontarlo.. Ed in quel momento capisco che oggi non mi succederà nulla, ed avrò la possibilità di vivere un’esperienza unica nella mia vita. Da quel momento sarà pura magia. Gli squali, giunti per rubare qualche testa di tonno, o per semplice curiosità, saranno oggi 40, sugli oltre 80 stanziali, tutti catalogati, tutti con un nome. In questi giorni di immersioni farò centinaia di fotografie e diversi filmati, nella maggior parte inutilizzabili perché, malgrado il forte grandangolare, riuscirò ad inquadrare solo pezzi di squalo, vista la loro notevole vicinanza. Inquadratura perfetta? Improvvisamente fotografi una pancia che ti sfreccia a mezzo metro di distanza. Sempre così. Oltre l’incredibile per un subacqueo.
Dopo una quindicina di minuti, risaliamo verso la superficie effettuando due lunghe soste di sicurezza (e divertimento): la prima con altri due feeder e squali di taglia inferiore (soprattutto grigi di barriera), la seconda chiamata “l’autostrada”, per il passaggio veloce di innumerevoli squali pinna bianca, pinna nera e grigi davanti ai subacquei estasiati. Le immersioni successive saranno sempre molto belle ed entusiasmanti, anche perché non ci si può abituare a certe situazioni così ravvicinate, e si impara anzi a goderle con maggiore serenità. Visto poi che non sono un subacqueo di primo pelo, che evidentemente gli sono simpatico e (probabilmente) che ha voglia di giocare con me, Mike decide di farmi immergere nei giorni successivi con delle varianti. Nella prima vengo inserito in una buca nel corallo esattamente in mezzo all’autostrada degli squali, con il risultato che mi sento Titti in mezzo a 50 gatti Silvestro, i quali mi passano tanto vicini da toccare frequentemente me e la mia telecamera. Nella seconda vengo invece portato in fondo alla buca, con gli squali Leuca proprio davanti e sopra di me, ed il povero Manoa (San Manoa, ovviamente), biologo marino laureatosi a Sidney grazie a Mike, pronto a proteggere la mia e la sua pelle. Perché lo fai ? Mi chiedono in tanti.
Perché uno sceglie di fare lo speleologo, l’astronauta, il pilota d’aerei, un altro l’alpinista ? Perché ti piace e basta. Perché è bellissimo vedere questi animali da vicino, ed imparare a rispettarli senza avere una paura irrazionale di loro. Perché è meraviglioso guardare oltre l’orizzonte. Perché, in fondo, si vive solo due volte.
Info:https://uprisingbeachresort.com/
Testo/foto Paolo Ponga